7 
1. DAL NEW HORROR ALL’HORROR DEL NUOVO 
MILLENNIO 
 
 
 
 
 
 
1.1 Le origini dell’horror cinematografico 
 
 L’horror è uno dei generi più amati e affascinanti di sempre, nel suo corso ha 
avuto una potenziale presa sul pubblico e non ha mai subìto battute d’arresto, a quanto 
pare è intramontabile. Oggi tendenzialmente rivalutato, in passato, però, è stato spesso 
oggetto di critiche in quanto considerato alla stregua dei generi di serie B oltre che 
prodotto trash per teenager. Tuttavia, anche se apparentemente poco realistico, nasconde 
molteplici situazioni, messaggi e critiche che si agganciano, più di quanto si creda, alla 
realtà. Non è sbagliato considerare l’horror il genere che più di tutti rappresenta il 
mondo in cui viviamo facendo riflettere su di esso. L’horror tratta ‹‹in modo altrettanto 
profondo [rispetto al cinema d’arte] problemi sociali, ed esprim[e] riflessioni sulla vita, 
la morte, l’ignoto››
1
; secondo Stephen King 
 il genere horror è estremamente flessibile, estremamente adattabile, estremamente utile; 
 l’autore o il regista possono usarlo come un piede di porco per scardinare porte chiuse, 
 o come un piccolo grimaldello per aprire le serrature. Perciò […] può essere usato per 
 aprire quasi ogni gabbia e liberare le paure che vi stanno dentro
2
, 
 
che stanno dentro in tutti noi.  
 Questa tesi vuole essere una sorta di viaggio alla scoperta di ciò che il genere più 
amato dai teenager nasconde e sfatare la convinzione che si tratti di puro 
intrattenimento, senza ovviamente nessuna pretesa di esaustività. Sulla storia del cinema 
horror è già stato detto abbastanza ma ciò che il panorama cinematografico ha offerto 
nell’ultimo decennio – molto ricco e variegato – è poco affrontato. Ci si limiterà, perciò, 
ad analizzare quello che in alcuni saggi apparsi in Cinergie. Il cinema e le altre arti
3
 è 
stato definito New-New Horror in relazione a un’altra grande stagione che è il New 
                                                 
1
 Stuart M. Kaminsky, Generi cinematografici americani, Parma, Pratiche, 1994, p. 16. 
2
 Stephen King, Danse Macabre, s.l., Frassinelli, 2000, pp. 154-155.  
3
 Cinergie. Il cinema e le altre arti, n. 12, settembre 2006.
8 
Horror
4
: l’idea di fondo, in tali saggi, è quella di considerare l’ultimo decennio – a 
partire dal 1999 – come una rivisitazione o meglio un ‹‹remake›› dell’horror moderno. 
Quindi, oltre ad analizzare le principali tendenze, si cercherà di verificare se esistono i 
legami fra queste due stagioni del cinema dell’orrore
5
.  
 Prima di tutto bisogna affrontare alcune questioni legate al genere. ‹‹La parola 
horror deriva dalla combinazione fra il latino horrere che significa “spaventare” e 
l’antico francese orror che significa “rabbrividire”››
6
. Fin dall’antichità l’uomo racconta 
storie del terrore legate a demoni e fantasmi ma è solo fra Settecento e Ottocento, ‹‹con 
l’affermarsi del romanzo gotico in Inghilterra e di quello fantastico e orrorifico in 
Germania, che il genere inizia a definirsi e codificarsi in risposta a quel complesso e 
vasto movimento di pensiero che fu l’Illuminismo››
7
. Quindi, a differenza di ciò che i 
lumi sostenevano – il predominio della ragione e la possibilità di spiegare qualsiasi 
fenomeno – il gotico ‹‹si qualifica […] come riscoperta e rivalutazione di tutto ciò che è 
irrazionale e soggettivo››
8
. L’orrore, prima nella letteratura e poi al cinema, non ha mai 
conosciuto crisi; il pubblico vi trova una sorta di fuga dalla realtà oltre che 
un’esorcizzazione delle proprie paure e inquietudini – soprattutto della morte – ed è 
colpito e affascinato da tutto ciò che è orrido, macabro ed eccessivo. Michela Vanon 
Alliata scrive che  
 il cinema horror articola una serie di tematiche che investono l’interiorità più profonda e 
 spesso malata dell’individuo nei suoi rapporti con la natura e la società: l’insofferenza 
 del limite, l’ansia di potere, l’attrazione per l’irrazionale, nonché il sovvertimento delle 
 leggi umane e sociali
9
. 
 
