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Capitolo Primo 
VALORE GENERATO PER IL CLIENTE, CONTROLLO 
DEI COSTI E ASSET VALUE. UN APPROCCIO 
INTEGRATO
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Nell’attuale scenario caratterizzato da crescita ridotta e scarsa fedeltà da parte della 
clientela, i dirigenti sanno quanto sia necessario soddisfare al meglio le esigenze dei 
clienti per garantire al proprio business una crescita e una redditività a lungo termine.  
A tal proposito, il contributo del presente lavoro risiede nel tentativo di calcolare ed 
ottimizzare il customer equity di un’azienda di servizi operante nel settore BtoB, 
attraverso un modello in grado di far emergere le relazioni tra valore percepito dal 
cliente e risultato economico aziendale. Il fine del presente lavoro è quello di 
dimostrare che, avvalendosi di un metodo di analisi che sia in grado di orientare le 
risorse aziendali, e quindi il governo dei costi, in base al perseguimento della 
massimizzazione del valore percepito dai clienti, si individuano delle possibili azioni 
correttive coerenti con la soddisfazione del cliente e con la customer profitability le 
quali, se implementate, aumentano il customer equity. 
In base a tali considerazioni, in questo capitolo viene presentato tale modello e 
vengono analizzate in dettaglio le leve del customer equity.  
1.1 Alle origini del modello 
Capire quale sia la relazione esistente tra i costi dell’impresa ed il valore che 
l’impresa fornisce al mercato, rappresenta la chiave che consente ad un’azienda di 
raggiungere il suo profitto potenziale. Per sviluppare una strategia competitiva di 
successo è infatti necessario creare valore per il cliente, che significa offrire prodotti 
                                                           
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 La stesura del capitolo è frutto del lavoro congiunto di Arena e Pace.
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e servizi che incontrano le esigenze attuali del mercato. Dal punto di vista 
competitivo risulta infatti prioritario il perseguimento della massimizzazione del valore 
percepito dal cliente al fine di acquisire la preferenza dei clienti (Heskett et al. 1994). 
Per quanto riguarda il risultato reddituale dell’impresa, il concetto di valore per il 
cliente ha duplice rilevanza. Infatti da un lato, le performance aziendali sono 
direttamente connesse al prezzo monetario; il cliente decide di accettare l’offerta 
dell’impresa quando ritiene soddisfacente il rapporto fra prestazione ricevuta e 
prezzo pagato. In questo caso il cliente esercita quindi un impatto diretto sui ricavi 
aziendali. Dall’altra parte, l’utilizzo di risorse aziendali per erogare prestazioni ha u n 
impatto diretto sui costi aziendali 
Nella letteratura, sono diversi gli autori che hanno cercato di capire la relazione 
esistente tra valore per il cliente, costi aziendali e prezzo. Molti di loro hanno 
affrontato solo singolarmente ciascuna variabile, cercando di migliorare le tecniche di 
cost measurement e cost management; le più innovative tecniche di cost 
management sono state progettate al fine di migliorare la metodologia per allocare i 
costi aziendali (ABC Activity-based-costing: Kaplan e Cooper, 1998; Morrow, 1992), 
incrementare la profittabilità dei prodotti/servizi o dell’azienda attraverso la riduzione 
dei costi (Target costing: Ansari e Bell, 1997; Cooper, 1995; Horváth, 1993; 
Yoshikawa, 1993), di migliorare la qualità dei processi interni (TQM Total-quality-
management: Deming, 1986), di sviluppare strategie competitive attraverso la catena 
del valore utilizzando le informazioni sui costi (SCM Strategic-cost-management: 
Shank e Govindarajan, 1993). Nonostante questi modelli siano stati proposti come 
mezzi per fornire valore all’impresa, essi hanno largamente ignorato il concetto di 
valore che deriva dalla prospettiva del cliente (McNair, Polutnik e Silvi, 2001). Altri 
autori hanno largamente trattato il tema del valore e della soddisfazione per il cliente 
(Oliver, 1997; Rust e Zahorik, 1993; Fishbein, 1967; Green e Rao, 1971; Green e 
Wind, 1973; Green e Srinivasan, 1978 e 1990). 
