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Autoriciclaggio e art. 25-octies D.lgs. 231/2001: come varia il principio di legalità

Il delitto presupposto in funzione del trattamento sanzionatorio

Prima di addentrarci nella disciplina dei MOG, si ritiene opportuno fare quest’altra premessa che riguarda il trattamento sanzionatorio. Tra le ragioni per cui il tema del delitto presupposto acquista uno spiccato rilievo per quanto attiene alla responsabilità amministrativa dell’Ente, non vi rientra solo il tema della possibile violazione del principio di legalità in relazione al catalogo dei reati, ma anche quello della disciplina sul trattamento sanzionatorio, il quale è strettamente legato e dipendente dal primo. Conseguentemente all’introduzione dell’autoriciclaggio nel D.lgs. 231/2001, si è assistito ad una duplicazione delle sanzioni, ma in via del tutto inaspettata, il tema non ha suscitato forte interesse tra la Dottrina.
Anzitutto, come ricordato anche nel secondo Capitolo, una volta che l’agente è stato ritenuto colpevole ai sensi dell’art. 648-ter.1 del codice penale, questi sarà esposto ad un doppio livello sanzionatorio, dovendosi applicare sia la pena prevista per l’autoriciclaggio che per il reato base (salvo che sia prescritto o non perseguibile). Se da un lato è stato messo in luce il problema, dall’altro sono state avanzate anche delle ipotesi di risposta, inter alia, ricorrere alla figura del reato continuato alla luce del quale il reato punito meno severamente viene inglobato in quello col massimo più elevato, se si dimostra che l’agente abbia agito con lo scopo di perseguire un “medesimo disegno criminoso”, e quindi soggiacere al cumulo giuridico delle pene (ex art. 81 c.p.), ovvero in sua assenza ricorrere al cumulo materiale.

Con riferimento alla responsabilità dell’Ente, la situazione è un po’ più complicata: non potendosi applicare i principi generali del delitto penale appena ricordati si correrebbe il rischio di punire due volte l’Ente sia per il delitto a monte che per quello a valle, e poi l’eventuale tema del cumulo della sanzione penale per la persona fisica e quella amministrativa per la persona giuridica aventi però la medesima origine. Dinanzi a questa situazione si pongono maggiori problemi di compatibilità con il più volte menzionato divieto del ne bis in idem, come da ultimo enfatizzato nuovamente dalla CEDU, la quale nel 2014 ha censurato la disciplina italiana in tema di market abuse proprio a causa del doppio binario sanzionatorio amministrativo-penale a cui è assoggettato il reo. Allora allo stato dell’arte, dunque, anche per il delitto di autoriciclaggio esiste questa moltiplicazione dei livelli sanzionatori che consentirebbe al reo di invocare il rispetto del principio di cui appena sopra.
Lasciando un attimo in sospeso il tema del ne bis in idem, si tratterà ora di un altro punto sempre sul trattamento sanzionatorio, collegato più strettamente alla discussione sul delitto presupposto. Nuovamente, al centro del discorso, l’interrogativo che ci siamo posti ad inizio trattazione, perché dalla sua risposta, discendono conseguenze anche in tema di sanzioni: di quale reato risponde effettivamente l’Ente?