La trasgressione insita nel cinema horror è uno dei segreti che ha reso vincente questo 
genere tanto amato dal pubblico di tutto il mondo.  
 Sebbene questa tesi non tratti l’intera storia dell’horror, è comunque necessario 
delinearne le tappe fondamentali per meglio capirne l’evoluzione dato che, di qualsiasi 
argomento, è impossibile capire il presente senza conoscere il passato. Tralasciando il 
primo ventennio del cinema muto, in cui è difficile trovare una linea comune nei pochi 
‹‹film horror›› realizzati, è con l’Espressionismo tedesco che si delineano alcune delle 
                                                 
4
 Per New Horror si intende l’horror moderno a partire dalla fine degli anni sessanta fino all’inizio degli 
ottanta, in concomitanza con lo sviluppo della New Hollywood.  
5
 Precisiamo che la trattazione dell’horror contemporaneo si limiterà alla cinematografia statunitense 
anche se non mancheranno riferimenti ad altri paesi.  
6
 Traduzione da Nöel Carroll, The philosophy of horror. Or paradoxes of the heart, New York, 
Routledge, 1990, p. 24. 
7
 Michela Vanon Alliata, ‹‹Fenomenologia e poetica dell’horror››, in Michela Vanon Alliata (a cura di), 
Nel segno dell’horror. Forme e figure di un genere, Venezia, Cafoscarina, 2007, p. 12. 
8
 Michela Vanon Alliata, op. cit., p. 13. 
9
 Michela Vanon Alliata, op. cit., p. 17.
9 
caratteristiche tipiche di questo genere di film. In realtà, va precisato che questo 
movimento d’avanguardia, sviluppatosi tra la fine degli anni dieci e gli anni venti in 
Germania, non può essere relegato al contesto di genere sia perché estraneo al mondo 
hollywoodiano sia perché nato come sperimentazione sulla messa in scena dei film. Del 
1920 è Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene in cui vengono presentati il 
tema della pazzia e dell’allucinazione mettendo in scena una storia apparentemente 
veritiera che però si scoprirà essere il frutto della mente deviata del protagonista Franz. 
Caratteristiche di questo film, e dei successivi, sono l’utilizzo ‹‹di set stilizzati, con 
bizzarri, distorti edifici dipinti sullo sfondo, alla maniera teatrale››
10
 che restituiscono 
una scenografia antirealistica, priva di prospettiva, inquietante e distorta; ‹‹la recitazione 
[… è] fatta di movimenti innaturali, a scatti, simili a quelli della danza››
11
 e molta 
importanza viene dato al trucco; inoltre, l’illuminazione è fortemente contrastata 
creando violente zone di luce e ombra. Tra gli altri film espressionisti che seguirono 
Caligari vanno ricordati Il Golem – Come venne al mondo (1920) di Paul Wegener e 
Carl Boese, Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich W. Murnau, su cui torneremo, Il 
dottor Mabuse (1922) e Metropolis (1927) di Fritz Lang. Al centro di questi film vi 
sono tutte storie che vedono protagonisti dei pazzi con manie di conquista e oppressione 
verso la società, e non è un caso che Siegfried Kracauer leggerà nel movimento 
espressionista una prefigurazione dell’avvento di Hitler e del nazismo
12
.  
 Negli stessi anni, all’altro capo del mondo, Hollywood creava una potentissima 
industria cinematografica grazie allo studio system concentrando verticalmente i tre 
settori del cinema: produzione, distribuzione, esercizio. Al fianco di cinque grandi 
majors vi erano tre minors – chiamate così perché non possedevano l’esercizio – e una 
di queste, la Universal, si specializza nella produzione di film horror e molte 
caratteristiche dell’Espressionismo vengono riversate grazie alla fuga, a causa 
dell’avvento del regime nazista, dei registi, attori, direttori della fotografia, scenografi 
che avevano lavorato in Germania. Il 1931 vede alla luce due importanti film che 
segneranno l’intera storia del cinema horror e daranno vita a una serie infinita di sequel, 
remake e parodie: Dracula di Tod Browning, regista che aveva già realizzato degli 
horror con Lon Chaney per la MGM, e Frankenstein di James Whale. Il primo è 
                                                 
