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Capitolo 1 
Studio delle interazioni farmaco-bersaglio: 
basi razionali per strategie di “drug repositioning” 
 
La scoperta e lo sviluppo di un farmaco de novo costituiscono un processo complesso 
e stimolante con un tasso di successo stimato di circa il 2%. Una percentuale così 
bassa si ripercuote sui costi medi della ricerca, che negli USA ammontano a 2-3 
miliardi. Tuttavia, alle volte, vi è la possibilità di usare farmaci già in commercio o 
molecole in via di sperimentazione per trattare condizioni patologiche diverse 
rispetto a quelle per cui queste risultano originariamente autorizzate o progettate. 
Esempi recenti sono offerti dal sildenafil, sviluppato come antiipertensivo ma poi 
commercializzato per trattare la disfunzione erettile, e dal dimetil fumarato, usato in 
Europa per oltre 20 anni nel trattamento della psoriasi e recentemente “riconvertito” 
per trattare la sclerosi multipla (approvato a tale scopo nel 2013) [Pillaiyar 2020]. 
Anche gli effetti indesiderati di un farmaco possono essere sfruttati nell’ambito di 
una sua nuova possibile indicazione terapeutica. Ad esempio, la forte attività 
antiangiogenetica della talidomide, responsabile della focomelia - suo tragico effetto 
collaterale - si è rivelata utile per il trattamento del mieloma multiplo. 
Indagare l’efficacia di molecole farmacologicamente attive (con AIC o meno) verso 
nuove indicazioni terapeutiche usando il drug repositioning può permettere quindi di 
superare molti degli ostacoli che condizionano la ricerca farmaceutica, come la 
necessità di soddisfare determinati standard di qualità. Riducendo la percentuale di 
insuccesso, il drug repositioning rappresenta anche una ragionevole possibilità per 
identificare agenti farmacologici efficaci contro malattie rare e rendere la medicina 
personalizzata più accessibile, in quanto si riduce il costo medio del processo di 
scoperta di farmaci.
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Come schematizzato in Figura 1.1, se l’obiettivo del drug repurposing è individuare un 
nuovo bersaglio molecolare (implicato in un processo patogenetico di una data 
malattia) per un farmaco già presente sul mercato, l’inizio del riposizionamento del 
farmaco coincide proprio con la scoperta del nuovo target. Dato che il farmaco in 
esame è già in uso, i trials clinici possono iniziare da quelli di fase 2 e 3, mentre non è 
necessario condurre gli studi preclinici e quelli clinici di fase 1 in quanto essi sono già 
disponibili. Ciò si traduce in una riduzione significativa dei tempi necessari per la 
valutazione dell’efficacia del farmaco, con un notevole vantaggio anche economico 
[Park 2019].  
 
 
 
 
 
 
 
Figura 1.1 - Rappresentazione schematica dello sviluppo di un farmaco de novo o per 
drug repurposing [Park 2019]. 
 
1.1 – Farmaci, bersagli biologici e malattie  
Come per il sildenafil e la talidomide citati sopra, molti casi di drug repositioning 
derivano da “serendipity” o da studi “a posteriori”. Tuttavia, per poter ottenere 
migliori risultati, sono necessarie strategie sistematiche e razionali che permettano di 
indirizzare un farmaco noto verso una nuova indicazione terapeutica in modo mirato, 
così da sfruttare appieno i vantaggi del drug repositioning.
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La Figura 1.2 mostra una classificazione semplificata dei differenti approcci razionali 
di drug repositioning, schematizzando le diverse relazioni possibili tra farmaci (D), 
targets biologici (T) ed indicazioni terapeutiche (I). Secondo la teoria recettoriale, 
l’interazione di una piccola molecola di farmaco con uno o più targets biologici induce 
diversi effetti, che possono essere utili ai fini terapeutici (I) o che invece possono 
rappresentare effetti collaterali indesiderati (S). Dallo studio approfondito delle azioni 
esplicate simultaneamente da una molecola bioattiva, possono emergere 
suggerimenti determinanti per la riproposizione dello stesso farmaco in un diverso 
ambito terapeutico. 
 
Figura 1.2 – Diversi approcci razionali di drug repositioning [Parisi 2020]. 
 
