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Analisi sociologica dei disturbi del comportamento alimentare

La Tesi svolge un’analisi dei disturbi del comportamento alimentare attraverso uno sguardo sociologico.
Il primo capitolo dell’elaborato prevede un’analisi evolutiva del rapporto tra cultura e corpo e di come tale relazione influenzi il fenomeno di cui si intende trattare, fino a giungere alla moderna configurazione dei disturbi del comportamento alimentare.
In tal senso si concentra la riflessione su come “le nostre percezioni del corpo sono cariche di significato sociale”: la nostra idea di bello, sano, normale, deriva dal “gusto personale”, che per quanto noi riteniamo personale, appunto, è invece prodotto culturalmente definito. In tal senso, sia il nostro modo di percepire noi stessi che il modo di percepire ciò che ci circonda e il modo di interpretare la realtà sono, riprendendo quanto sostenuto da Douglas “costrutti culturali, e dunque storici, e in quanto tali, contengono in sé le categorizzazioni centrali della cultura in cui si fondano” ossia, il modo di esprimerci, di presentarci fisicamente e di osservare la realtà, sono determinati e rappresentano la cultura d’appartenenza e con essa sono storicamente contestualizzabili e come essa, socialmente modificabili.
Se tutto ciò che riguarda il comportamento e l’esprimersi è mediato dalla cultura d’appartenenza e se tutto diventa forma d’espressione, il corpo è individuabile come la massima “tavola di scrittura”, il luogo ove ogni soggetto ha la possibilità di rimarcare la propria appartenenza o meno a determinati canoni culturali, di esprimere la propria individualità: è quindi il luogo dell’omologazione e della differenziazione, il nucleo simbolico e pratico d’espressione della tensione culturale tipica della globalizzazione.
Successivamente, nel secondo capitolo, si porrà l’accento su alcuni argomenti emersi nel primo: ci si porrà l’interrogativo su una delle principali questioni che i disturbi del comportamento alimentare pongono, ossia se si tratti di patologie psichiatriche. Si metterà in evidenza come tale classificazione sia anch’essa in gran parte una costruzione sociale: molte condotte, tra le quali i DCA, vengono etichettate come condizioni patologiche a causa del processo di medicalizzazione, il principio che porta a rispondere a condotte che generano stati di ansia tra la collettività, poiché condotte “atipiche”, attraverso la definizione quale malattia.
Nel secondo paragrafo di tale capitolo si rifletterà su come debba essere inteso il disturbo del comportamento alimentare, se quale eccesso di omologazione o modalità trasgressiva di espressione; infine ci si chiederà se l’allarmismo che si sta diffondendo sia motivato da un reale aumento dell’insorgenza di tale condotta o se piuttosto, come si intende sostenere, si tratti più che altro di un aumento dell’attenzione rivolta al fenomeno stesso nel favorire l’aumento nel numero di casi rilevati.
Il capitolo terzo si prefigge di fornire una panoramica rispetto alle modalità previste per la trattazione di tale fenomeno, astenendosi volutamente da gran parte delle considerazioni che verranno invece esposte entro il capitolo conclusivo.
In quest’ultimo saranno sottoposte tre questioni attraverso le quali riconsiderare il capitolo precedente: si tratterà del ruolo delle associazioni di volontariato operanti nel campo oggetto di studio, come e perché esse si formino, riconoscendone la notevole diffusione e rilevanza sociale. Il fenomeno associativo può essere, infatti, letto da diversi punti di vista, riconoscendo l’associazione quale modalità per “elaborare il lutto”, ma anche per uscire dal contesto di isolamento e stigmatizzazione per proporsi positivamente entro la società.
La seconda questione posta riguarderà la “carriera morale” e l’ “etichettamento”, che si possono considerare filo conduttore di tutta la trattazione, nella considerazione che la devianza è costruita dalla società stessa e che tale processo di maggior attenzione porti, più che una risoluzione, ad un incremento di questa, o se non altro a un aumento dei casi rilevati, nonché un suo radicamento e cronicizzazione. In tale ambito si porranno delle riflessioni rispetto alle principali caratteristiche che accomunano le politiche preventive poste in essere e precedentemente esposte.
In ultima analisi si considererà il concetto di “resilienza”, quale capacità di risposta a situazioni stressanti, da valorizzare nelle politiche rivolte ai disturbi del comportamento alimentare.
Questa modalità differente e critica d’osservazione della realtà, è il valore aggiunto dell’analisi che si intende condurre perché, proprio come ritiene Luisa Stagi, la sociologia permette di osservare secondo un’ottica differente un fenomeno considerato unicamente intrapsichico, rendendone palese, almeno in parte, la componente determinata e influenzata socialmente.

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PREFAZIONE La scelta di tale argomento per l’elaborazione della mia Tesi di Laurea non è stata dettata dall’unico e solo “obbligo” di redire un lavoro al termine dei tre anni di corso di studio in Servizio Sociale. È una scelta ponderata e valutata nel tempo, nata dall’osservazione della società e dell’evoluzione di una problematica sociale a mio avviso troppo spesso strumentalizzata e sottovalutata, trattata come un fenomeno di moda più che un fenomeno che esprime un disagio sociale e personale di chi si trovi ad affrontarla, alla quale spesso non viene dato il giusto peso e attenzione. La mia analisi relativa al “disturbo del comportamento alimentare” nasce dalla convinzione che non serva scrivere per analizzare, quanto scrivere per riflettere e dare dignità a un argomento di cui tutti conoscono il nome, pochi conoscono concretamente e profondamente il senso. 3

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Informazioni tesi

  Autore: Alessia Loro Pilone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze del servizio sociale
  Relatore: Rosalba Altopiedi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 90

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