1INTRODUZIONE
Questa tesi affronta, per lo specifico caso italiano, una problematica che nasce da
un dilemma presente nei cittadini di tutte le moderne democrazie occidentali nei
confronti della pubblica amministrazione: da una parte la sentita necessità di azioni
positive per migliorare i servizi pubblici e garantirsi maggiori diritti; dall’altra il
bisogno di un contenimento della spesa pubblica per evitare un’eccessiva pressione
fiscale.
Alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta, si è avuto a livello
internazionale lo sviluppo e la diffusione di un movimento managerialista di riforma
delle pubbliche amministrazioni, denominato “New Public Management” (NPM).
Questo ha dato luogo, sul piano teorico, ad una vera e propria dottrina elaborata da
studiosi ed esperti del settore che ha orientato, con i suoi principi, le agende dei governi
di molti paesi nella progettazione ed attuazione della riforma del loro sistema di
pubbliche amministrazioni.
L’oggetto della tesi è l’analisi del movimento di idee del NPM e del loro impatto
sulla policy community della riforma amministrativa italiana.
Il primo passo sarà capire cosa sia realmente il NPM e quali siano i suoi principi
guida. Per ricostruire la dottrina del NPM analizziamo, nel primo capitolo, le sue origini
teoriche, i fattori di interpretazione elaborati dagli studiosi sulla nascita e sullo sviluppo
del NPM e gli approcci interni a questo movimento. Tenteremo poi un’operazione di
sistematizzazione della letteratura sul NPM, che ci permetta di ricavarne un quadro
organico e riassuntivo.
Noteremo che i principi di questa dottrina non sono nuovi al panorama delle teorie
di riforma delle pubbliche amministrazioni, ma fino alla fine degli anni Ottanta, cioè
prima della diffusione del NPM, non ci sono mai state riforme in cui questi elementi
siano stati inseriti tutti contemporaneamente. Pertanto è certamente nuovo
l’assemblaggio di idee che costituiscono il NPM, come altrettanto nuove sono la
diffusione e la sperimentazione di tali principi di riforma amministrativa su larga scala.
Al fine di riuscire a penetrare maggiormente nella logica del NPM, nel secondo
capitolo esaminiamo alcune modalità di elaborazione e realizzazione ispirate al NPM,
2nella riforma delle pubbliche amministrazioni di alcuni paesi leader. Individueremo due
modelli teorici di realizzazione, che denominiamo modello strategico e modello
incrementale, a cui possono essere ricondotte, in maniera sintetica, le molteplici ricette
di riforma dei vari paesi, fra cui anche l’Italia. Questa analisi ci permetterà di capire il
grado di fedeltà alla dottrina di riforma del NPM, delle misure intraprese dai vari
governi, in particolare da quello italiano.
Il terzo capitolo chiude la prima parte della tesi, con un’analisi del dibattito
internazionale sulle questioni teoriche e di implementazione del NPM, insieme con le
varie critiche ed osservazioni presenti in letteratura. Lo scopo di questo capitolo è
compiere una riflessione sul NPM come ideologia, che servirà successivamente per
operare un confronto con l’ideologia sottesa al caso italiano di riforma amministrativa.
Quello che emerge da questa prima sezione della tesi, è che non esiste un unico
“modello NPM” di riforma amministrativa e non esiste neanche un’unica “teoria del
NPM”: esistono vari approcci ed esperienze di applicazione diverse.
Nella seconda parte della tesi, ricostruiremo come le idee della dottrina del NPM
siano arrivate in Italia; da chi siano state introdotte nel nostro paese; quali effetti
abbiano avuto sugli attori che le hanno tematizzate, dibattute e tradotte, e quali
influenze abbiano avuto su coloro che hanno pensato e condotto la riforma
amministrativa italiana.
Il quesito, che guida la tesi, si può riassumere in queste semplici domande:
Qual è stato l’impatto della dottrina del NPM sull’impianto della riforma
italiana?
Qual è stata la sua influenza sulla comunità giuridica che ha guidato la
progettazione della riforma amministrativa italiana?
Qual è stata la conseguenza sui contenuti della normazione di riforma delle
pubbliche amministrazioni emanata negli anni Novanta?
Individuiamo, quindi, nel quarto capitolo, la composizione della policy community
della riforma amministrativa italiana, riportando le idee di due aziendalisti pubblici,
Borgonovi e Meneguzzo; dell’analista delle politiche pubbliche Dente e di due giuristi,
Cassese e Bassanini, che sono stati Ministri della Funzione Pubblica in quegli anni.
