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INTRODUZIONE 
 
Il qui presente lavoro è il risultato dell’incontro tra un’attenta ricerca bibliografica delle 
fonti che hanno analizzato il complesso fenomeno dell’emigrazione italiana e la più diretta 
ricerca su campo da me svolta in Cile tra agosto e settembre 2011 presso le comunità 
lucane di Santiago, Iquique e Pica. 
L’interesse per questo tema direi sia stata una naturale prosecuzione di quello che è 
sempre stato l’ambiente che ho respirato in famiglia, grazie al lavoro svolto da mio padre 
nel campo della promozione della Basilicata a livello internazionale e in perenne contatto 
con le comunità lucane di tutto il mondo.  
Spesso e volentieri sentivo parlare di queste comunità lucane, di come portano avanti le 
loro tradizioni, del loro legame con la Basilicata, che non scema ma anzi si rinnova di 
generazione in generazione grazie al coinvolgimento di nipoti e figli di coloro che hanno 
fatto la storia dell’emigrazione italiana. 
Fin da quando ho iniziato il mio percorso in Antropologia culturale ed etnologia presso 
l’Università di Bologna, ho sempre pensato dentro di me di voler realizzare una tesi sulla 
mia amata terra lucana e mi resi conto, poco prima di cominciarne la stesura, che il tema 
era a portata di mano: indagare la sopravvivenza delle tradizioni della Basilicata presso le 
comunità lucane del Cile.  
La scelta del Cile non è stata casuale, ma mirata: volevo dare spazio a una realtà migratoria 
più piccola, poco trattata nei testi sull’emigrazione italiana rispetto a paesi quali Argentina, 
Stati Uniti, Brasile, a causa del suo ridotto flusso migratorio.  
Pensai che questo potesse essere un punto a favore per il tema che volevo trattare poiché 
una realtà più piccola mi avrebbe permesso di indagare più da vicino le tradizioni portate 
avanti dagli emigranti lucani in terra straniera e concentrarmi sulle loro storie, sui legami 
stabilitisi tra loro. 
In  effetti è quello che ho potuto constatare durante la mia permanenza in Cile, in 
particolare riguardo la festa di San Rocco a Santiago  festeggiata dagli emigranti lucani 
provenienti da Tolve, dove ogni anno si rinnova il culto dedicato a uno dei Santi tra i più
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importanti di tutta la Basilicata e che a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso si è 
insediato anche in questa stretta striscia di terra che è il Cile. 
Da qui, la decisione di concentrarmi proprio sull’importanza che questa festa ha 
all’interno della comunità lucana di Santiago, cercando di capire se struttura e significato 
della festa hanno continuato a mantenere lo stesso valore anche nella nuova società 
d’accoglienza. 
Il momento della festa è un importante momento di condivisione e ritrovo sociale o come 
lo definirebbe Carlo Levi “lo specchio di una realtà popolare” (Prefazione a Chi è devoto. 
Feste popolari in Campania, fotografate da Mimmo Jodice, testi di Roberto de Simone, 
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1974), in cui i membri della collettività prendono le 
distanze dal  tempo ordinario, dalla quotidianità, per immergersi in un clima di solennità,  
di goliardia e solidarietà. 
Durante la mia ricerca, ho constatato la  diversità che caratterizza le tre comunità lucane 
sparse per la terra cilena, in particolare rispetto a come ognuna porta avanti la tradizione 
d’origine: ognuna di esse ha puntato su un diverso aspetto della tradizione lucana, dalla 
celebrazione del Santo patrono d’origine, ad attività culturali che promuovono la lingua 
d’origine (spesso e volentieri anche il dialetto), il recupero dei balli folklorici e dei piatti 
tipici lucani. 
Indubbiamente, la cosa che mi è più rimasta impressa, oltre la grande ospitalità e 
disponibilità di ogni comunità che mi ha fatto sentire come se fossi a casa,  è stato il 
grande fervore con cui ogni membro della comunità di loro porta avanti una cultura che a 
contatto con una realtà cosmopolita e sempre più moderna per le possibilità che offre, 
sembra perdere di attrattiva e interesse. 