• L’approccio di drug repositioning può essere “malattia-centrico”: in tal caso, 
l'impiego di un farmaco viene esteso dall'indicazione terapeutica originale (I) ad una 
patologia strettamente correlata (I2). 
• Nel drug repositioning “target-centrico”, l’identificazione di una nuova 
indicazione terapeutica (I2) è collegata ad un target terapeutico ben noto e
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consolidato, di cui si scopre il coinvolgimento in un’altra patologia; da ciò deriva la 
nuova indicazione del farmaco che agisce su quel determinato bersaglio biologico 
implicato in due diverse malattie. 
• Infine, nell’approccio di drug repositioning “farmaco-centrico”, l’identificazione 
di un nuovo target farmacologico (T2), con il quale il farmaco interagisce, permette di 
indirizzare il farmaco stesso verso una nuova indicazione terapeutica (I 2). 
Ognuno di questi approcci si basa sul ruolo chiave che una determinata proteina-
target, funzionalmente alterata, gioca nella patogenesi di una malattia e sull’efficacia 
di un farmaco che consente il trattamento della malattia mediante l’inibizione o 
l’attivazione di tale bersaglio biologico. Perciò il drug reposizioning può avviarsi da 
ciascuno di questi tre livelli: malattia, target biologico o farmaco [Parisi 2020]. 
La relazione farmaco/malattia rappresenta la via più diretta per rivalutare una 
molecola, poiché guida verso l’ipotesi che l’uso di un farmaco possa essere ampliato 
dall’indicazione originale ad un'altra strettamente correlata. Il cosiddetto 
repositioning “malattia-centrico” consiste nel re-profiling dei farmaci tra differenti 
tipi di una malattia, come ad esempio diversi tipi di tumore. Alla base di tale 
approccio vi è la considerazione che diverse malattie condividono processi 
patogenetici simili (nel caso dei tumori questi sono evidenziati dai loro “marcatori”). 
Tuttavia bisogna sempre tenere presente che, nonostante tali punti in comune, anche 
indicazioni strettamente correlate possono avere differenze cruciali che si traducono 
in un fallimento del processo di drug repositioning. Ad esempio, il nilotinib, inibitore 
di tirosin-chinasi originariamente approvato per il trattamento della leucemia 
mieloide cronica imatinib-resistente, era stato riproposto da Novartis per trattare 
altre patologie tumorali come i tumori stromali gastrointestinali (GIST). Tuttavia, lo 
sforzo di Novartis nell’espandere l’impiego terapeutico del nilotinib a questo tipo di 
tumori è risultato in buona parte vano, in quanto studi clinici di fase III sono arrivati 
alla conclusione che non era consigliabile usare il nilotinib come farmaco di prima 
scelta di largo impiego per il trattamento dei GIST, non escludendo comunque la
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possibilità che sottogruppi limitati di pazienti potessero beneficiare di tale 
trattamento [Blay 2015].  
In maniera complementare all’approccio malattia-centrico, il repositioning “target-
centrico” si basa sull’individuazione di un nuovo collegamento tra un bersaglio 
biologico ben noto e una nuova indicazione terapeutica (Figura 1.2). Per esempio, la 
proteina ad attività tirosin-chinasica Abl, finora nota per il suo coinvolgimento nella 
trasmissione di segnali che aboliscono il normale controllo della proliferazione 
cellulare e permettono lo sviluppo di cellule tumorali, è stata recentemente proposta 
quale nuovo bersaglio molecolare per il trattamento del morbo di Parkinson. Infatti è 
stato osservato che la proteina Abl promuove una serie di eventi cellulari che 
culminano nella morte neuronale; in accordo a ciò, la somministrazione di nilotinib, 
inibitore di questa tirosin-chinasi in grado di attraversare la barriera emato-
encefalica, riduce significativamente la perdita di neuroni dopaminergici in modelli 
animali di Parkinson, suggerendo che questo farmaco potrebbe risultare efficace nel 
trattamento di tale patologia [Karuppagounder 2014]. Il nilotinib potrebbe essere 
quindi riproposto per una nuova indicazione terapeutica; lo spostamento del suo 
impiego verso una patologia neurodegenerativa, molto diversa dal cancro che 
costituisce la sua indicazione originaria, è stato “guidato” dal medesimo target 
biologico (la proteina tirosin chinasica Abl) e rappresenta quindi un caso di 
repositioning “target-centrico” [Parisi 2020]. 
Infine, il repositioning “farmaco-centrico” si verifica quando per un dato farmaco 
viene prevista o, meglio, viene dimostrata la sua azione su un nuovo target connesso 
a una certa patologia, che suggerisce il repositioning del farmaco stesso per una 
nuova indicazione terapeutica (Figura 1.2). Per esempio, l’acido valproico è impiegato 
per trattare il disturbo bipolare e l’epilessia in base alla sua capacità di interagire con 
due enzimi mitocondriali (succinato semialdeide deidrogenasi – ALDH5A1 e 4-
amminobutirrato amminotransferasi – ABAT) e di modularne la funzione; tale 
farmaco interagisce anche con l’istone deacetilasi 2 (HDAC2), proteina che gioca un
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ruolo importante nello sviluppo di molti tipi di tumore. È stato ipotizzato quindi che 
l’acido valproico sia in grado di arrestare la crescita e la differenziazione neoplastica e 
di indurre apoptosi nelle cellule tumorali. Ciò ha portato ad una sua riproposizione 
quale potenziale agente antineoplastico per il trattamento di condizioni come la 
poliposi adenomatosa familiare [Huang 2006]. 
 