Da circa un decennio il tema del miglioramento della gestione dell’efficienza interna e 
il collegamento con la gestione della clientela è trattato con più consapevolezza dal 
mondo accademico. Infatti, si può osservare il contributo di autori come Van Triest 
(2005), il quale, seguendo il filone che mette il cliente al centro del cost management, 
ha individuato tre categorie di costi riguardanti la relazione con il cliente, ovvero costi 
specifici per determinati clienti, costi relativi al processo di transazione fisica e costi
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che non possono essere attribuiti individualmente al cliente; Van Raaij (2005) si è 
focalizzato sulle modalità di attribuzione ai segmenti di clientela dei costi per 
mantenere la relazione con il cliente; autori come Collini (2006), Krakhmal (2006), 
Kaplan e Narayanan (2001), Smith e Dikolli (1995) hanno scritto sull’applicazione 
dell’activity based costing come strumento per determinare la customer profitability. 
In sintesi, questi contributi accademici non permettono di identificare quali attività 
dovrebbero essere valorizzate, e non forniscono alcuna valutazione circa i legami tra 
struttura dei costi interni ed il valore per i clienti. 
Un contributo rilevante verso la congiunzione tra costi aziendali e valore per il cliente 
è offerto McNair (1994 e 2001), il quale sviluppa il value creation model (VCM), 
“modello che definisce il prezzo come una valida approssimazione del valore che il 
cliente percepisce dall’insieme delle caratteristiche che il prodotto possiede” (McNair, 
Polutnik e Silvi, 2001). 
Il punto focale del modello è dato dallo sviluppo del profilo del valore per il cliente e 
cerca pertanto di ricostruire, attraverso indagini di mercato, il peso che i clienti 
attribuiscono agli attributi che caratterizzano il prodotto. In particolare secondo 
l’autore le risorse a ziendali devono essere allocate in modo tale da potenziare le 
attività il cui valore è percepito dal cliente. A questo proposito McNair classifica le 
attività come segue: 
1. Attività a valore aggiunto (VA): attività alle quali il cliente attribuisce un valore 
e che in base al loro volume e alla loro qualità delle fonda la scelta d’acquisto 
e fissa il livello di prezzo che è disposto a pagare; 
2. Attività senza valore aggiunto (NVA): attività il cui valore non è percepito dal 
cliente e quindi per le quali non sarebbero disposti a pagare un prezzo, ma 
sono necessarie per lo svolgimento dei processi aziendali; 
3. Sprechi (W): attività che non sono né riconosciute dal cliente né necessarie, 
ma che vengono svolte a causa di una gestione inefficiente. 
La gestione dei costi di capacità si traduce quindi nella gestione profittevole delle 
competenze, processi e capacità che creano valore in un’organizzazione attraverso il 
controllo del costo unitario delle attività a valore aggiunto e nella minimizzazione 
degli sprechi (McNair e Vangermeersch, 1998).
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Il modello di McNair cerca di comprendere il trade-off tra quello che i clienti 
sarebbero disposti a pagare per un prodotto e il costo che l’impresa sostiene per 
fornire ai clienti quello che desiderano. Tenuto conto di questo trade-off, vengono 
definiti dei multipli di valore (value multipliers) al fine di aiutare l’impresa a 
determinare su quali attività dovrebbe focalizzarsi (ovvero attività a valore aggiunto) 
per raggiungere un vantaggio competitivo. 
Tuttavia, modelli come quello di McNair, basati su un approccio di strategic cost 
managemet, non hanno affrontano esplicitamente il collegamento fra soddisfazione 
per il cliente e costi aziendali riguardanti la produzione e l’erogazione di un servizio, e 
si concentrano prevalentemente su imprese di tipo manifatturiero e industriale (Carù, 
Cugini, Zerbini, 2007). 
Carù e Cugini (2000) hanno sviluppato un metodo che consente di integrare 
l’orientamento al cliente e i costi aziendali alle imprese di servizi, per le quali il 
governo della relazione prezzo-costo è più complesso in quanto risulta non agevole 
l’identificazione dell’unità di servizio come oggetto di riferimento per l’attribuzione di 
costi. In particolare, le caratteristiche dei servizi sono identificate nella natura 
composita del servizio, costituito da un insieme di attributi e componenti, nella loro 
natura immateriale, e nella modalità di fruizione differenziata delle componenti del 
servizio da parte dei clienti per cui il servizio assume un profilo variabile a seconda 
delle scelte di fruizione del cliente. A tal proposito, il modello proposto dalle due 
autrici persegue l’obiettivo dell’integrazione tra costi e valore sulla base 
dell’individuazione del legame tra componenti del servizio e attività aziendali, 
attraverso la ricerca delle coerenze/incoerenze tra investimento di risorse aziendali 
che generano costi, atteggiamenti e percezioni di prezzo da parte del cliente.  