3Vedremo come la dottrina del NPM sia stata tradotta e portata in Italia soprattutto
dagli aziendalisti pubblici, il cui contributo è stato tuttavia parziale nella fase di
elaborazione di leggi e decreti di riforma. Noteremo inoltre come non sia riconosciuta,
da parte dei giuristi, alcuna influenza del NPM sulla progettazione della riforma italiana
delle pubbliche amministrazioni, da loro condotta. Il loro monopolio è uno dei fattori
che caratterizzano il connotato normativo dell’intera riforma, tanto da farci parlare, nel
caso italiano, di modello incrementale per decreto.
Infine il quinto capitolo cerca un parallelismo fra i contenuti delle leggi italiane ed i
principi e le misure di riforma, proposte dalla dottrina del NPM, mediante l’analisi della
letteratura giuridica sulla normativa italiana degli anni Novanta.
Il punto di arrivo della tesi è che la contaminazione dell’agenda di riforma italiana
da parte del movimento managerialista del NPM è stata abbastanza evidente nella
sostanza, senza però essere stata accompagnata da un dibattito e da un movimento di
riformatori (intellettuali, imprenditori di policy, consulenti, dirigenti, etc.) che abbiano
condiviso un progetto politico unitario, chiaro e dichiarato. Le idee del NPM hanno
pervaso il disegno legislativo incrementale italiano limitatamente ad alcuni opinion
leader, che ne hanno tuttavia preso le distanze. Il “NPM all’italiana” è stato terreno
privilegiato di un’élite di singoli promotori, i quali, circondati da un ristretto entourage
di consulenti, hanno dato il via alla riforma italiana in modo incrementale e solipsistico.
Possiamo rilevare così che, in un paese come l’Italia a costituzione rigida e dove è
stata documentata dagli studi di scienza dell’amministrazione l’assenza di una radicata
cultura del cambiamento delle pubbliche amministrazioni sia nel mondo politico che in
quello dirigenziale, la strategia dei “piccoli passi” resti l’unica via per addivenire alla
attuazione della riforma del NPM.
Risulta comunque propulsivo l’attuale ruolo del Dipartimento della Funzione
Pubblica che ha avviato, nel corso di quasi dieci anni, una serie di iniziative e di progetti
di diffusione delle nuove pratiche di gestione ed ha promosso iniziative di innovazione,
quali convegni di formazione di politici e dirigenti, finalizzati al rafforzamento di una
cultura del cambiamento delle pubbliche amministrazioni nella logica di riforma del
NPM.
4
CAPITOLO 1
ORIGINI TEORICHE E PRINCIPI DELLA
DOTTRINA DEL NEW PUBLIC MANAGEMENT
1.1. INTRODUZIONE
Durante gli anni Ottanta e Novanta gli apparati amministrativi della maggior parte
dei paesi facenti parte dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico) sono stati interessati da profonde trasformazioni. Si è assistito all’avvio di
riforme amministrative che hanno inciso sull’organizzazione e la gestione delle
pubbliche amministrazioni e sull’erogazione dei loro servizi e nello stesso tempo sono
state elaborate alcune teorie sulle riforme da apportare assai divergenti e disomogenee
fra loro.
La più nota fra queste teorie è la dottrina del “New Public Management” (d’ora in
avanti indicata con NPM), sotto la cui denominazione vengono ricondotte ipotesi ed
indicazioni a carattere prescrittivo, accomunate dall’intento di introdurre tecniche di
gestione manageriali all’interno del settore pubblico.
L’approccio del NPM è caratterizzato da un elemento essenziale, ovvero dal forte
orientamento normativo, secondo il quale la comparazione tra i sistemi amministrativi
viene condotta sulla base del grado di vicinanza rispetto ad un modello ideale, in questo
caso rappresentato dall’amministrazione-impresa statunitense e britannica, con un
esplicito invito rivolto alle diverse esperienze nazionali alla convergenza rispetto a quel
modello.
Non è un caso del resto che siano stati i paesi dell’area anglosassone ad aver dato le
migliori prove nell’applicazione del NPM. La Nuova Zelanda, l’Australia, la Gran
Bretagna e gli Stati Uniti, sebbene ciascuno con le proprie peculiarità, hanno adottato
più agevolmente i principi del NPM, potendo contare da un lato su una cultura
omogenea e su una lingua comune, l’inglese che è quella nella quale si esprime la
5
maggior parte della letteratura sul NPM, dall’altro sulla minore presenza di regimi
corporativi tra i dipendenti pubblici.
1.2. ORIGINI TEORICHE DEL NEW PUBLIC MANAGEMENT
1.2.1. Definizione di “New Public Management”
NPM è un’espressione usata dal mondo accademico e dagli esperti di consulenza
per far riferimento ad una serie di temi, principi e modelli caratteristici di una nuova
visione del management pubblico, emersa negli ultimi vent’anni. Il termine è apparso
per la prima volta nella letteratura accademica nei primi anni Novanta e si è diffuso
rapidamente. Le nozioni comuni di queste riforme furono identificate dagli accademici
piuttosto tardi e, solo allora, vennero definite NPM.
