La valutazione della performance dei fondi comuni di investimento: teoria ed analisi empirica
Informazioni tesi
Autore: | Davide Alfano |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1996-97 |
Università: | Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Discipline Economiche e Sociali |
Relatore: | Andrea Beltratti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 169 |
Tradizionalmente le analisi effettuate sui dati dei rendimenti dei fondi comuni di investimento mostrano che l’attività di gestione attiva non aggiunge valore. In genere, tali analisi mostrano che il rendimento medio dei fondi comuni corretto per il rischio e per i costi è inferiore al tasso senza rischio. Nell’utilizzare i risultati di tali analisi ci si dimentica spesso delle difficoltà metodologiche che stanno alla base di questi risultati.
Una prima difficoltà consiste nell’opinabilità del modello utilizzato per effettuare la correzione per il rischio, dato che non esiste un consenso tra gli studiosi e tra gli operatori su come tenere conto del rischio. Tradizionalmente, si pensava che un modello in cui il rischio è determinato dalla covarianza del rendimento del fondo con il rendimento del portafoglio di riferimento fosse sufficiente ai fini della valutazione. Analisi più recenti mostrano la necessità di includere altri fattori di rischio.
Una seconda difficoltà consiste nella scelta del portafoglio di riferimento, il cosiddetto benchmark. Tale benchmark è più facilmente identificabile nel caso di fondi comuni di investimento molto specializzati, ad esempio fondi azionari italiani, per i quali è plausibile usare l’indice Mib, mentre è difficile da individuare nel caso di fondi bilanciati, la cui componente di portafoglio può variare sensibilmente nel tempo in termini di importanza relativa di titoli azionari ed obbligazionari. Un benchmark costituito in maniera fissa da un rendimento azionario od obbligazionario è quindi destinato a non avere particolare significato nelle analisi di valutazione.
Nel presente lavoro ho voluto focalizzare l’attenzione su una terza difficoltà, vale a dire la necessità di tenere conto che le scelte dei gestori sono legate all’andamento dei mercati finanziari. Il modello tradizionale è per sua natura statico e male si adatta a mercati in cui la volatilità varia continuamente e a situazioni in cui i gestori modificano sistematicamente la composizione di portafoglio per tenere conto delle variabili macroeconomiche e finanziarie. Ferson e Shadt hanno modificato il modello standard per considerare l’esistenza di relazioni sistematiche fra market timing dei gestori e variabili quali il rendimento passato del mercato azionario e l’inclinazione della curva di struttura dei tassi di interesse secondo la scadenza. I risultati mostrano qualche miglioramento nella stima della capacità dei fondi comuni di aggiungere valore. Nel caso degli Stati Uniti tale miglioramento è pari ad un aumento di circa lo 0,6% annualizzato nel rendimento corretto per il rischio. In Italia, l’analisi da me condotta su un campione di 28 fondi comuni per il periodo 1992-1997 mostra una piccola variazione positiva dello 0,01%. Si tratta di numeri piccoli che non sembrano di per sé in grado di rovesciare la “saggezza tradizionale” ricordata in apertura, ma sono utili per ricordare come la misurazione della performance più che essere un fatto oggettivo è un esercizio che dipende in maniera rilevante dalle ipotesi utilizzate dal valutatore.
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Autore: | Davide Alfano |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1996-97 |
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