Il segreto della trasmissione e del coinvolgimento nel promuovere la tradizione lucana in 
terra straniera è stata ed è tutt’ora la famiglia, l’ambiente in cui si cresce, i valori che si 
insegnano ai figli, i più importanti tra i quali l’umiltà, il sacrificio e l’importanza delle 
proprie origini, da cui non si può prescindere per capire realmente se stessi. 
Le generazioni successive agli emigranti sono cresciute con la consapevolezza di avere nel 
sangue “i geni” di una cultura lontana ma che necessariamente bisogna continuare a 
portare avanti per non perdere di vista il valore delle origini ed è ciò su cui stanno
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puntando i membri delle comunità lucane che si occupano di promuovere attività che 
coinvolgano soprattutto le attuali generazioni più giovani, che sono sì piacevolmente 
coinvolte ma in maniera minore rispetto alle generazioni precedenti (nel caso di Santiago 
si arriva solo alla seconda generazione, essendo l’emigrazione più recente, mentre per le 
comunità di Iquique e Pica si parla già di terza-quarta generazione), in cui l’identità lucana 
e la sua modalità d’espressione rappresentavano, oltre che un’ancora di salvezza per i 
primi tempi di adattamento nella nuova società d’accoglienza, un marchio per definirsi e 
distinguersi dagli altri gruppi etnici presenti sul territorio. 
L’identità, all’epoca dell’arrivo degli emigranti ma anche nella prima generazione a loro 
successiva, non era ancora entrata in contatto con gli elementi della nuova cultura 
d’accoglienza e ciò favorì, in particolare per i figli degli emigranti, la diffusione della 
cultura d’origine, attraverso il dialetto parlato in famiglia, la preparazione di cibi e prodotti 
lucani, la celebrazione della festa del proprio Santo d’origine, le storie raccontate sul paese 
o le musiche o balli folklorici ad esso annesse, che contribuirono alla formazione di 
un’identità in qualche modo ibrida, in cui aspetti di una cultura ancestrale si intrecciano 
con aspetti di una cultura più aperta e cosmopolita. 
L’attuale generazione,  che è nata e cresciuta sul territorio ed ha appreso la lingua 
autoctona nonché le abitudini e i codici culturali della propria cultura di nascita, si sente a 
tutti gli effetti cilena e solo per alcuni aspetti sembra essere stata interessata dall’antica 
cultura lucana dei loro avi ma non per questo assente; inevitabile è lo scorrere del tempo e 
con esso l’affievolirsi di certi aspetti di una cultura che viene da lontano e risulta essere 
secondaria rispetto a quella ufficiale. 
Tuttavia le comunità lucane all’estero, con il supporto della Regione Basilicata, stanno 
lavorando affinchè si possa rinnovare di anno in anno il legame con le proprie origini, per 
quanto esse possano essere lontane nel tempo, puntando soprattutto sui giovani e fare in 
modo che essi siano i nuovi garanti della cultura lucana in terra straniera. 
Si è scelto di dividere il qui presente lavoro in due sezioni: il primo capitolo è dedicato 
interamente alla storia dell’emigrazione italiana mentre il secondo al tema della festa, nello 
specifico la festa di San Rocco, patrono di Tolve, a Santiago del Cile.
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Nella prima parte ci si è soffermati su cause, aspetti e conseguenze che l’emigrazione ha 
determinato, tanto in Italia quanto nei paesi di arrivo, grazie ad un’attenta analisi delle 
numerosi fonti dedicate al tema e su cui si sono concentrati molti studiosi, il più 
importante dei quali  è Emilio Franzina; un fenomeno, quello dell’emigrazione che ha 
coperto quasi un secolo, dalla seconda metà dell’Ottocento per arrivare fino agli anni 
Cinquanta-Sessanta del Novecento e che ha portato più di ventinove milioni di italiani a 
lasciare la patria italiana. 