Le attività svolte dall’azienda non offrono tutte lo stesso contributo alla generazione 
di valore per i clienti: grazie all’analisi della relazione tra componenti del servizio e 
attività, è possibile individuare ed eliminare i costi che non aggiungono valore e 
ridistribuire così le risorse a favore di attività che possono migliorare le componenti 
del servizio considerate rilevanti dal cliente. In questo senso, il costo del valore 
percepito dal cliente è composto da due elementi: il costo del valore differenziale ed 
il costo del valore non differenziale (Figura 1.1).
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Fig. 1.1 Le relazioni tra attività, costi e valore 
 
Fonte: Carù, Cugini (2000), p. 116. 
Il costo del valore differenziale è originato dalle attività che sottendono le componenti 
dell’offerta in grado di generare ai clienti valore rispetto alle offerte dei concorrenti. Il 
costo del valore non differenziale è invece dato dalle risorse assorbite dalle attività 
legate alle componenti del servizio non utilizzate per differenziare l’offerta. Il costo 
del valore generato è la somma tra il costo del valore percepito ed il costo del valore 
non percepito. Quest’ultimo si riferisce alle attività di cui il cliente non ha 
consapevolezza ma la cui presenza risulta indispensabile nei processi di erogazione; 
la sua mancanza infatti impatterebbe negativamente sulla percezione del cliente. 
Infine vi sono altre due tipologie di costi che sono connesse ad attività che non 
hanno nessun effetto sul valore generato per il cliente; la prima tipologia è riferita ai 
costi del valore interno, legate alle attività di supporto interne all’azienda, mentre la 
seconda tipologia riguarda i costi che non creano valore, riferiti ad attività che non 
generano valore nemmeno ai clienti interni all’azienda che possono riguardare o 
attività che l’azienda potrebbe eliminare, o attività che rispondono a obblighi di legge. 
Nel presente lavoro il modello Carù-Cugini viene seguito come riferimento nei capitoli 
successivi per analizzare l’impresa oggetto d’esame e per individuare, in base alle 
preferenze dei diversi segmenti di clientela, come riorganizzare l’impiego di risorse 
aziendali al fine di incrementare il valore dell’off erta per il cliente e il valore 
dell’azienda stessa.
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1.2 Lineamenti del modello 
La logica di fondo del modello è rappresentata, sinteticamente, in Figura 1.2. 
Fig. 1.2 Modello per l’integrazione (Carù, Cugini)  
 
Fonte: Carù, Cugini, (2000), p. 126. 
Come evidenziato dalla Figura 1.2, il metodo si compone di quattro fasi.  
La prima fase riguarda l’individuazione delle attività e la selezione delle componenti 
del servizio (1). L’individuazione delle attività aziendal i è finalizzata all’adozione di un 
approccio che consideri i costi non esclusivamente sotto un aspetto contabile ma 
soprattutto come lo sforzo compiuto dall’impresa al fine di generare valore per il 
cliente; la selezione delle componenti del servizio è invece necessaria per 
determinare il gruppo di attributi e componenti che costituiscono le principali 
determinanti del valore percepito.  
Attraverso la seconda fase, ossia la misurazione del valore per il cliente (2) si rileva il 
grado di soddisfazione dei clienti con riferimento alle diverse componenti del servizio. 
Dopo aver calcolato il costo delle attività correlate alle componenti del servizio si 
passa alla terza fase che prevede il calcolo dei costi assorbiti dai segmenti (3); con 
l’attuazione di questa fase è possibile quantificare, per segmento di clientela, la 
totalità dei costi assorbiti dai singoli segmenti, e definire un conto economico per 
segmento che mostri la loro profittabilità secondo la gestione aziendale in corso. 
