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Il doppiaggio come traduzione linguistica e culturale: il caso Frankenstein Junior

La mediazione linguistica e culturale in fase di doppiaggio

In seguito all’avvento del sonoro l’industria cinematografica si è trovata di fronte al problema della traduzione linguistica dei dialoghi, dovendo tener conto della commerciabilità e della distribuzione all’estero del film.

Inizialmente, abbiamo visto, si sono susseguite differenti tecniche e sperimentazioni, per poi giungere al doppiaggio: apparentemente un processo sistematico o una semplice traduzione da una lingua all’altra, in verità un sistema complesso che deve tener conto di lingue, culture e realtà differenti dei diversi paesi importatori.

Del resto il film è un sistema multisemiotico che contiene elementi verbali e non, visivi e sonori, e affinché il film sia comprensibile nel paese destinatario, occorre rendere comprensibile non solo ogni parola ma anche i codici non verbali e far sì che parole e gesti vadano di pari passo senza mai essere discordanti fra loro.

Si deduce che tradurre un film significa scomporre un sistema complesso in ogni sua minima parte, per poi ricomporlo accostando parole ed immagini che siano equivalenti e riconoscibili da parte del pubblico di arrivo, sia espressivamente che comunicativamente, al fine di creare il contesto culturale in cui tutti possano riconoscersi.

Gran parte delle opere, libri come film, sono intrisi di riferimenti culturali, linguistici e non, dal momento che sono stati prodotti in un determinato paese cui fa da sfondo una determinata cultura. La cultura non è un fenomeno concreto e materiale, non consiste in cose, persone, emozioni o comportamenti, bensì è un mix di tutti questi elementi che insieme creano il cosiddetto “bagaglio culturale” di una nazione.

Può comporsi, quest'ultimo di riferimenti storici, artistici, religiosi, politici, economici ma anche di abitudini, tradizioni, unità di misura e monetarie, gastronomia etc. Tutti elementi che generano un senso di unione e riconoscimento tra gli individui appartenenti a una certa comunità culturale, dando vita a una sorta di identità sociale collettiva.

Gli aspetti che caratterizzano la sfera culturale di una nazione vengono definiti anche culture-bound terms. Letteralmente “termini/concetti specifici di una cultura”, che si sono sviluppati nel corso della storia entro aree geografiche limitate e che per questo differiscono da paese a paese. Spesso questi vengono assimilati inconsciamente ovunque: dal contatto con gli altri, dalle relazioni interpersonali e familiari, attraverso i mass media etc. ed è ciò che viene definito dai linguisti la cognizione comune, ovvero tutto ciò che il pubblico conosce senza saperlo.

Nel contesto cinematografico esistono sia riferimenti culturali non linguistici conosciuti a livello internazionale sia quelli che, essendo fortemente connessi alla cultura di origine, non hanno un esatto equivalente nella lingua e cultura di arrivo e per essere trasposti, i dialoghisti ricorrono ad alcune strategie traduttive che vedremo in seguito nel paragrafo dedicato ad esse.

Per questo il doppiaggio viene inteso anche come superamento delle barriere linguistiche e culturali che obbliga il dialoghista ad essere molto preparato non solo linguisticamente, ma anche a conoscere bene la cultura di origine e quella di arrivo, immedesimandosi sempre nello spettatore-tipo. Ciò che egli si trova di fronte non è solo una storia da tradurre, ma un film composto da immagini, gesti, suoni e rumori tutti ben concatenati tra loro e inscindibili. Anche le battute che gli attori recitano non possono essere tradotte solamente estrapolandole dal film e quindi letteralmente, ma dovranno essere prese in considerazione insieme anche a tutti quegli elementi che fanno da sfondo alla storia come il luogo e l’ambiente, l’epoca, il linguaggio o la cadenza linguistica del personaggio.

Per eseguire al meglio il proprio lavoro, il dialoghista deve insomma domandarsi continuamente come avrebbe parlato quel determinato attore nella sua lingua. Nel farlo dovrà sempre rispettare il senso e le intenzioni comunicative del personaggio (personaggio con una propria estrazione sociale, una data appartenenza etnica etc.), trovando dei registri linguistici, per quanto possibile, paralleli a quelli usati nella versione originale, considerando la competenza linguistica dello spettatore medio.

A differenza di altre traduzioni, per esempio teatrali, nel film le battute sono già state scritte, recitate e registrate, quindi l’adattatore nel tradurre dovrà obbligatoriamente fare attenzione alle lunghezze, alle pause, alle interruzioni e tutto ciò che è intorno dialogo, contando poi di recuperare altrove ciò che eventualmente è stato portato a sacrificare nel corso della recitazione. Questo lascia intuire e conferma l’idea che il doppiaggio va ben aldilà di una mera traduzione da una lingua a un’altra.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il doppiaggio come traduzione linguistica e culturale: il caso Frankenstein Junior

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Marioni
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2010-11
  Università: Università per stranieri di Siena
  Facoltà: Lingua e Cultura Italiana
  Corso: Mediazione linguistica e culturale
  Relatore: Vera Gheno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 80

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