I principali protagonisti sono gli emigranti, coloro che sono sfuggiti dalla povertà in cui 
riversava l’Italia alla luce dell’Unità e da un mercato del lavoro sempre più ristretto e 
messo in crisi dal più ampio mercato internazionale. 
Le possibilità offerte in Italia erano limitate e pertanto si sceglieva di andare  lontano, in 
particolare verso le Americhe, la terra dei grandi sogni e delle mille speranze, ma che si 
rivelerà essere una terra in cui nulla è dovuto, ma tutto è acquisito con il duro lavoro e il 
senso del sacrificio, due aspetti per cui i nostri connazionali italiani all’estero furono 
sempre lodati. 
Si analizzeranno le varie fasi dell’emigrazione e per quanto il nostro terreno d’indagine sia 
il Cile, non si è potuto fare a meno di dedicare spazio anche all’Argentina, uno dei paesi 
con il più altro tasso di immigrati italiani e che grazie alle sue immense distese di terra ha 
dato loro modo di continuare il lavoro lasciato nella propria terra d’origine, ottenendo 
cospicui guadagni. 
Si approfondirà poi l’inserimento dei lucani nella terra cilena, analizzando la loro 
provenienza e le attività lavorative intraprese sul territorio e in particolare il modo in cui le 
singole comunità lucane di Santiago, Iquique e Pica e i rispettivi membri portano avanti il 
rapporto con la terra d’origine; si vedrà inoltre come l’associazionismo,  ossia la creazione 
di associazioni italiane e regionali che all’epoca dell’arrivo degli emigranti costituirono un 
importante rifugio dove poter trovare solidarietà con in propri connazionali, sia ancora 
fortemente radicato sul territorio poiché costituisce un importante collante di tutti i 
membri delle comunità lucane nel portare avanti la tradizione d’origine. 
Nel secondo capitolo, prima di introdurre il tema della festa e i risultati della mia ricerca di 
campo, si cercherà di analizzare come il concetto di identità si sia evoluto fortemente negli
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ultimi decenni all’interno delle Scienze antropologiche, in seguito ai cambiamenti culturali 
e in particolare alla globalizzazione che hanno portato a una rivoluzione del concetto. 
L’identità rappresenta un importante punto di riflessione nel contesto emigratorio, 
un’identità che oscilla perennemente tra il mondo che si è lasciato alle spalle e la nuova 
realtà d’accoglienza, che non si può negare ma che anzi va accettata in virtù del principio 
per cui l’identità non è mai statica e definita una volta per tutte ma necessita sempre del 
confronto e dell’arricchimento dell’altro. 
Si prenderanno poi in analisi le riflessioni di alcuni importanti studiosi demo-
etnoantropologici, tra cui Lello Mazzacane,  Luigi Lombardi Satriani e Vittorio Lanternari, 
che hanno riflettuto sul concetto di festa nel contesto meridionale.  
La festa rappresenta fin dall’antichità un elemento di controllo del tempo; una comunità, 
celebrando con speciali riti il giorno festivo, segna un momento di separazione di un 
periodo dell’anno dall’altro e differenzia il tempo ordinario delle attività pubbliche e 
private da quello straordinario delle celebrazioni. 
Un aspetto fondamentale del rito festivo e della cerimonia è quello di avvenire nel “tempo 
della festa”, la festa come rito collettivo che interrompe l’ordine della vita quotidiana. 
Al tempo della festa si associano determinati comportamenti rituali che ne esaltano il 
significato simbolico; nella festa infatti, atti e comportamenti acquistano particolare 
importanza e avvengono in un tempo, che è appunto il tempo della festa, condiviso da 
tutti i partecipanti. Questo tempo, che è fuori dall’ordinario, è il tempo dell’eccesso: 
eccesso alimentare, di spreco economico, di trasgressione. 
Vedremo come la festa del Santo patrono d’origine all’interno di un contesto emigratorio 
non perderà il suo valore e la sua efficacia ma inevitabilmente presenta alcune differenze 
nella struttura e la perdita di alcuni aspetti  a causa dell’adattamento ad una nuovo 
contesto. 