I tentativi di precisazione su cosa sia il NPM abbondano. Per citare solo alcuni
autori, il NPM è stato definito come “un insieme assortito di dottrine
sull’amministrazione”1 o ancora come “una serie di idee di management pubblico” che
si sono diffuse rapidamente dai paesi in cui hanno avuto origine alle altre nazioni2. In
diversa prospettiva il NPM viene visto direttamente come il “policy making pubblico”3
e c’è chi ritiene che sia una piattaforma di base per l’assunzione di decisioni riguardanti
l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici4. Infine da altri autori viene descritto
come uno stile pratico di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, esemplificato
dalla costruzione di quasi-mercati nella sanità e nell’istruzione e che porta cambiamenti
nei sistemi, trasversali ai vari settori, di gestione finanziaria, del personale, di acquisto
delle forniture e di valutazione delle attività svolte.
Rinviando a paragrafi successivi sia la trattazione dei principi che l’esposizione
degli approcci NPM, cercheremo innanzitutto di offrire una panoramica sintetica delle
sue origini e del suo sviluppo.
1
Cfr. C. Hood e M. Jackson, Administrative Argument, Dartmouth Publishing, Aldershot, 1991.
2
Cfr. D. F. Kettl, “The Global Revolution in Public Management: Driving Themes, Missing Links”,
Journal of Policy Analysis and Management, (16) , pp.446-462, 1997.
3
Cfr. M. Barzelay, The New Public Management. Improving Research and Policy Dialogue, University
of California Press, Berkeley, 1998.
4
Cfr. P. Aucoin, “Administrative Reform in Public Management: Paradigms, Principles, Paradoxes and
Pendolums”, Governance, (3) n.2, pp.115-137, 1990.
6
Il movimento del NPM è iniziato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni
Ottanta e i suoi promotori si trovavano in Gran Bretagna durante il governo Thatcher e
nelle amministrazioni locali degli Stati Uniti durante il periodo reaganiano.
Successivamente, hanno aderito al movimento i governi della Nuova Zelanda e
dell’Australia. In seguito molti paesi dell’OCSE hanno introdotto nelle loro riforme uno
stile amministrativo orientato ai principi NPM, e fra questi, l’Italia negli anni Novanta.
Gli anni Ottanta sono stati quindi testimoni di una rinnovata enfasi sulle riforme del
settore pubblico nella maggior parte delle democrazie avanzate. Nonostante le riforme
del settore pubblico abbiano avuto sviluppi diversi nei paesi interessati, il loro
andamento suggerisce l’influenza e la convergenza di alcuni fattori comuni:
a. la significativa crescita delle burocrazie pubbliche, prodotto del Welfare State
post-keynesiano, che sono diventate complesse e hanno incontrato sempre
maggior difficoltà di rendimento nella produzione di beni pubblici e
nell’erogazione dei servizi, accrescendo la crisi di fiducia nelle istituzioni da
parte dei cittadini;
b. la copertura della spesa pubblica attraverso la tassazione vista spesso dalla gente
come un trasferimento di risorse per obiettivi non produttivi che ha aumentato
inevitabilmente la domanda verso gestioni private degli stessi servizi;
c. l’emergere di governi conservatori sia in Gran Bretagna e che negli Stati Uniti
con l’elezione di Margaret Thatcher (1979) e Ronald Reagan (1980), che
promossero le svolte neoliberiste degli anni Ottanta con conseguenti pressioni di
riforma del settore pubblico aprendo la strada a teorie e riforme quali il NPM, in
coerenza con la politica economica.
La significatività delle riforme degli anni Ottanta, soprattutto se paragonate agli
sforzi riformatori degli anni precedenti, sta nel loro più ampio respiro e nel fatto che
hanno introdotto una significativa e sistematica relazione fra settore pubblico e privato.
1.2.2. Le origini del New Public Management
Le origini del NPM sono ben sintetizzate da Hood in un noto articolo del 1991 “A
Public Management for All Seasons?”5, che lo definisce come un corpo di principi, che
hanno dominato i progetti di riforma delle pubbliche amministrazioni già a partire dalla
5
Cfr. C. Hood, “A Public Management for All Seasons?”, Public Administration, (69) n.1, pp.3-19, 1991.
7
fine degli anni Settanta in molti dei paesi appartenenti all’OCSE6. L’interpretazione di
Hood è che il NPM si sia sviluppato come necessaria risposta alla crisi del Welfare
State, si sia legato all’esigenza di rallentare la crescita del settore pubblico, alla
tendenza a privatizzare organizzazioni pubbliche, allo sviluppo della tecnologia
informatica e all’internazionalizzazione dell’agenda dei governi.