1.2 – Metodi predittivi per lo studio delle interazioni farmaco-target nel drug 
repositioning  
Un’accurata caratterizzazione delle interazioni farmaco-target consente di seguire un 
approccio farmaco-centrico per l’ideazione di nuove ipotesi razionali di drug 
repositioning. L’identificazione sperimentale delle interazioni di legame, che si basa 
principalmente sull’analisi cristallografica a raggi X e sulla spettroscopia NMR, può 
essere impegnativa e costosa; pertanto, oggi si impiegano prevalentemente tecniche 
computazionali, generalmente distinte in: 
• metodi “ligand-based”: predicono l’affinità di legame dei potenziali ligandi 
comparandoli con composti noti per essere attivi verso una determinata proteina-
selezionata come target molecolare. L’attendibilità dei metodi “ligand-based”, come i 
metodi QSAR o i modelli farmacoforici, dipende dal numero dei ligandi conosciuti per 
essere attivi nei confronti di quel determinato bersaglio molecolare: infatti, maggiore 
è il numero di ligandi noti, più attendibile sarà il modello farmacoforico che si ottiene 
dalla loro sovrapposizione e dal confronto delle loro caratteristiche strutturali; 
• metodi “target-based” (come docking e binding-site similarity): sono strumenti 
potenti per l’identificazione di nuovi casi di drug repositioning. Si basano sulla 
dettagliata conoscenza della struttura del bersaglio prescelto (ottenuta generalmente 
per cristallografia a raggi X), con la quale vengono fatti interagire virtualmente 
farmaci noti, per poter individuare quali tra questi possano legarsi al target e quindi 
potenzialmente esercitare un’azione su di esso. Tuttavia, nonostante i successi 
ottenuti tramite questi approcci nella predizione delle possibili interazioni farmaco-
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target, la performance di questi metodi è limitata dalla scarsa disponibilità delle 
strutture dei possibili bersagli, soprattutto nel caso di recettori accoppiati a proteine 
G (GPCRs).  
• metodi “machine learning-based”: predicono nuove potenziali coppie farmaco-
target, identificando somiglianze strutturali sia tra le molecole che tra i bersagli. Sono 
in genere classificati in “feature-vector-based” e “similarity-based”. Comparando il 
tempo impiegato dai vari metodi predittivi, gli approcci machine learning-based sono 
i più rapidi ed efficienti, pur presentando diverse limitazioni derivanti dai database 
comunemente usati, che a volte mancano di importanti aspetti relativi alle interazioni 
farmaco-target (come la dipendenza dalla dose e la valutazione quantitativa 
dell’affinità) [Parisi 2020]. 
Le tecniche “structure-based” più impiegate per predire le interazioni farmaco-
recettore comunemente utilizzano le informazioni strutturali relative al sito di legame 
del target, al fine di dedurre nuove correlazioni tra farmaci e potenziali bersagli. Uno 
studio condotto da Haupt et al. ha dimostrato che la possibilità che un farmaco 
interagisca con più targets biologici diversi è correlata al grado di somiglianza dei siti 
di legame di tali bersagli. Questo suggerisce come l’analisi strutturale del sito di 
legame giochi un ruolo importante nel processo di drug repositioning. Infatti approcci 
“structure-based” sono stati applicati con successo nel drug repositioning per 
individuare nuovi candidati agenti terapeutici.  
Un esempio è fornito dallo studio condotto da Li e colleghi, i quali hanno usato un 
approccio “docking-based” al fine di individuare nuovi bersagli molecolari per farmaci 
esistenti, mediante screening computazionale pressoché dell'intero proteoma 
farmaceutico. Questi Autori hanno sviluppato un metodo di drug repositioning 
computazionale, con l’obiettivo di effettuare su larga scala esperimenti di molecular 
docking di piccole molecole in proteine target e in tal modo ottenere una mappatura 
dello spazio di interazione farmaco-target (cioè delle possibili interazioni farmaco-
target) e trovare nuovi legami farmaco-bersaglio. In tutto, il loro database era