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INTRODUZIONE 
 
 
Il nucleo principale di quest‘elaborato è costituito dal preoccupante fenomeno del 
consumo prematuro ed esagerato da parte dei giovani adolescenti di oggi. Negli ultimi 
anni si sta infatti assistendo ad un cambiamento dei modi e dei tempi di fruire di queste 
bevande da parte della popolazione giovanile, andando così a delineare un nuovo stile 
del bere giovane, contrassegnato da nuovi valori d‘uso che pongono una netta rottura 
con i valori d‘uso più tradizionali di un paese mediterraneo quale l‘Italia. Il fenomeno è 
talmente radicato nella cultura dei giovani italiani e talmente diffuso, che si può parlare 
di un vero e proprio stile di vita. I gravissimi danni provocati dall‘abuso di alcol 
derivano proprio da questi cambiamenti culturali che anche nel nostro paese riguardano 
prevalentemente il modo di assumere le bevande alcoliche: sempre meno legato ai pasti, 
come vorrebbe la tradizione mediterranea, il consumo è orientato verso altri modelli 
provenienti da paesi stranieri, come il binge drinking (il bere molto con lo scopo di 
ubriacarsi), che favoriscono spesso il passaggio a sostanze stupefacenti. Inoltre, il 
cambiamento si è verificato anche nella scelta delle bevande e delle occasioni, che 
vedono ai primi posti birra e aperitivi. 
L‘aumento del consumo di alcol, che in Italia riguarda soprattutto i quattordicenni 
e le ragazze, ha tra le sue motivazioni principali la necessità degli adolescenti di sentirsi 
più sicuri nel gruppo dei pari, più emancipati agli occhi dei coetanei e degli adulti. È 
anche però un fenomeno connesso all‘influenza negativa della pubblicità e dei mass 
media, che spesso associano il consumo di bevande alcoliche a situazioni di benessere e 
di successo generale o a personaggi che diventano per i giovani dei modelli da imitare, e 
per contro, paradossalmente, non indicano i gravi danni a cui gli adolescenti vanno 
incontro consumando tali bevande. 
Si è creato quindi un allarme sociale in riferimento a questi prematuri e smodati 
consumi, legato, oltre che ai suddetti cambiamenti culturali dei modi di bere, anche sia 
alla precoce età del primo bicchiere, che l‘Organizzazione Mondiale della Sanità rivela 
essere 11 anni in Italia, Paese che per questo dato allarmante si trova in testa a livello 
europeo (gli altri Paesi europei registrano dati pari ai 14 anni e mezzo), sia a causa delle 
cosiddette ―stragi del sabato sera‖: i frequenti incidenti d‘auto che avvengono durante la 
notte tra il sabato e la domenica, che coinvolgono soprattutto ragazzi e ragazze 
giovanissimi, e che sono direttamente correlati ai violenti consumi alcolici del fine 
settimana. 
Ad aggravare la situazione un altro dato, proveniente sempre dall‘OMS, che 
evidenzia l‘alcol come prima causa di morte tra i giovani. Ne sono responsabili, 
innanzitutto, gli incidenti stradali, seguiti da avvelenamenti, omicidi e suicidi, causati
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dal bisogno di alcol e al tempo stesso dall‘incapacità di vincerne la dipendenza. In 
questi ultimi periodi, infatti, si constata nella nostra società una relazione diretta tra il 
consumo dia alcol, la violenza sociale, gli indici di criminalità e gli incidenti. In Italia, 
più di un terzo degli incidenti stradali che si verificano annualmente sono causati 
dall‘alto tasso alcolemico di chi guida: su un totale di seimila morti, la metà è costituita 
da persone giovani. 
A causa di questi mutamenti, dell‘allarme sociale creatosi intorno ad essi, e del 
dell‘argomento stesso, che vede l‘alcol essere un fenomeno in generale molto 
complesso, diventa un tema interessante da studiare anche sotto l‘ottica della sociologia. 
Per arrivare ad approfondire la questione giovanile in riferimento ai consumi ed 
agli abusi alcolici, è doveroso iniziare tramite un excursus storico dell‘alcol, toccando il 
tema dell‘origine, della simbologia, dei diversi consumi e valori d‘uso utilizzati da 
culture differenti che si sono susseguiti lungo i secoli, così da poter evidenziare quale 
cambiamento sia avvenuto nel tempo fino ai giorni nostri. Prima di inoltrarci nel mondo 
dei giovani, è però necessario analizzare anche gli argomenti più importanti in 
riferimento all‘universo più ampio dell‘alcol: i tipi di bevitori e di bevande, i diversi usi 