10
 David Bordwell, Kristin Thompson, Storia del cinema e dei film. Dalle origini a oggi, Milano, Il 
Castoro, 1998, p. 166. 
11
 David Bordwell, Kristin Thompson, ibid. 
12
 Siegfried Kracauer, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, a cura di 
Leonardo Quaresima, Torino, Lindau, 2007.
10 
l’adattamento della versione teatrale del celebre romanzo di Bram Stoker – già adattato 
in via non ufficiale da Murnau – mentre il secondo è tratto dall’altrettanto celebre 
romanzo di Mary Shelley. Entrambi film di grande successo, consacrano i rispettivi 
protagonisti Bela Lugosi e Boris Karloff a icone horror e danno il via a una leggendaria 
produzione da parte della Universal e delle altre majors che assumerà il nome di horror 
classico. Browning girerà in seguito, per la MGM, Freaks (1932) film anomalo e 
maledetto, verrà considerato un horror per la partecipazione al film di veri e propri 
‹‹mostri deformi›› in cui interpretano se stessi; Whale, invece, girerà L’uomo invisibile 
(1933) e La moglie di Frankenstein (1935), entrambi per la Universal. Un altro grande 
successo della celebre casa di produzione sarà La mummia (1932) di Karl Freund, 
interpretato da Boris Karloff. Ma il 1931 è anche l’anno di Il dottor Jekyll (1931) di 
Rouben Mamoulian, prodotto dalla Paramount e tratto dal romanzo di Robert 
Stevenson, di cui Victor Fleming girerà il remake Il dottor Jekyll e Mr. Hyde nel 1941 
con Spencer Tracy. Tutti questi film hanno una forte derivazione letteraria, sono 
tendenzialmente ambientati nel passato e presentano scenografie fantastiche – di 
evidente derivazione espressionista – oltre che illuminazioni molto contrastate 
restituendo atmosfere gotiche, oscure; vi sono, invece, pochi riferimenti alla realtà, 
siamo nel periodo della grande depressione, tuttavia essi garantiscono uno sfogo per gli 
spettatori, un modo per non pensare ai problemi derivati dalla crisi del 1929. Inoltre, 
l’elemento horror di questi film risiede nella mostruosità dei loro protagonisti. Anche la 
RKO, che aveva già prodotto King Kong (1933) di Merian C. Cooper e Ernest B. 
Schoedsack, produrrà negli anni quaranta, sotto la guida di Val Lewton, una serie di 
horror tra cui spiccano Il bacio della pantera (1942) e Ho camminato con uno zombie 
(1943) entrambi di Jacques Tourneur. In particolare Il bacio della pantera si allontana 
molto dagli horror Universal in quanto ‹‹non vediamo mai l’eroina trasformarsi in una 
pantera, intravediamo solo la creatura in certe scene. Il film ottiene i suoi effetti con le 
ombre, i suoni fuori campo e le reazioni dei personaggi››
13
, creando da un lato una 
dimensione terrificante ma dall’altro una sentimentale e poetica. Caratteristiche queste 
ritrovabili anche negli altri horror prodotti dalla RKO.   
 In seguito, negli anni cinquanta emergono in Europa due cinematografie 
orrorifiche nazionali: l’Inghilterra con la produzione della Hammer Film e l’Italia con il 
cosiddetto Horror all’Italiana. Nel primo caso la celebre casa di produzione inizia a 
                                                 
