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Introduzione 
In generale, seguendo un modo occidentale di pensare che possiamo far risalire fino alla pace di 
Westfalia, la quale “ha portato alla nascita di un sistema internazionale basato su una pluralità di Stati 
indipendenti” (Cassese, 2006, p. 33), quando si pensa ad una lingua è inevitabile collegarla con una 
specifica realtà nazionale i cui locutori sono insediati in una porzione geografica ben definita. 
D’altronde, ogni lingua ha già insito nel proprio significante un’individuazione geografica ben 
precisa; così l’italiano è la lingua dell’Italia, il francese della Francia, il tedesco della Germania e così 
via. Ad un secondo e più approfondito sguardo, però, si nota che alcune lingue sconfinano da 
situazioni statuali geograficamente distinte e con le quali esse non possono essere identificate e solo 
con molta difficoltà fatte risalire ad uno Stato ben preciso. Tra queste si trova la lingua franca dei 
nostri giorni, l’inglese, che è oggi la lingua parlata in tutto il mondo. L’inglese, la lingua 
dell’Inghilterra, è presente in ogni dove per via dell’imponente opera di colonizzazione di cui gli 
inglesi furono fautori dal sec. XVI fino al sec. XX, che ha visto raggiungere, nel 1912, sotto il dominio 
inglese fino ad un quarto delle terre emerse (Fromkin, 1989). Il predominio della lingua inglese 
continua oggi, nonostante la fine dell’impero britannico, a causa dell’egemonia economica e politica 
che gli Stati Uniti hanno assunto nel corso del secolo scorso e che mantengono fino ad oggi. La lingua 
di questi colonizzatori, però, non si è mai sostituita completamente a lingue e dialetti autoctoni, che 
rimasero, pur tuttavia in uno stato di secondaria utilità, sempre vive. Specularmente, l’inglese è 
rimasto sempre dipendente da grammatiche e regole linguistiche solo ed esclusivamente provenienti 
dalla Madre Patria. Lo stesso ragionamento può essere applicato alle altre lingue dei colonizzatori 
europei: francese, spagnolo, portoghese. 
Al contrario, uscendo fuori dal contesto europeo ed analizzando regioni che hanno attraversato 
una storia completamente diversa, una lingua come l’arabo che si posiziona al quarto posto per 
locutori con un totale di 295 milioni di parlanti in 57 Stati diversi (Simons, et al., 2017) e che, 
nonostante sia stata anch’essa lingua di colonizzatori in Africa e Asia dal sec. VII al sec. XII, non 
trova in un unico Stato la sua guida linguistica, né il suo nome è capace di evocare un luogo di 
riferimento per sé stessa; la definizione di “lingua d’Arabia” risulterebbe infatti riduttiva e non può 
trovare, oggi, un’entità statuale unica di identificazione. Infatti, prendendo in considerazione la 
regione geograficamente definita Arabia, vi si trovano ben 6 Stati diversificati politicamente, 
religiosamente e socialmente
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. 
Sarebbe forse più corretto quindi definire, in questo caso, la lingua araba come la lingua degli 
arabi, ovvero degli abitanti dei 22 Stati diversi tra Africa e Medio Oriente che riconoscono la lingua 
                                                 
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 Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman e Yemen. Essi oltre a ad avere forme di governo 
diverse, hanno avuto storie separate e diversificate. Inoltre, non meno importante è che al loro interno sono presenti 
devoti delle diverse correnti dell’Islam (sunniti, sciiti e ibaditi).
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araba come lingua ufficiale del proprio Stato (pur tenendo sempre presente il fatto che l’arabo è 
conosciuto e compreso finanche in Indonesia
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). Tuttavia l’arabo non ha mai vissuto momenti simili 
alle sue controparti europee, in cui è stato scelto tra altre lingue ed eretto come lingua unica né di 
nazionalismo in chiave di consolidamento di identità nazionali nonostante il fatto che essa sia 
preferita in ambienti classici e ufficiali alle varianti dialettali presenti in ogni paese arabo. Esso è stato 
la lingua degli imperi islamici ed è la lingua del Corano, che rimane ancora oggi il punto di 
riferimento, anche grammaticale, per la variante contemporanea.  
Le motivazioni per cui oggi siamo giunti ad una tale concezione di lingue come elemento 
indissolubile di uno Stato e di un popolo ben precisi ed identificabili sono da ricercarsi nella storia 
che ha condotto alla creazione degli stati cosiddetti moderni. Tappa fondamentale, in Occidente, è 
stata proprio la valorizzazione da parte di monarchi, all’inizio dell’epoca moderna, di una lingua 
volgare sulle altre presenti in un territorio, che in questo modo è stata elevata a lingua “nazionale”, 
da preferire su tutte le altre (Formigoni, 2006). Quando imperatori, re o primi ministri decidevano di 
creare nuove realtà nazionali, essi facevano forza proprio su alcuni elementi che potessero conferire 
un diritto alla loro opera di conquista e unificazione.  
È nata così la concezione occidentale dello Stato come una macchina politica che “amministra e 
domina le persone e i territori su cui regna e su cui reclama l’autorità suprema, la sovranità”. 
(Halliday, 2007, p. 74). Gli attuali stati del Nord Africa e del Medio Oriente sono stati “moderni” in 
questo senso, essi sono sostanzialmente il prodotto di periodi più o meno lunghi di colonialismo 
occidentale che hanno coercitivamente introdotto idee e funzioni statali ben diverse da quelle 
autoctone. Queste idee, assimilate dagli stessi sottoposti coloniali, sono state in alcuni casi preferite 
rispetto a forme locali, perché viste come modello “superiore” di civiltà. Non che forme identificabili 
come Stati non esistessero in Medio Oriente, basti pensare che già nei secoli pre-islamici in queste 
zone si sono sviluppati, tra gli altri, gli antichi regni assiri, babilonesi, persiani, egiziani e fenici. Con 
l’avvento dell’Islam, basti pensare ai tre grandi imperi musulmani (omayyade, abbaside e ottomano) 
che hanno governato il Medio Oriente per quattordici secoli dall’avvento dell’Islam fino agli inizi del 
XX secolo. Si trattava, comunque, di realtà statuali fortemente decentrate e deboli, meno invasive 
nella vita dei loro sudditi, ma comunque forme di Stato (ibid. p. 76). Bisogna riflettere sul fatto che 
se tali forme di Stato si sono sviluppate in questi modi è perché erano un prodotto autoctono di quella 
società, creata da e per quella realtà locale. La superiorità europea in campo scientifico, economico e 
                                                 