che si sono alternati nei secoli, i falsi miti e gli stereotipi, gli effetti e i danni 
alcolcorrelati, il confine tra l‘uso, l‘abuso e la dipendenza, la produzione e i consumi, la 
prevenzione e la legislazione, il tema dell‘alcol come droga socialmente accettata, e per 
finire, il ruolo della pubblicità (l‘alcol è infatti una delle poche droghe sedative che 
creano dipendenza, di cui è legalmente permesso il consumo e che viene attivamente 
pubblicizzata dai mezzi di comunicazione di massa). Sono tutti argomenti di carattere 
introduttivo, ma essenziali per capire fino in fondo la natura e i risvolti complessi del 
fenomeno. Dopo i primi due capitoli propedeutici al nostro discorso, si analizzeranno 
gli aspetti principali sotto un‘ottica sociologica, esaminando la categoria della devianza, 
con le sue teorie sociologiche, utilizzate poi per l‘osservazione di fenomeni specifici, e 
il tema del rischio ad essa collegato, il rituale del bere moderno, e l‘alcolismo visto 
come una malattia sociale, a cui si ricollegheranno le citate teorie sulla devianza. 
Terminato il quadro generale, che può costituire una cornice d‘interpretazione del 
fenomeno indagato, si passerà all‘argomento principale e più specifico dei consumi 
giovanili: si indagheranno soprattutto l‘influenza del gruppo dei pari, i nuovi stili del 
bere giovane, le stragi del sabato sera e gli interventi specifici per questa popolazione, 
finendo il capitolo con un‘analisi che riprenderà le teorie sociologiche sulla devianza. Si 
passerà quindi ad un livello ancora più dettagliato e ristretto: quello riguardante i 
consumi giovanili, prima in Veneto, tramite due indagini di tipo quantitativo (le quali 
evidenziano che, mentre oltre il 70% dei giovani italiani non beve alcolici, quasi l‘80% 
dei giovani veneti sembra assumerne), e poi nel feltrino, tramite un approfondimento di 
tipo qualitativo. In quest‘ultima ma importante parte, sono state analizzate alcune
7 
interviste somministrate a dei giovani appartenenti al territorio feltrino, con l‘intento 
d‘indagare affondo il ruolo del gruppo dei pari sugli abusi d‘alcol giovanili. 
In sintesi, questo elaborato si prefigge di analizzare in tutte le sue molteplici 
sfaccettature, e da un punto di vista sociologico, un fenomeno di grande attualità, specie 
negli ultimi anni. L‘alcol nella società rappresenta un problema vasto, complesso, ma 
soprattutto variegato nelle molteplici implicazioni che include e che lo porta ad essere 
strettamente associato al termine ambiguità: ambiguità dell‘alcol nella simbologia che 
evoca (a volte visto come demone tentatore, ma anche vino come sangue di Cristo), 
ambiguità nei suoi molteplici valori d‘uso (alcol come alimento, come droga, come 
farmaco), nell‘immagine che proietta in differenti culture ed in differenti gruppi 
specifici all‘interno di queste culture (uso tradizionale e moderato in famiglia, uso 
socializzante ma smodato con gli amici), nel sottile confine che separa normalità e 
patologia, uso ed abuso, nell‘intreccio delle politiche sociali verso i problemi 
alcolcorrelati riguardo alla salute pubblica, la sicurezza ed il controllo sociale, con le 
politiche di mercato e marketing per la produzione, la vendita e la pubblicizzazione 
delle bevande alcoliche, ambiguità della trasgressione perché fonte di ansie e paure ma 
anche di piacere allo stesso tempo. Nella nostra società permane quindi un 
atteggiamento ambiguo nei confronti dell‘alcol: è una sostanza che viene vista come 
droga solo quando i disturbi da essa provocati diventano troppo evidenti, mentre in 
generale è una sostanza usata ancora molto soprattutto per i suoi effetti disinibenti e 
come lubrificante sociale. Una bevanda ambigua dunque, con un‘immagine di 
amico/nemico che dall‘antichità è giunta fino ai giorni nostri e permane in tutti gli 
ambienti sociali, e che non può quindi che generare usi e consumi ambigui a loro volta. 
È la società stessa che crea quest‘ambiguità, da cui i giovani non traggono certo che 
profitti, anzi, proprio a causa di queste ripetute e onnipresenti ambivalenze i giovani si 
sentono autorizzati a consumare prematuramente alcolici, abusarne e utilizzarli in modo 
funzionale ai propri bisogni istintivi.
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Capitolo 1 
ASPETTI STORICO -SOCIO - CULTURALI  
DELLE BEVANDE ALCOLICHE 
 