13
 David Bordwell, Kristin Thompson, Cinema come arte. Teoria e prassi del film, Milano, Il Castoro, 
2003, p. 159.
11 
‹‹proporre soggetti horror e fantascientifici, avviando accordi con la Universal per la 
cessione dei diritti dei personaggi orrorifici, reclamando indietro i propri miti 
nazionali››
14
, da Frankenstein a Dracula, da Jekyll e Hyde alla mummia, questa volta 
non più in bianco e nero ma a colori. Il regista feticcio sarà Terence Fisher realizzando 
tra la fine degli anni cinquanta e i sessanta La maschera di Frankenstein (1957), 
Dracula il vampiro (1958), La mummia (1959) che avranno diversi sequel e innalzano a 
icone del cinema dell’orrore altri due attori: Christopher Lee e Peter Cushing. In questi 
film ‹‹il dramma cessa di avere una dimensione universale e viene circoscritto ad una 
molto più ristretta››
15
, un affare privato fra vittima e carnefice. Inoltre, l’orrore è 
rappresentato ed esaltato grazie all’uso acceso e violento del colore. In Italia, invece, il 
film I vampiri (1956) di Riccardo Freda, ‹‹grazie al sapiente dosaggio di orrore esplicito 
e allusioni sensuali››
16
, inaugura l’Horror all’Italiana, sottogenere di grande successo 
anche all’estero e di ispirazione per registi inglesi e americani come lo stesso Fisher e 
Roger Corman. Il film di Freda detta quelle che sono le caratteristiche dell’horror 
all’italiana: ‹‹la necessità di girare in pochi giorni con mezzi produttivi limitati aguzzerà 
l’ingegno dei registi e il nostro cinema dell’orrore non perderà mai questo carattere 
artigianale (nei casi migliori non disgiunto da forti impronte autoriali)››
17
. Vi fanno 
parte registi quali Mario Bava, di cui ricordiamo La maschera del demonio (1960); 
Lucio Fulci, Dario Argento e Pupi Avati. Queste realtà extra-americane riescono, al 
contrario degli Stati Uniti costretti a fare i conti col codice Hays, a osare di più 
mettendo in scena situazioni più cruente e sanguinose ma allo stesso tempo anche una 
componente erotica molto più esplicita; caratteristiche del futuro horror moderno 
americano.  
 Ma prima di passare alla modernità del cinema dell’orrore bisogna ricordare un 
regista anomalo nel contesto produttivo hollywoodiano: Roger Corman. Egli realizza 
per l’American International Pictures, una delle prime case di produzione indipendente, 
un ciclo di horror ispirato a Edgar Allan Poe a partire da I vivi e i morti (1960); i suoi 
film si distinguono ‹‹per il ritmo veloce, l’ironico umorismo e gli effetti speciali da 
bancarella, con mostri che sembra[no] fabbricati con scarti di materiale idraulico e pezzi 
                                                 
