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Social Food - Dai farmers' markets al fast food biologico

Fast-food biologici: quando l’ossimoro cede il passo alla realtà

I ristoranti fast-food sono generalmente associati a cibo spazzatura, molto calorico, pieno di sostanze artificiali come aromatizzanti, edulcoranti, coloranti, conservanti, dove gli alimenti hanno standard mediamente bassi, sono prodotti in serie, in quantità massificate e si consumano in questi luoghi “di passaggio” in cui cioè si rimane per poco tempo. Il sapore dei cibi dei fast-food è standard e ricreato artificialmente, così come l’odore che avvolge chi varca la soglia, così com’è artefatta quell’insana voglia che il cibo da fast-food lascia nel palato e nella mente di volerne ancora ed ancora. Oltretutto i fast-food sono da sempre pietra di scandalo, tra i principali accusati per le malattie alimentari, l’obesità, i problemi cardio-vascolari e più in generale il comportamento alimentare che da sempre contraddistingue lo stile americano. Gli scandali alimentari poi hanno contribuito a completare il disastroso ritratto di questi luoghi di somministrazione, che negli ultimi anni stanno cercando di recuperare immagine e “credibilità alimentare” con pubblicità sui prodotti scelti e le filiere controllate o con l’aggiunta nei menù di insalate e qualche prodotto locale certificato.
Tuttavia il modello con cui i fastfood è nato e si è diffuso del mondo è quello rinomato, fatto di prezzi bassi e costi contenuti, per far si che potesse essere l’emblema della ristorazione di massa e democratica che avrebbe portato poi conseguenze incontrollabili sui consumatori.
Come può tutto questo accostarsi al termine biologico, concetto di per sé intrinseco delle caratteristiche di genuinità e naturalità? Eppure è quanto è successo sia all’estero che in Italia, la forma rimane quella dei fast-food ma cambia radicalmente la sostanza, cioè gli alimenti proposti. Ed è proprio in queste aree che il biologico continua la sua diffusione, a Berlino ad esempio, esiste una catena di fast-food biologici: la Germania ha oltre 70 mila ettari di terra riservati alle colture biologiche ed è tra i paesi europei con la più lunga cultura su cibi macrobiotici e biologici. Nei Gorilla Fast Food, questo l’accattivante nome scelto che richiama ad un animale forte e possente ma vegetariano, si servono esclusivamente cibi biologici ed il menù è vegetariano. La catena ha ricevuto finanziamenti dalle banche per l’apertura di quattro locali, tuttavia è molto recente la notizia della loro temporanea chiusura per motivi legati ai costi gestionali.
Iniziative imprenditoriali simili stanno sorgendo in tutta l’Europa, anche se come si è visto mantenere i conti in equilibrio data la particolarità del cibo biologico può talvolta essere difficoltoso, specie se la proposta incontra una domanda diffidente o non ancora pronta a questo salto di qualità.
L’esperienza dell’Italia in quest’ambito sembra essere positiva, è di recente apertura uno dei primi fast-food a chilometro zero, a Rivoli in provincia di Torino ed ha già destato molto interesse anche per via di una querelle con il gigante Mc Donald dovuta al nome. I due soci piemontesi fondatori dell’ “agrihamburgheria” precisano che il loro è più uno “slow” che un fast-food ed il nome del locale è “Mac Bün” che in dialetto significa “solo buono” ma l’assonanza con “Mc” nella pronuncia ha fatto sì che i legali del colosso americano gli ordinassero di cancellare il marchio. Il nome è stato quindi cambiato in “M** Bün”, ma al di là della questione del marchio la novità di questo posto è soprattutto in quel che mette nel piatto. I titolari descrivono nel dettaglio cosa compone i menù che offrono e come riescono ad essere concorrenziali: “La carne arriva dall’azienda di famiglia sita ad un paio di chilometri di distanza dove si allevano 380 bovini di razza Piemontese, 180 maiali, 2500 polli e 800 conigli sfamati al 90% con il foraggio coltivato sui 50 ettari su cui si estende l’azienda agricola e fertilizzato grazie ai letami prodotti dalla stessa. La birra artigianale proviene da Vaie in Val di Susa, il pane è prodotto in un panificio artigianale