 
 
1.1. Le origini delle bevande alcoliche: tra storia e mitologia  
 
Bevevano i nostri padri,  
bevevan le nostri madri…… 
e noi che figli siamo beviam beviam beviam,  
e noi che figli siamo beviam beviam beviam! 
(filastrocca giudaico-cristiana)
1
 
 
L‘alcolismo, i problemi alcol-correlati e i nuovi consumi giovanili non possono 
essere compresi senza conoscere la storia dell‘alcol, che viene considerato come il 
“nostro antenato comune” (Gallimberti, 2005, p.116). 
Sulle origini del vino esistono molti racconti pittoreschi, che mescolano storia e 
scienza, mitologia e leggenda. Ciò che comunque è certo, è che l‘uso di bevande 
alcoliche ottenute per fermentazione di uve o cereali è molto antico. 
Le prime tracce di coltivazione della vite risalgono al settimo millennio a.C., e 
sono state ritrovate nelle regioni Caucasiche (Furlan, Picci, 1991, p.4); mentre le prime 
tracce di bevande prodotte dalla fermentazione di uva sono state rinvenute in un 
recipiente di un villaggio dell‘epoca neolitica in Iran, e datate intorno al 5100 prima di 
Cristo (Sforza, Egidi, 2002, p.12). Probabilmente un recipiente contenente dell‘uva fu 
dimenticato per un po‘, consentendo così l‘avvio della fermentazione. Il liquido, poi 
assaggiato, fu giudicato gradevole e così adottato come bevanda abituale (Giocosa, 
1990, p.36). 
Perciò, le prime scoperte dell‘umanità riguardarono la ruota e…..la fermentazione 
dell‘uva in vino. 
Si pensa che una produzione a fini commerciali possa essere iniziata intorno al 
3000 a.C., nelle regioni del Caucaso e della Mesopotamia, ma solo quando l‘influenza 
greca cominciò a farsi sentire in Egitto, nel primo millennio prima di Cristo, il vino si 
impose come bevanda popolare, diffondendosi in tutto il Mediterraneo (Sforza, Egidi, 
2002, p.12). 
Per quanto riguarda l‘Italia, la vite domestica vi compare nella prima età del ferro, 
espandendosi più tardi anche nelle regioni dell‘Europa occidentale (Iberia, Gallia, 
Germania) (Furlan, Picci, 1991, p.4). 
                                                 
1
 Gallimberti L., Il bere oscuro, ed. BUR, Milano, 2005
10 
La Bibbia non ha dubbi in proposito, ed attribuisce a Noè la prima coltivazione 
della vite:  
 
―Noè agricoltore si mise a lavorare la terra e piantò una vigna; ed avendo bevuto del vino, ne fu 
ubriaco e restò scoperto nella sua tenda.‖  (Genesi 9, 20-21). 
 