14
 Mariapia Comand, Roy Menarini, Il cinema europeo, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 90. 
15
 Mario Della Casa, ‹‹Il ritorno al gotico››, in Emanuela Martini (a cura di), Hammer e dintorni, 
Bergamo, Bergamo Film Meeting, 1990, p. 39, cit. in Mariapia Comand, Roy Menarini, op. cit. 
16
 Mariapia Comand, Roy Menarini, op. cit., p. 105. 
17
 Daniela Catelli, Ciak si trema. Guida al cinema horror, Milano, Costa & Nolan, 2007, p. 89.
12 
di frigorifero››
18
, a dimostrazione che è possibile realizzare un buon prodotto pur 
avendo a disposizione un budget ridotto. Inoltre, consacrano fra le icone horror l’attore 
Vincent Price. Pur essendo lavori di ispirazione letteraria e legati più che altro all’horror 
classico, la modalità di realizzazione a basso budget di questi film e la libertà delle 
scelte da parte del regista – caratteristiche vincenti che permettono a Corman di ottenere 
notevole successo – anticipa la grande stagione del cinema americano nota come New 
Hollywood e tali caratteristiche verranno seguite dai registi che daranno una svolta al 
genere orrorifico a partire dalla fine degli anni sessanta. 
 
 
 
1.2 Il New Horror 
 
 Sul finire degli anni quaranta il contesto produttivo a Hollywood stava 
cambiando notevolmente; la sentenza Paramount del 1948 aveva tolto l’esercizio alle 
grandi majors –grazie al quale detenevano l’oligopolio del mercato cinematografico – 
che si trovarono così, in una crisi accentuata negli anni cinquanta, alla perdita di 
pubblico per via della concorrenza televisiva. Le majors riescono, tuttavia, a rimanere a 
galla ridimensionando la produzione e iniziando a produrre film a pacchetto, cioè 
mettendo su un team per ogni film specifico e non più utilizzando la vecchia ‹‹catena di 
montaggio››
19
, oltre che spostando la produzione in Europa – ne è un esempio 
Hollywood sul Tevere, il periodo in cui vengono girati a Cinecittà numerosi peplum. Ma 
questo non serve a riprendersi dall’enorme crisi che toccherà l’apice nella prima metà 
degli anni sessanta causando quasi l’arresto della produzione hollywoodiana. A questo 
punto è inevitabile una rivoluzione totale del sistema cinematografico americano 
abbandonando le regole da studio system classiche e adottando nuove soluzioni 
produttive, tecniche ed estetiche derivate dalle Nouvelles Vagues sviluppatesi in Europa 
e nel resto del mondo e da quel movimento sorto nel 1960 a New York chiamato New 
American Cinema. Inoltre, il pubblico è notevolmente cambiato passando da quello 
famigliare a quello giovanile che sempre più contesta i vecchi valori delle precedenti 
generazioni. Bisogna ricordare che gli anni sessanta sono segnati in America dagli 
                                                 
18
 David Bordwell, Kristin Thompson, Storia del cinema e dei film. Dalle origini a oggi, op. cit., p. 455. 
19
 La politica dello studio system prevedeva la suddivisione della lavorazione dei film in fasi nettamente 
separate e in ognuna partecipava esclusivamente il personale specializzato per quella specifica fase. Solo 
il produttore supervisionava l’intera realizzazione dei film.
13 
assassinii di John F. Kennedy, Malcolm X, Martin Luther King, dalle lotte per i diritti 
degli afro-americani, dalla sanguinosa e inutile guerra in Vietnam e dalla contestazione 
giovanile; il cinema di fronte a questi avvenimenti non poteva rimanere legato alle 
regole e ai valori classici perciò andava rivoluzionato. Ed è così che nella seconda metà 
degli anni Sessanta film come Il laureato (1967) di Mike Nichols, Gangster Story 
(1967) di Arthur Penn e Easy Rider – Libertà e paura (1969) di Dennis Hopper 
inaugurano una nuova era: la New Hollywood. Nuovi registi e un nuovo uso del 
linguaggio cinematografico segneranno la produzione americana per tutto il decennio 
successivo in cui finalmente anche Hollywood accetta l’idea che il regista sia il vero 
autore dell’opera filmica. Tutti i film girati in questo periodo sono estremamente 
radicati nella contemporaneità mettendo in scena storie tutt’altro che positive, spesso 
ispirate a fatti realmente accaduti, con protagonisti dei non-eroi incapaci di risolvere le 
situazioni in cui si vengono a trovare. Inoltre, viene operata una totale rivoluzione dei 
generi classici e non si esita a mescolarli fra loro; a questo punto la rigida 
classificazione dei film in specifici generi viene meno.   
 Il 1968 è un anno molto importante per il cinema horror in quanto segna il 
passaggio del genere nella modernità con i film La notte dei morti viventi di George A. 
Romero e Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York di Roman Polanski. A partire da 
questo momento il genere orrorifico si trasforma, scrive a riguardo Stuart M. Kaminsky: 
 ora per lo spettatore non c’è più speranza. […] I film si son fatti sempre più pessimisti, 
 hanno acquisito la cupa certezza che ad avere la meglio saranno le zone d’ombra della 
 nostra natura, che sarà necessario affrontare le nostre peggiori paure, che il male che sta 
 dentro di noi semplicemente non può essere distrutto, e tantomeno controllato
20
.  
 
