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Autoferimento in adolescenza. Correlati, fattori di rischio e rapporto con il comportamento suicidario.

L'autoferimento e il suicidio sono tra i più gravi problemi di salute degli adolescenti. Nonostante l'autoferimento (NSSI) e il suicidio siano entrambe forme di autolesionismo, questi due tipi di comportamento possono essere differenziati sulla base di tre fattori: le intenzioni, la frequenza e la letalità. Il NSSI può essere definito come un comportamento deliberato, ripetitivo e diretto che altera la superficie corporea senza un intento suicidario consapevole e senza che vi sia un ambito sociale che accetta o favorisce tali fenomeni. I comportamenti suicidari invece hanno a che fare con l’intento deliberato di porre fine alla propria vita.
I modelli attuali relativi alla patogenesi dell'autoferimento suggeriscono il ruolo di fattori di rischio sociodemografici (ad es., età, genere), ambientali (ad es., abuso sessuale, fisico ed emotivo; legame di attaccamento; vittimizzazione) ed individuali (ad es., disregolazione emotiva; correlati psicopatologici; impulsività ed aggressività).
Per quanto riguarda il rapporto tra autoferimento e suicidalità, sembra che l'autoferimento sia un fattore di rischio importante della suicidalità. Sono state poi proposte tre teorie nel tentativo di spiegare questo legame, ma sono necessari ulteriori dati empirici.

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1 I ASPETTI INTRODUTTIVI Quando si parla di aggressività generalmente vengono in mente modalità eterodirette, caratterizzate dalla esternalizzazione dei comportamenti, dal rivolgere i propri attacchi verso terzi o verso oggetti, attraverso aggressioni fisiche e/o verbali che hanno lo scopo di causare danno o dolore alla vittima. In realtà esiste anche un altro modo di esprimere l’aggressività, facendo di se stessi il bersaglio, l’oggetto da aggredire; in questi casi si parla di aggressività autodiretta (Cerutti & Manca, 2008). Sotto questa etichetta è possibile riunire una vasta gamma di comportamenti autolesionistici molto eterogenei tra loro, come ad esempio l’automutilazione, i tentativi di suicidio, l’autoavvelenamento, gravi disturbi alimentari, l’abuso di alcol o droghe, il cutting (tagli sulla pelle), il branding (letteralmente “marchio”, “marchiare”; lesioni epidermiche che si ottengono bruciando la pelle con barrette di metallo incandescenti), le scarificazioni (deformazioni cutanee a scopi decorativi), i tatuaggi, i piercing. Anche nell’ambito delle espressioni artistiche è possibile rintracciare condotte di tipo autolesionistico. Si pensi per esempio alla corrente denominata Body Art, che considera il corpo come una vera e propria opera d’arte, come una tela su cui esibire cicatrici, ferite, sangue, squarci, tagli o persino torture inflitte con coltelli e lamette (Rossi Monti & D’Agostino, 2009). Da questo quadro introduttivo emerge chiaramente che l’idea di farsi del male, di ferirsi, di provocarsi una lesione volontariamente, non appartiene solo al regno della psicopatologia. Esistono infatti molte forme di autolesionismo culturalmente e socialmente riconosciute o addirittura incoraggiate, se inserite nel contesto di un insieme di credenze o di valori che danno loro un senso. Ad esempio strapparsi i capelli o graffiarsi a sangue diventano comportamenti assolutamente comprensibili se osservati nel contesto di un grave lutto in certe culture (Rossi Monti & D’Agostino, 2009). Data l’eterogeneità del fenomeno è più facile classificare queste condotte che darne una definizione esaustiva e univoca.

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Informazioni tesi

  Autore: Veronica Sorte
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia clinica, dello sviluppo e neuropsicologia
  Relatore: Fabio Madeddu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 129

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Parole chiave

adolescenza
fattori di rischio
suicidalità
autoferimento

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