Se si appoggia la tesi in virtù della quale l’Ente non deve prevenire solo la commissione di autoriciclaggio, ma anche quella dei delitti a questo presupposto, allora il problema dell’eventuale cumulo delle sanzioni potrebbe venire ad esistenza. Difatti, il soggetto collettivo potrebbe essere soggetto sia alla sanzione pecuniaria prevista dall’art. 25-octies, che a quella prevista per il reato presupposto, scontrandosi così col divieto della doppia sanzione. Quest’ultimo poi, dovrà obbligatoriamente essere incluso nel catalogo, perché l’Ente in virtù del principio di legalità previsto dall’art. 2 del Decreto non può essere punito, id est assoggettato a pena, per un fatto non previsto nel catalogo. In termini pratici, ad esempio, verrebbe esclusa in via categorica la possibilità che possa fungere da delitto presupposto una frode IVA, anche laddove realizzata nell’interesse o vantaggio dell’Ente stesso, poiché non è prevista alcuna forma di sanzione. Ed a nulla varrebbe menzionare l’articolo del Decreto, il quale rubricato “Pluralità di illeciti”. Quest’ultimo sembrerebbe riprendere il cumulo giuridico a cui soggiace l’autore degli illeciti, tuttavia a differenza di quanto espressamente richiesto nell’art. 81 del c.p., nell’art. 21 non vi è alcun richiamo al medesimo disegno criminoso tale da giustificare il minor trattamento sanzionatorio. Per cui più che di reato continuato, si dovrebbe parlare di una mera pluralità di reati commessi “nello svolgimento di una medesima attività”, e pertanto non potendo essere valutati unitariamente, si avrebbe la conseguenza di dover applicare il cumulo materiale delle pene. Ma si richiede, ai fini della sua applicazione, che tutti gli illeciti commessi appartengano al catalogo dei reati presupposto. Si potrebbe anche azzardare l’ipotesi di dire che, se il delitto presupposto e il successivo autoriciclaggio vengono visti come due illeciti distinti tra loro per meri fini sanzionatori onde evitare il rischio della doppia sanzione, allora potrebbero essere considerati come delitti autonomi e indipendenti anche con riferimento alla struttura stessa dell’autoriciclaggio, con la conseguenza che il reato-base potrebbe essere uno di quelli non inclusi nel Decreto.
Il rischio di un diverso approccio potrebbe essere quello di far rispondere l’Ente anziché di autoriciclaggio, della sua fattispecie presupposta, nel senso che la pena verrebbe commisurata non tanto in relazione al fatto tipico ex art. 25octies quanto piuttosto in relazione all’ipotetico reato tributario senza però una base normativa a giustificare simile condotta.

Diversamente, come evidenziato da alcuni Autori, lo stretto rapporto di strumentalità e dipendenza tra i due illeciti, tale da far sussistere una: “stretta correlazione tra “l’evento patrimoniale” del delitto presupposto e quello della condotta di ripulitura”, dovrà per definizione estendersi anche al trattamento sanzionatorio e dunque il delitto presupposto dovrà necessariamente essere uno di quelli previsti nel catalogo.
Questo vale fin quando non si appoggia l’orientamento opposto, ossia quello per cui gli Enti siano chiamati a prevenire tramite i propri Modelli esclusivamente la condotta di autoriciclaggio, lasciando così indenne non solo il principio di legalità, ma anche il divieto del cumulo sanzionatorio. In questo modo si eviterebbe ogni forma di doppia sanzione, dato che l’Ente sarebbe soggetto solo alla sanzione prevista dall’art. 25-octies perché la sua responsabilità sarebbe legata esclusivamente al reato di autoriciclaggio. Tra i primi Autori in commento, Confindustria con la sua Circolare N. 19867, la quale al fine di evitare il rischio di un’eccessiva sanzione aveva per lo meno auspicato che la Giurisprudenza potesse considerare penalmente rilevanti ai fini autoriciclaggio, solo quelle condotte che possedevano un disvalore penale ulteriore a quello del reato base. Ad ogni modo, per il momento, né la Dottrina né la Giurisprudenza sono intervenute sul tema della sanzione: data la stretta connessione con la questione attinente al delitto presupposto, la querelle si risolverà in un senso o nell’altro solo una volta che verrà messo un punto definitivo da parte del legislatore o della Giurisprudenza alla domanda madre.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Autoriciclaggio e art. 25-octies D.lgs. 231/2001: come varia il principio di legalità

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandra Tramontelli
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2019-20
  Università: Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Francesco Mucciarelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 160

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Parole chiave

riciclaggio
punibilità
autoriciclaggio
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