 La notte dei morti viventi si distacca enormemente da quelli che erano i canoni del 
genere classico e verrà preso come punto di riferimento per gli horror successivi; narra 
di come un variegato gruppo di cittadini americani tenta di sopravvivere in una casa 
isolata in mezzo al bosco – luoghi classici per antonomasia dell’horror – dall’attacco di 
orde di morti tornati in vita a causa delle radiazioni provenienti da una sonda spaziale. Il 
film, oltre che puntare sugli effetti sanguinolenti ed efferati per restituire disgusto nello 
spettatore, introduce degli elementi assolutamente nuovi; uno di questi è l’affidamento 
del ruolo del leader a un personaggio di colore ‹‹che stavolta […] anziché concentrare 
su di sé malvagità e terrore è l’eroe del film››
21
. Siamo in un periodo in cui la 
                                                 
20
 Stuart M. Kaminsky, op. cit., p. 160. 
21
 Annalee Newitz, Fingiamo di essere morti. Mostri capitalisti della cultura pop americana, Milano, 
Isbn Edizioni, 2008, p. 159.
14 
discriminazione razziale viene meno pure al cinema – anche se nella realtà il decennio è 
comunque burrascoso – e nuovi attori di colore, tra cui spicca Sidney Poitier, iniziano a 
interpretare ruoli da protagonista nei film. Ma il caso di La notte dei morti viventi è più 
complesso in quanto all’interno della casa nascono tensioni fra i vari personaggi, 
soprattutto a causa della rivalità fra il protagonista di colore, Ben, e il capofamiglia 
bianco, Harry, che non sopporta di lasciarsi comandare da un uomo di razza 
‹‹inferiore››. Basti questo per capire che il film non è solo una questione di 
intrattenimento splatter per un pubblico di teenager ma è anche un’opera che muove 
delle pesanti critiche verso la società contemporanea e gli avvenimenti che la 
affliggono, tra cui il Vietnam. Infatti, la casa isolata con all’interno una decina di 
personaggi è una sorta di sineddoche della società contemporanea dove, invece di unirsi 
per combattere il pericolo comune, ci si divide sempre più fino a soccombere tutti a 
causa dell’individualità, egoismo e brama di potere di ognuno. Anche la famiglia si 
disintegra, emblematica la sequenza in cui la figlia contagiata dagli zombi uccide i 
genitori. A questo punto viene da chiedersi chi siano i veri mostri, i morti viventi 
affamati di carne o le persone ‹‹normali››? L’unico personaggio positivo è Ben, l’eroe 
del film – o meglio non-eroe – la cui unica colpa è di essere nero; questa caratteristica 
sembra avvantaggiarlo dato che non solo è una figura estranea a ciò che accade – gli 
zombi sono tutti bianchi così come il resto dei personaggi – ma è anche l’unico a 
sopravvivere agli attacchi dei morti viventi. Purtroppo il destino vuole che Ben, armato 
di fucile per difendersi, venga ucciso alla fine del film, nella maniera più stupida e 
assurda possibile: un colpo d’arma da fuoco alla testa sparato da uno degli uomini dello 
sceriffo che lo aveva scambiato per uno zombi! ‹‹L’unico personaggio eroico e 
intelligente del film [… viene] assassinato da imbecilli bianchi con in mano delle 
pistole››
22
. Oltre a essere un finale anticlassico, rappresenta un vero e proprio pugno allo 
stomaco dello spettatore che di fronte a una morte così gratuita e impregnata di 
razzismo si sente responsabile. Anche perché solo lo spettatore conosce la realtà dei 
fatti; il commilitone assoldato dallo sceriffo per combattere i morti tornati in vita crede 
di averne ammazzato un altro e lo bruciano, dopo averlo arpionato, assieme agli altri. 
Ed è qui che si sommano la critica al razzismo e quella al possesso di armi, già 
enunciate nel corso del film. Un’ultima questione legata a La notte dei morti viventi 
riguarda gli zombi. Questi erano già stati oggetto di film precedenti ma erano visti più 
                                                 