a pochi chilometri di distanza, i formaggi e le tome arrivano da Villastellone, comune della cintura torinese, i vini e le patate sono rigorosamente piemontesi e privilegiamo senza compromessi la filosofia della filiera corta.” È proprio quest’ultima che permette loro di essere concorrenziali ed offrire menù completi a 7 Euro, poiché un allevamento come il loro non compete sul mercato con quelli grandi ed intensivi che invece di 2500 ne hanno magari 30000 di polli; gli animali di questa azienda agricola sono certamente più forti e più sani, poiché allevati con una stabulazione libera e nel rispetto dei loro tempi di accrescimento. I polli ad esempio sono stati scelti di una razza più rustica e resistente agli sbalzi di temperatura, ben diversi da quelli gonfiati delle batterie industriali. Oltre a rifornirsi nel raggio di pochi chilometri per tutte le materie prime, l’agrihamburgheria usa solo stoviglie in plastica derivata da mais quindi completamente biodegradabili. La produzione attuale è sui 300 panini al giorno ed alla domanda se abbiano già pensato ad allargarsi, la risposta dei titolari è che per ora non ci pensano. Un fast-food a chilometro zero quindi è possibile, se si mantiene fede ai principi guida la risposta e l’apprezzamento dei consumatori arrivano; riguardo l’esportabilità o la replicabilità del format penso che ognuna delle iniziative imprenditoriali dovrebbe essere in un certo senso “a sé stante” o per lo meno prima di duplicarla andrebbero garantiti i presupposti di prossimità con le fonti che hanno dato vita al suo successo.
Quello appena descritto mi sembra un tipico esempio dell’imprenditorialità piccola e creativa di cui il territorio italiano è costellato e che va salvaguardata per dare risposte ai consumatori che siano sane, di qualità e nello stesso tempo sostenibili e ricche di quel valore aggiunto che il localismo può dare in misura maggiore dell’imitazione di format esteri lontani dal nostro vivere e dalla nostra tradizione. Nondimeno imprese come queste permettono la sopravvivenza, ormai messa a dura prova, dei nostri agricoltori ed allevatori, arrivati, come già detto nel capitolo 1, a non avere più convenienza nemmeno nel raccogliere i prodotti dei loro campi, strozzati dai prezzi imposti da industria trasformatrice e distribuzione, e costretti ad abbandonare ettari ed ettari di terreno prezioso che in questo modo dà luogo a molteplice conseguenze negative.
Tornando al tema del paragrafo, sono anche altri in Italia gli esperimenti di fast food biologico, a Brescia è nato alcuni anni fa “Pollicino”, che ha preferito chiamarsi il primo bio fast “guud” in Italia, offre menù biologici e vegetariani, ma purtroppo il sito non è né preciso né dettagliato e, ad esempio, non è chiaro da dove provengano questi prodotti né sono messe in evidenza le loro eventuali certificazioni. Altro esempio di successo lo si trova a Zanè in provincia di Vicenza, dove ha aperto “Bamburger” il primo negozio di quella che potrebbe diventare una catena. A differenziarlo dai classici fast food è prima di tutto l’ambientazione, colorata come si addice a questo genere di locale ma con materie prime naturali, prima fra tutte il bambù, utilizzato per i tavoli, da cui il nome. Le differenze sostanziali tuttavia stanno negli ingredienti dei panini: carne di maiale o manzo proveniente da allevamenti di Asiago e della Toscana, pane di panifici locali, dolci artigianali, birra artigianale della provincia di Vicenza. Il menù propone inoltre opzioni per i più piccoli, varianti vegetariane, insalate, zuppe ed il dettaglio in più è che è un locale disponibile anche per le colazioni, a base di cibi salati e dolci, tra cui mieli e marmellate biologiche ed aranciata fatta rigorosamente con arance siciliane.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Social Food - Dai farmers' markets al fast food biologico

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Informazioni tesi

  Autore: Alessia Bernardi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Economia
  Corso: Marketing
  Relatore: Davide Pellegrini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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