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STANDARD DI CONSUMO = CONDIZIONE PIENA CITTADINANZA

Standard di Consumo = Condizione Piena Cittadinanza


Idea di consumo come espressione di libertà, tanto che un certo livello minimo di benessere, di consumo, viene contemplato come condizione di piena cittadinanza: a partire dalla Rivoluzione Industriale abbiamo assistito allo sviluppo di forme societarie nelle quali il possesso di standard minimi di consumo è condizione sine qua non per la piena inclusione nel sistema sociale; questa condizione, questi standard minimi non hanno solo a che fare con la quantità di beni consumati, ma in larga misura con la qualità dei beni che vado a consumare.
Dalla Rivoluzione Industriale, in ogni periodo storico, in ogni decennio grossomodo, è possibile individuare una tipologia di consumo quale condizione sine qua non per essere parte della società: ad esempio nella società dell’ultimo dopoguerra (anni ‘50) il classico bene di cittadinanza (cioè beni che dimostrano la piena inclusione nella società) erano gli elettrodomestici; negli anni ‘70 lo status simbol era l’automobile, ma anche la vacanza fuori dagli spazi domestici; alla fine degli anni ‘80 e inizio anni ‘90 era il telefonino.
Ogni epoca ha un suo bene di cittadinanza, che consente di essere pienamente inclusi e vivere a pieno la propria condizione di cittadino.
Questa condizione si sviluppa attraverso tre meccanismi: il primo meccanismo è quello della democrazia, cioè qualsiasi Paese che voglia dirsi democratico deve assicurare la libera partecipazione dei cittadini lungo due assi: come produttori, e quindi la libera imprenditorialità, e la libera possibilità di consumare. Questo è tipico del capitalismo di stampo liberale, perché ad esempio nella Russia post-bellica, in cui vigeva il capitalismo collettivistico, ciò non si verificava.
La seconda strategia è quella che vede la felicità privata, la felicità individuale ancorata all’aumento dei consumi: viene utilizzato l’indicatore dello sviluppo dei consumi perché si presume che man mano che aumenta il livello dei beni consumati, aumenta anche il livello di soddisfazione delle persone, aumenta la loro qualità di vita.
Il terzo meccanismo è quello che ha a che fare con il benessere pubblico, cioè con la qualità della vita a livello collettivo: l’idea è che uno Stato, una comunità godano di benessere tanto più aumenta il PIL; viene utilizzato anche per le comparazioni internazionali, per confrontare diversi livelli di benessere.
La conseguenza di quest’enfasi privatistica sui consumi è che si modifica la struttura societaria in vista di una democratizzazione degli stili di vita; la triplice equivalenza, cioè l’unione di questi tre principi porta ad un appiattimento della struttura societaria, ad un abbattimento delle disuguaglianze esistenti all’interno degli Stati Occidentali e alla costituzione del ceto medio.
Vi è però anche una conseguenza negativa; infatti questa triplice equivalenza induce gli Stati, gli attori economici a perseguire l’incremento dei consumi nel breve termine, senza curarsi di quelle che possono essere le conseguenze negative di questa diffusione dei consumi: si rischia cioè di incentivare le esternalità negative, perché si finisce con il disinteressarsi delle conseguenze di un aumento indiscriminato dei consumi.

La triplice equivalenza reca implicito l’aumento esponenziale:
- delle disuguaglianze;
- degli effetti negativi sul benessere pubblico (“costi nascosti del capitalismo”);
- dell’infelicità individuale (“paradosso della felicità”).
Rifiuto del calcolo strumentale ego-riferito
Comporta così tre patologie socioeconomiche: l’aumento delle disuguaglianze fra Paesi, una serie di effetti negativi indiretti sul benessere pubblico e, quasi per paradosso, un incremento dell’infelicità individuale.
- Si fa riferimento al divario tra Nord e Sud del Mondo, all’impoverimento di ampie zone del pianeta che diventano per un certo senso i finanziatori del benessere, della partecipazione democratica dei Paesi ricchi; questo è evidente in quelli definiti porti franchi, zone dei Paesi sottosviluppati (Sud-est Asiatico, Africa e Nord America) dove le imprese hanno assoluta libertà di gestione, zone extraterritoriali private. In queste zone avviene la delocalizzazione di lavorazione magari pericolose, o ad alto impiego di manodopera e di sfruttamento della stessa.
- Non si considerano le conseguenze che determinate tipologie di consumo e lavorazione possono avere sull’ambiente o sulla società (esempio dei costi nascosti del capitalismo, che comporta il dibattito fra il tentativo di conciliare lo sviluppo economico con la tutela ambientale; esempio di un consumatore che acquista un elettrodomestico in classe A+ perché attento all’ambiente, ma lo compra troppo grosso rispetto alle dimensioni di cui realmente necessiterebbe, o di un individuo che acquista un’auto a basse emissioni, ma poi la utilizza anche solo per andare dietro casa).
- E’ il criterio dell’infelicità individuale; il fatto negativo ha qua a che fare con l’incapacità di quote crescenti di consumo di generare qualità della vita per il consumatore: man mano che aumentano le mie possibilità di consumo, si riduce il grado soddisfazione che io provo nella quota di maggiorazione. Sempre più spesso non è la quantità di beni a creare felicità, bensì la capacità del consumo di incidere su due risorse scarse: il tempo e le relazioni. 
La soluzione a questo paradosso è proprio quella di incominciare a riconoscere come la felicità dipenda dalla capacità dei beni di liberare tempo e di attivare relazioni (esempio del computer che genererà felicità nel momento in cui mi permetterà di guadagnare tempo, o tanto più mi permetterà di creare relazioni, di creare legami con altre persone: è questo il caso tipico delle aggregazioni di marca, in cui i consumatori vanno a creare delle vere e proprie tribù sulla base del consumo di uno stesso prodotto, di una stessa marca, come nel caso Macintosh, dove si condivide l’ideale di combattere lo strapotere di Microsoft).
L’esistenza di queste tre distorsioni e la consapevolezza dei consumatori di questo distorsioni porta ad un crescente rifiuto del calcolo ego-riferito, quindi di quelle valutazioni utilitaristiche che sono così centrali nel dibattito economico: questo calcolo è costituito dal tentativo dei consumatori di combattere il cosiddetto potenziale antisociale dei propri investimenti, dei propri interessi nell’acquisizione di oggetti, di nuove opportunità di consumo.

Esistono differenti strategie che permettono ai consumatori di limitare la portata antisociale dei propri consumi:
- edonismo della semplicità;
- elogio della lentezza;
- rivalutazione delle relazioni;
- downshifting ed autoproduzione.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI ECONOMICI di Andrea Balla
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