22
 Annalee Newitz, op. cit., p. 160.
15 
che altro come dei mostri tornati in vita; con il film di Romero essi rappresentano 
qualcosa di più: una metafora della società del consumo. Gli zombi sono esseri stupidi, 
non parlano ma emettono solo dei versi, si muovono lentamente e a scatti, eppure sono 
pericolosissimi soprattutto se in vasti gruppi, sono alla ricerca di carne e chi ne viene 
anche solo morso diventa zombi pure lui. Quindi sono in grado di contagiare l’umanità 
intera proprio come il consumismo ha contagiato la società contemporanea. George 
Romero con La notte dei morti viventi entra nella storia del cinema e crea un filone 
sugli zombi che fino a oggi è pressoché ininterrotto dedicando la propria filmografia a 
tale argomento. Il suo secondo lungometraggio sui morti viventi, dal titolo Zombi 
(1978), riprenderà molti dei temi del primo film e si scaglierà ancor più contro la società 
e il consumismo. Ambientato non in una casa ma in un grande centro commerciale, 
alcuni personaggi vi si rifugiano per scampare ai morti viventi. Ma, invece di temere il 
pericolo che nel corso del film si avvicinerà sempre più, si preoccupano di razziare tutto 
ciò che è possibile trovare nei negozi del centro commerciale; una vera e propria 
morbosità del consumismo che non risparmia né vivi né morti. Quanto creato da 
Romero sarà imitato, copiato, saccheggiato numerose volte, anche da registi italiani, ma 
nessuno riuscirà mai a eguagliare questi autentici capolavori. 
 Tornando al 1968, Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York dà inizio a un 
altro filone del cinema horror, quello satanico. Roman Polanski, di famiglia ebrea, era 
sfuggito ai campi di concentramento e in Polonia aveva iniziato la sua carriera di 
cineasta all’interno del Nuovo Cinema Polacco per poi trasferirsi in Inghilterra e 
realizzare altri film come Repulsion (1965). Rosemary’s Baby, girato negli Stati Uniti e 
adattato molto fedelmente dall’omonimo thriller di Ira Levin, inizia come una sorta di 
soap-opera: una coppia di sposi, Rosemary e Guy Woodhouse, in procinto di avere un 
figlio si trasferiscono in un palazzo di New York
23
. In realtà c’è già qualcosa che non 
va, la ‹‹lenta carrellata aerea [iniziale] sorvola il cielo di New York con un movimento 
da destra verso sinistra, anomalo rispetto a quello delle tradizionali panoramiche 
descrittive››
24
. Qui conoscono i loro vicini, i Castevet, una coppia di anziani 
apparentemente normale. 
                                                 
23
 È lo stesso palazzo davanti al quale verrà assassinato John Lennon nel 1980. 
24
 Alberto Scandola, Roman Polanski, Milano, Il Castoro, 2003, p. 86.