Infatti, proprio a partire dagli anni Ottanta, a seguito dell’allarmante crisi fiscale
che aveva colpito gran parte delle democrazie industrializzate, l’OCSE cominciò a
sollecitare i governi nazionali perché avviassero una modernizzazione delle pubbliche
amministrazioni. Si trattava di ridurre la spesa pubblica e contenere il bilancio dello
Stato migliorando la competitività del settore pubblico attraverso la riorganizzazione del
personale e l’adozione di tecniche e strumenti per la misurazione dei costi e la gestione
dei servizi già sperimentati nel settore privato.
Aucoin, che insieme a Hood ha coniato l’espressione NPM, nel suo articolo del
1990 “Administrative Reform in Public Management: Paradigms, Principles,
Paradoxes and Pendolums”7, ritiene che il NPM abbia origini nella teoria della public
choice e nel cosiddetto managerialismo. Partiremo proprio dai due paradigmi
individuati da Aucoin per ricostruire le origini teoriche del NPM, integrandoli con altre
teorie e con cenni alla storia del pensiero amministrativo statunitense, che più
direttamente interessa elementi della dottrina del NPM.
Public Choice
La teoria della public choice ebbe origine negli Stati Uniti negli anni Sessanta con il
libro “Representative Government and Bureaucracy”8 di Niskanen. La public choice è
l’approccio economico per eccellenza applicato allo studio della politica e delle sue
istituzioni. Secondo gli autori di quest’approccio, l’efficienza non è un problema della
laboriosità dei singoli individui, ma di razionalità economica, di massimizzazione
dell’utilità di ciascun agente coinvolto, di incentivi che siano in grado di influenzare il
comportamento e di problemi di asimmetria informativa. Niskanen individuava nel
bilancio pubblico l’elemento che contrapponeva politici e burocrati, in una lotta in cui la
6
Vd. anche C. Pollitt, Managerialism and the Public Services: the Anglo-American Experience, Basil
Blackwell, Oxford, 1990.
7
Cfr. P. Aucoin, “Administrative Reform in Public Management: Paradigms, Principles, Paradoxes and
Pendolums”, Governance, (3) n.2, pp.115-137, 1990.
8
Cfr. W. Niskanen, Bureaucracy and Representative Government, Aldine-Atherton, New York, 1971.
8
burocrazia era riuscita a perseguire solamente i propri interessi, o perlomeno quello che
essa riteneva essere l’interesse pubblico, avendo di fatto scarse capacità nella gestione
di tali risorse. Questo spiegava le inefficienze delle pubbliche amministrazioni.
Le idee della public choice si fecero strada nell’arena politica e la tesi di Niskanen
ebbe una grande influenza nel momento in cui emerse la necessità di modernizzazione
del settore pubblico e di contenimento del bilancio dello Stato. Il fatto che queste idee
fossero state concepite per interpretare i problemi del rapporto fra politica e
amministrazione nel sistema americano, non impedì che si diffondessero anche in Gran
Bretagna e negli altri paesi industrializzati con forme di governo diverse. Data questa
posizione di potere dei burocrati sui politici, quindi, era necessario individuare dei
meccanismi che ristabilissero la supremazia della politica sulla mera gestione
burocratica.
Il successo della teoria della public choice fu dovuto principalmente a due ragioni:
da una parte offriva una spiegazione adeguata della crisi di funzionamento che i governi
rappresentativi attraversavano in quel periodo (dovuta proprio all’eccessivo potere dei
burocrati), dall’altra questo paradigma offriva una riformulazione del principio base
della forma di governo rappresentativo, cioè il conferimento dell’autorità della scelta
politica solamente ai rappresentanti eletti dal popolo. Questo era possibile laddove i
politici avessero potuto esercitare tale autorità sull’apparato dello Stato, sul bilancio e
sugli uffici amministrativi. Quindi fu proprio questa diagnosi proposta da Niskanen ad
aprire alla necessità di una maggior attenzione al funzionamento e al rendimento delle
pubbliche amministrazioni.
Public Administration
Già negli anni Venti negli Stati Uniti si era diffuso lo studio della public
administration, era nato cioè un movimento per la riforma della politica e
dell’amministrazione, che di fronte all’inefficienza, alla corruzione e all’incompetenza
del sistema amministrativo statunitense richiedeva un maggior intervento dello Stato, la
separazione della politica dall’amministrazione, l’introduzione del principio del merito
nella gestione delle risorse umane, quindi la necessità di un personale amministrativo
permanente, neutrale e competente e la corretta gestione delle risorse finanziarie. I
riformatori progressisti di allora già credevano che l’efficienza rappresentasse la miglior