Si procederà nell’analisi delle diverse parti che compongono la festa di San Rocco a 
Santiago del Cile, che si celebra tutti gli anni ad Agosto, in contemporanea con la festa che 
si svolge a Tolve, in Basilicata, esaminando prima la parte religiosa, costituita dalla messa e 
dalla processione, e in secondo luogo la parte profana della festa, che consiste in una cena 
e in uno spettacolo che riunisce tutti i membri della comunità lucana, tutti originari di
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Tolve; durante la cena è possibile degustare  prodotti fatti a mano come la salsiccia e la 
treccia di mozzarella, cibi prettamente lucani e che vengono preparati prima della festa dai 
membri della comunità lucana, che si ritrovano appositamente per rinnovare un 
importante rito della loro terra come l’uccisione del maiale e la preparazione della 
salsiccia. 
Anche il cibo dunque diventa elemento di affermazione della propria identità culturale e 
ne analizzeremo i suoi principali aspetti. 
L’obiettivo della mia ricerca, oltre che essere  un interesse personale, è stato fin dall’inizio 
quello di capire se le tradizioni e l’identità d’origine continuassero a sopravvivere in un 
contesto emigratorio a distanza di anni, in alcuni casi anche di un secolo: dal materiale che 
ho raccolto e revisionato attentamente, l’aspetto che più mi è sembrato interessante da 
porre all’attenzione e che più di tutti coglieva il senso di questo mio obiettivo, è stata 
proprio la festa di San Rocco a Santiago del Cile, una festa che si è iniziata a festeggiare 
ufficialmente da più di trent’anni e che ancora oggi rappresenta un importante contenitore 
culturale che dà spazio e modo di esprimere tutti gli aspetti della propria cultura di 
appartenenza. 
Si tratta di una festa che conoscevo piuttosto bene e a cui avevo assistito diverse volte a 
Tolve, il paese di provenienza della comunità lucana di Santiago, ma prendendo parte solo 
ai festeggiamenti profani; partecipando invece anche alla funzione religiosa mi sono 
ritrovata a vivere il lato più intimo di questa festa, condiviso piacevolmente con i membri 
della comunità e che visti con occhio da “antropologa” mi hanno permesso di riflettere 
più approfonditamente sul significato che questa festa ha in questo particolare contesto. 
La realtà festiva documentata mi è apparsa in movimento, in quanto si è cercato di 
adattarla al nuovo contesto della società d’accoglienza, ma l’evoluzione non sembra 
intaccare la struttura del rito: ognuno continua a orientarsi secondo i percorsi di sempre, 
facendo sì che la festa di San Rocco continui a essere un incontro collettivo di devozione 
al Santo e di rinnovo delle proprie radici 
Sicuramente, conoscere  la struttura di questa festa prima dell’inizio della mia ricerca mi 
ha portato a essere preparata al tipo di evento che andavo ad osservare, agevolando in 
qualche modo il lavoro; a questo, si aggiunge il rapporto di fiducia subito istauratosi con i
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membri della comunità, in virtù della mia provenienza lucana, marchio garantito di 
sicurezza, che hanno fatto di me una persona da accogliere e trattare con stima e fiducia, 
fieri di potermi aiutare nel portare avanti il mio progetto di ricerca e che in qualche modo 
è anche il loro. 
Trattandosi della mia prima ricerca di campo non nascondo di aver avuto difficoltà di 
metodo, ad esempio su come interagire con le persone da intervistare e su quali aspetti 
focalizzarmi maggiormente, ma ho cercato di basarmi molto sulla spontaneità delle 
situazioni e degli incontri, non seguendo un’impostazione rigida. 
Concludo esprimendo alcune considerazioni  che in qualche modo riassumono ciò che ho 
provato durante il corso della mia ricerca di campo in Cile e che rappresenta anche un po’ 
la sintesi del senso e del legame che ancora unisce queste comunità lucane alla propria 
terra d’origine: per quanto la mia ricerca si sia svolta in un altro continente e all’interno di 
una cultura altra, non sento di essermi allontanata da casa, dalla mia terra, né di aver 
conosciuto un “noi”diverso, quel “noi” che abbiamo imparato a studiare noi antropologi 
sui libri e che rappresenta un po’ il nostro oggetto di ricerca. 
