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PrEP: lo stigma paradossale. L'esperienza del Milano Check Point

Il lavoro di ricerca nasce dall’esperienza dell’autore come counsellor volontario presso il Milano Check Point, un centro creato dalle Onlus milanesi che si occupano di HIV per promuovere la prevenzione e la salute sessuale. Oltre a effettuare i test in forma anonima e gratuita e ricevere consulenza da un team di medici e psicologi, presso il centro è possibile intraprendere una terapia preventiva (PrEP) che, tramite l’assunzione di un farmaco secondo specifici protocolli, permette di impedire l’infezione da HIV anche in caso di rapporti non protetti.
Dalla pratica del counselling emergono evidenze empiriche e aneddotiche che suggeriscono come le persone che intraprendono un percorso PrEP siano potenzialmente oggetto di stigma non solo da parte della società più in generale, ma anche all’interno delle stesse comunità di appartenenza e da parte di amici e partner. Questo processo appare essere in connessione con il più ampio stigma e l’ansia che continuano a circondare l’HIV e tende a stigmatizzare le persone che assumono la PrEP come più promiscue e meno responsabili.
Questa constatazione ha suggerito la direzione della ricerca, che ha inquadrato la problematica nelle più ampie tematiche della devianza, la categorizzazione, il pregiudizio, muovendo da un approccio sociopsicologico per adottare un punto di vista etnometodologico, che desse conto dei potenti fattori culturali in gioco nelle tematiche connesse alla sessualità. Si è partiti da una rassegna, anche storica, della letteratura, individuando nella spoilied identity di Goffman e nelle successive ricerche i costrutti di riferimento per confermare l’ipotesi dell’esistenza dello stigma. Sono quindi state passate in rassegna le ricerche qualitative e quantitative che hanno analizzato il benessere psicosociale nelle categorie a rischio, e in particolare le persone LGBTQ+, sia a livello sociale, sia negli ambiti più relazionali, e i cambiamenti portati dall’avvento delle terapie preventive.
Infine, in linea con l’approccio etnometodologico adottato, si è scelto di verificare sul campo l’ipotesi attraverso una storia di vita, raccolta tramite un’intervista semistrutturata. La storia di vita dell’intervista ha confermato l’ipotesi iniziale dell’esistenza di uno stigma e ha evidenziato dei meccanismi di coping originali. Riguardo ai comportamenti di risk compensation, per i quali la letteratura presenta risultati contraddittori, il caso in oggetto ha confermato l’interpretazione che l’utilizzo della PrEP non modifichi in maniera significativa la tendenza alla maggiore o minore promiscuità o responsabilità degli utenti. Nel confronto tra letteratura ed evidenze empiriche emergenti dal counselling, l’indagine ha individuato alcuni aspetti meritevoli di ulteriore ricerca quali l’incidenza dello stigma by association, le specificità delle persone transgenere e i modi in cui il ricorso intensivo a modalità di contatto virtuale incida sulla presentazione del Self nelle persone LGBTQ+.

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5 Introduzione È il 24 aprile 1980. Ken Horne, un giovane assistente di volo, viene ricoverato in un ospedale di San Francisco con i sintomi di due gravi condizioni mediche: il sarcoma di Kaposi, un raro tumore della pelle, e un’infezione da Cryptococcus, un fungo solitamente innocuo per persone in condizioni di salute normali. Colpiti da questo quadro clinico così inusuale per un uomo della sua età, i medici curanti decidono di segnalare il paziente al CDC, il Center for Diseases Control di Atlanta. Di lì a poco, Horne diventerà il primo caso ufficiale di AIDS conclamato negli Stati Uniti. Sono passati esattamente quarant’anni da quella prima diagnosi e molto è cambiato nel panorama clinico e farmacologico. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso i nuovi farmaci antiretrovirali hanno trasformato l’infezione da HIV in una condizione cronica trattabile, che molto raramente evolve in AIDS. Dai primi anni Dieci, inoltre, si sono diffusi protocolli farmacologici – noti come PrEP, Pre- Exposure Prophylaxis – che l’hanno resa non solo curabile, ma anche prevenibile. Eppure, i timori e lo stigma che circondano l’HIV sono rimasti quasi inalterati, nonostante oggi risultino sproporzionati all’effettiva minaccia per la salute. Anche un evento rivoluzionario per le strategie di prevenzione, come l’avvento della PrEP, ha ricevuto un’accoglienza talvolta tiepida dagli operatori sanitari e le istituzioni e, spesso, anche dai potenziali utenti nelle categorie a rischio. Non solo. La PrEP ha suscitato a sua volta un nuovo stigma: l’idea che una terapia preventiva possa diventare un “liberi tutti” in grado di (ri)aprire le porte a una promiscuità, a volte irresponsabile, che le comunità coinvolte, in particolare la comunità LGBTQ+, pensavano di avere archiviato con l’era dell’AIDS. Il quadro descritto suggerisce che i fenomeni di stigmatizzazione che circondano l’HIV, l’AIDS e la PrEP, andando a toccare un aspetto fondante dell’identità quale la sessualità, si estendano molto al di là dei timori per la salute e implichino fattori antropologici e psicosociali assai più profondi e complessi, in particolare per quanto riguarda lo stigma paradossale che circonda la PrEP. Paradossale perché interessa una strumento preventivo in teoria ideale: con vantaggi non solo sanitari innegabili e scientificamente provati e privo di controindicazioni significative. A partire da queste considerazioni, e dall’esperienza personale dell’autore come counsellor volontario presso un’organizzazione non-profit all’avanguardia in Italia nei programmi PrEP – il Milano Check Point –, la presente ricerca si è prefissa di

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Informazioni tesi

  Autore: Claudio Ferrara
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Mario Pesce
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 82

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