Infine, con la quarta fase, avviene l’integrazione fra le due discipline. Infatti, 
attraverso la valutazione della coerenza tra costi assorbiti e valore generato (4) è 
possibile coniugare gli sforzi del marketing, volti all’obiettivo di massimizzazione della
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customer satisfaction, e gli sforzi del controllo di gestione, focalizzato sul controllo e 
su una gestione efficiente delle risorse aziendali. 
1.3 I lineamenti del metodo basato sul customer equity 
Il customer equity (valore dei clienti) considera il cliente come un asset finanziario 
intangibile (Gupta e Lehmann, 2003) che le imprese dovrebbero misurare, gestire e 
massimizzare proprio come un qualsiasi altro asset (Blattberg et al., 2001); in questo 
modo, le imprese possono governare in maniera più profittevole la relazione cliente-
impresa, implementando specifiche azioni di marketing per specifici classi di clienti. 
Il customer equity (CE) è definito come la combinazione tra il valore dei clienti 
correnti ed il valore dei clienti futuri dell’impresa, intesi come asset (Hogan et al., 
2002). 
Per adottare un approccio basato sul customer equity le imprese devono sviluppare 
nuovi metodi per valutare il proprio business. Gestire il customer equity significa 
implementare un sistema di marketing dinamico e integrato che si avvale di tecniche 
di valutazione finanziaria e dei dati sui clienti per ottimizzare l’acquisizione di nuovi 
clienti, il loro mantenimento e la vendita di ulteriori prodotti e che massimizza per 
l’azienda il valore delle relazioni con il cliente in tutto il ciclo di vita (customer lifetime 
value, CLV) (Shaw, Merrick, 2006). 
A questo proposito è indispensabile la contabilità clienti e l’allineamento reddituale 
con la contabilità clienti. La contabilità relativa ai clienti richiede il calcolo degli effetti 
dell’acquisizione, del mantenimento, del cross-selling e delle migrazioni sulla 
numerosità dei clienti. La contabilità clienti è solo una fase intermedia per giungere 
alla modellazione del customer equity; a questo punto si rende infatti necessario 
integrare i dati reddituali.  
La Figura 1.3 rappresenta uno schema riguardante i rapporti di calcolo tra base 
clienti e parametri reddituali. 
Le spese di acquisizione incidono sul tasso di acquisizione, ma incidono anche sulla 
redditività in quanto rappresentano un costo; la base clienti cambia in conseguenza 
dell’effetto netto del rapporto fra tasso di perdite e di acquisizione; infine, la 
dimensione della base clienti determina sia i ricavi che i costi i quali, uniti alle spese 
di acquisizione, permettono di calcolare la redditività (Shaw, Merrick, 2006).
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Fig. 1.3 Rapporti di calcolo fra base clienti e parametri reddituali 
 
Fonte: Merrick e Shaw (2006), p. 321. 
1.4 Misurare il customer equity: i diversi approcci 
Il customer equity può essere misurato attraverso vari approcci, i quali si suddividono 
in due tipologie: i sistemi aggregati e il metodo disaggregato. I sistemi aggregati 
prevedono che un’impresa calcoli il valore totale della propria base clien ti 
determinando il customer lifetime value medio per cliente e moltiplicandolo per il 
numero di clienti presenti in portafoglio, mentre l’approccio disaggregato misura il 
valore di ogni singolo cliente attraverso la sua propensione all’acquisto e la sua 
purchase history. 
1.4.1 I sistemi aggregati 
In generale le distinzioni tra i diversi approcci si basano principalmente sulle ipotesi, 
sui requisiti in termini di dati, sulle metriche e sul tipo e livello di aggregazione. 
Per illustrare le differenze all’interno dei diversi approcci agg regati, si descrivono 
brevemente quattro diversi metodi chiamati: (1) Berger, Nasr (BN) approach, (2) 
Gupta, Lehmann (GL) approach, (3) Blattberg, Getz and Thomas (BGT) approach e 
(4) Rust, Lemon and Zeithaml (RLZ) approach. (Kumar, Morris, 2007). 
Il metodo BN (Berger, Nasr, 1998) che calcola il CLV a livello aziendale, introduce il 
modello base del customer lifetime value partendo da tre ipotesi base: 
 Le vendite si svolgono una volta all’anno; 
 La spesa annuale di mantenimento (M) del cliente ed il tasso di mantenimento 
rimangono costanti durante tutto il periodo; 
 Il margine di contribuzione lordo annuale (GC) rimane costante.