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 Una nota va fatta sul carattere religioso della lingua araba. Essa è, ad oggi, esattamente la stessa lingua con cui è 
stato tramandato il Corano in origine quattordici secoli fa. Ogni musulmano conosce la versione originale in arabo del 
Testo anche se vive in zone non arabofone, se si pensa che i credenti di Allah oggi sono circa 1,6 miliardi di cui solo 
400 milioni in Medio Oriente (Fabietti, 2016), è facile intuire perché sacche di parlanti arabofoni sono presenti in tutto 
il Mondo.
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militare, infine, si è tradotta nelle conquiste coloniali che, tramite l’esportazione e l’immissione 
coercitiva di idee ed ideali occidentali, hanno generato cambiamenti radicali nella storia e lo sviluppo 
del Medio Oriente, avendo come diretta conseguenza solo la grande instabilità di cui vediamo e 
subiamo gli effetti ancora oggi.
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1. Lo Stato Moderno tra Occidente e Oriente 
Alle prime forme di Stato accentrato in Europa, risalenti già al XV secolo, si è accompagnata una 
riflessione sul rapporto tra il potere costituito e i sudditi; tuttavia, la riflessione moderna ancora oggi 
valida è cominciata solo nel tardo XVIII secolo inaugurata da Hegel
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 prima e perfezionata da Weber 
poi. Infatti Max Weber nella sua conferenza dal titolo “La politica come vocazione” ha dato una 
definizione di Stato, che ancora oggi risulta fondamentale nello studio delle Scienze Politiche e del 
Diritto Internazionale, definendolo come «un'entità che reclama (con successo) il monopolio sull'uso 
legittimo della forza fisica in un dato territorio» (Weber, 1919, cit. da Owen, 2005). Inoltre, l’intero 
XIX secolo è un esempio di come i nuovi Stati siano sorti seguendo dei precisi principi essenzialistici 
di carattere etnico-linguistici, e cioè cercando di riunire agglomerati di persone in un'unica realtà 
politica che incarnasse degli elementi comuni, nella maggioranza dei casi costruiti ed idealizzati. Ciò 
è chiaramente visibile nella maggior parte dei casi direttamente nel nome proprio dello Stato
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, che 
riprendono, fatta eccezione per sporadici casi, il nome della presunta etnia a cui rimandano.  
Nel giro di pochi decenni, da un nazionalismo di carattere liberale e romantico, dove ha trovato un 
vasto campo la riflessione sulla Patria tanto in opere letterarie quanto nelle arti figurative quanto 
musicali, si è passati dal discorso patriottico ad una retorica nazionalista aggressiva che aveva come 
suo perno il concetto di Nazione e della superiorità della propria sulle altre. Si trattava di politiche 
che cercavano di influenzare e indirizzare i propri cittadini contro gli altri Stati esistenti sfruttando 
anche nuovi media di comunicazione come ad esempio la stampa a tiratura nazionale. La seconda 
metà dell’800 ha visto quindi una ricerca del potere sempre maggiore da parte delle nazioni europee; 
la consapevolezza della propria posizione internazionale faceva sì che ognuno cercasse di rafforzare 
la propria  posizione a danno di quelle altrui, da un punto di vista tecnologico, militare e diplomatico. 
Il contatto tra i due mondi occidentale ed orientale, sempre più frequente nel corso dei secoli XVIII 
e XIX anche grazie alle nuove tecnologie nel campo dei trasporti con la creazione di mezzi di 
spostamento sempre più rapidi, ha visto il primo trionfare sul secondo soprattutto sui piani militare 
ed economico. L’egemonia occidentale che ne è derivata ha contribuito alla formazione e alla nascita, 
anche dove storicamente e sociologicamente non sarebbero, probabilmente, dovuti formarsi, di Stati-
Nazione basati sul modello europeo, esportati con la forza dai colonizzatori ed assimilati dalle 
popolazioni locali che hanno poi intrapreso, più o meno forzatamente, un percorso di 
“occidentalizzazione” della società. 
 
                                                 
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 Con la sua teoria dello Stato enunciata nella Fenomenologia dello spirito. 
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 Serbia nel 1813, Grecia nel 1821, Belgio nel 1830, Lussemburgo nel 1839, Italia nel 1861, Germania nel 1871, 
Romania nel 1881.