Non sento di essermi rapportata a una realtà, a una cultura così diversa da quella che mi 
appartiene, ma semplicemente sento di aver approfondito un aspetto della mia cultura 
d’origine e un pezzo di storia così importante come l’emigrazione, che ha profondamente 
inciso sulla Basilicata. 
Vivendo e osservando il modo in cui queste comunità lucane portano avanti la loro 
identità d’origine, la mia memoria ha attinto a un sostrato già presente, conosciuto, perché 
vissuto nella mia terra: le musiche popolari, i balli folklorici, il cibo di reminescenza 
lucana, i festeggiamenti in onore del Santo patrono, il dialetto stretto tipico di paese, i 
valori semplici dell’umiltà e del sacrificio, il calore e l’affetto con cui si viene accolti.  
Tutti aspetti a me già familiari; la differenza è stata viverle in un contesto diverso, che 
però non va a mutarne il valore e il significato, ma piuttosto ne rivaluta l’importanza, 
cogliendone realmente il senso. 
Tutto questo per dire come le tradizioni della propria cultura non terminano in un luogo 
ma si estendono; scoprire che saremo noi stesse a decidere di mantenerle, non 
dimenticarle.
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Il luogo, il paese, la città in cui si svolgono non sono determinanti: è  l' uomo che ne 
ricerca l'essenza, il cuore. Passare ai propri figli questo amore diventa fondamentale, 
imprescindibile, ed è una vera e propria forza che passa di voce in voce, di mano in mano 
e vive attraverso il rispetto, la memoria, l' amore per la propria cultura e la famiglia.
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CAPITOLO 1 
 
Analisi storica, antropologica e sociale dell’immigrazione italo lucana in Cile. 
 
 
1) Cause  dell’emigrazione italiana. 
 
 
Il fenomeno emigratorio può essere definito a tutti gli effetti un fenomeno sociale, che 
affonda le sue radici nel malcontento generale del popolo, costretto, suo malgrado, ad 
abbandonare la propria terra d’origine, le proprie radici, in virtù di fattori esterni che non 
permettono di condurre una vita che garantisce le condizioni necessarie di sussistenza.  
I fattori che molto spesso spingono a emigrare sono di natura economica: il Paese è in 
crisi, i salari sono bassi, si perde il lavoro; non si creano così le condizioni adatte a 
condurre un’esistenza adeguata né tanto  meno c’è la possibilità di poter realizzare ed 
esprimere il proprio potenziale. 
C’è così la voglia del riscatto, di trovare altrove ciò che la propria terra non offre, di fare 
fortuna, e magari ritornare un domani e sentire di aver raggiunto un obiettivo, nonostante 
questo abbia comportato l’abbandono della propria casa, della propria famiglia, delle 
proprie certezze. 
Chi partiva per cercare fortuna non poteva prevedere né se l’avrebbe trovata, né quanto 
tempo poteva spendere a cercarla, né se, una volta trovata, se la sarebbe sentita di lasciare 
il paese del felice incontro per tornare a una patria che l’avrebbe scacciato. 
Sicuramente la mobilità transoceanica premiò numerose famiglie contadine, che furono 
alleviate nelle proprie condizioni sociali: tanto il riscatto dall’inferiorità sociale diffusa nel 
Mezzogiorno, quanto l’autostima furono conquiste fino ad allora inimmaginabili. 
È questa, in maniera se pur sintetizzata ma che sarà ampliata nel corso di questo capitolo, 
la storia dell’emigrazione italiana, che a cavallo dei secoli XIX-XX ha condotto un popolo 
a valicare i confini italiani, europei e andare incontro a un mondo sconosciuto, conoscere 
il senso del sacrificio e lavorare duramente; è questo il senso e il significato che ho potuto 
cogliere di questo fenomeno durante la mia ricerca di campo in Cile, attraverso i racconti 
di chi ha fatto la storia.