Secondo l‘Antico Testamento, quindi, Noè fu l‘iniziatore di una splendida cultura, 
ma fu anche la prima vittima degli effetti non molto nobili dell‘uso smisurato del vino. 
Il Patriarca sarebbe stato perciò il primo uomo a sperimentare gli effetti 
dell‘intossicazione alcolica e da ciò si evince che la modalità di bere fino all‘ubriacatura 
è inserita nella memoria storica dei nostri primi antenati (AA.VV., 1982, p.18). 
L‘ubriacatura, quindi, è stata con molte probabilità una delle prime condizioni 
patologiche a essere descritta nell‘antichità. 
E‘ bene però ricordare anche che il Patriarca Noè si ubriacò solo un'unica volta, e 
che quella fu l‘occasione per distinguere i figli buoni Sem e Jafat, che lo coprirono, dal 
figlio cattivo Cam che rise alla vista del padre ubriaco (AA.VV., 1982, p.18). 
La bella trovata di piantare una vigna dopo in diluvio universale giocò un brutto 
scherzo a Noè e anche ai suoi numerosi discendenti! 
Il racconto biblico è utile perché testimonia l‘antichità della cultura della vite e 
della pratica della vinificazione. 
Non solo la Bibbia ci parla di alcolici e dei loro effetti. Infatti nel 3500 a.C., su un 
papiro egizio, si descrisse nei minimi dettagli le modalità da seguire per estrarre l‘alcol 
(Gallimberti, 2005, p.116). In Egitto il vino era considerato invenzione del dio Osiride e 
simbolo di forza e vitalità (Furlan, Picci, 1991, p.5). 
Si ricordino poi le memorabili bevute degli eroi omerici dell‘Iliade e dell‘Odissea 
(i poemi omerici risalgono alla seconda metà dell‘ottavo secolo prima di Cristo). Questi 
eroi però conoscevano bene gli inconvenienti di quelle bevande, e sapevano anche come 
sfruttarli a loro favore (Gallimberti, 2005, p.116). Omero definì il vino ―miele‖ per il 
cuore, per questo nei banchetti dei suoi eroi è sempre versato in abbondanza (Furlan, 
Picci, 1991, p.6). 
Gli antichi greci e romani utilizzarono l‘effetto disinibente dell‘alcol per favorire 
stati di trance ritenuti indispensabili per entrare in contatto con la divinità, mentre 
Orazio sosteneva che il vino fosse in grado di dissipare le angosce (Gallimberti, 2005, 
p.117). 
I greci conobbero la vite fin dai primordi della loro storia, e diventarono ben 
presto esperti enologi. Secondo la tradizione era stato il dio Dionisio, il dio del vino e 
del piacere, a farne dono agli uomini, e, siccome i vini greci erano molto alcolici, 
venivano tagliati con dell‘acqua, ed era usanza chiamare barbaro chi bevesse vino puro 
(Furlan, Picci, 1991, p.6).
11 
La colonizzazione greca in tutta l‘area mediterranea e nel bacino del Mar Nero 
portò a una notevole espansione della viticoltura fin dal sesto secolo a.C., e spesso 
accompagnata dall‘usanza del culto di Dionisio (Furlan, Picci, 1991, p.6). 
Ciò sottolinea il fatto che il vino non fosse solo e semplicemente bevuto, ma 
veniva anche celebrato. 
I piaceri dell‘alcol non erano solo conosciuti agli uomini, ma anche agli dei. Per 
gli dei, il vino mescolato al miele o al latte era bevanda molto gradita (Gallimberti, 
2005, p.116), e perciò, vino e miele considerati appunto alimenti degli dei, erano 
simbolo di lunga vita, e la vite significava albero della vita (Furlan, Picci, 1991, p.5). 
Il vino era conosciuto dagli Assiri, il quale era riservato alle classi elevate, e dagli 
Ittiti; fu usato dai Fenici, che furono i primi commercianti di vino, anche di produzione 
propria, e che diffusero, insieme alla coltivazione della vite, in tutto il mediterraneo; era 
utilizzato anche dagli Egizi, dai Greci e dai Romani (Sforza, Egidi 2002, p.12). 
Curioso è che l‘Italia, all‘epoca, veniva chiamata dai Greci anche “Enotrica”, 
cioè terra del vino (Sforza, Egidi 2002, p.12). 
Le più antiche bottiglie di vino di cui si ha traccia risalgono all‘epoca romana 
(Sforza, Egidi, 2002, p.12). Fu però nell‘epoca del Medio Evo che si diede al vino molta 
importanza. 
Carlo Magno, nel IX secolo, stabilì che il primo compito dei funzionari imperiali 
doveva essere quello di prendersi cura delle viti, mettendo il vino da esse ricavato in 
recipienti idonei provvedendo che esso non si guastasse (Gallimberti, 2005, p.119). 
Il Medio Evo riveste un ruolo importante nella storia di queste bevande perché 
segna una svolta nel consumo di bevande alcoliche. Infatti, mentre nell‘età classica 
l‘alcol veniva consumato soprattutto all‘interno di situazioni culturalmente ben definite, 
spesso di carattere religioso, dal Medio Evo in poi ha inizio un utilizzo dell‘alcol che 
andrà radicandosi definitivamente e che si ritrova nei giorni nostri. Il vino diventò 
fondamentale per l‘alimentazione quotidiana, e messo sullo stesso piano di altri alimenti 
fondamentali, quali pane, acqua, latte e olio (Gallimberti, 2005, pp.119-120). 
Così nel Medio Evo avrebbe avuto inizio una nuova modalità di bere alcol, 
definita normale, e quindi si andavano definendo diverse modalità di bere: 
 Il bere per lasciarsi prendere dall‘ebbrezza; 
 Il bere per integrare piacevolmente l‘alimentazione; 
 Ben presto si aggiungerà anche una terza modalità di bere, che prende in esame il 
bere nei suoi aspetti simbolici e che fa la sua comparsa con l‘avvento del 
Cristianesimo. (Gallimberti, 2005, p.120) 
 
La storia della birra è antichissima anch‘essa e addirittura anteriore a quella del 
vino. Essendo, infatti, la birra ottenuta per fermentazione alcolica di cereali, come il
12 
malto, e che gli uomini conobbero prima i cereali dell‘uva, è certo che possa vantare 
una certa priorità rispetto al vino (Furlan, Picci, 1991, p.21; Sforza, Egidi, 2002, pp.12-
13). La comparsa di questa bevanda alcolica nella storia risale al 4700 a.C., e le sue 
prime tracce, in Mesopotamia, si riferiscono a delle offerte votive e propiziatorie verso 
gli dei, oppure alle pratiche dove la birra aveva il ruolo di accompagnare il tragitto dei 
defunti nell‘aldilà, o ancora al più comune uso di rallegrare la vita di mortali e 
immortali (Bartolini, 1979, p.237). 
Attualmente la birra è la bevanda alcolica più diffusa nel mondo (Sforza, Egidi, 
2002, p.13), mentre una volta le cose erano un po‘ diverse. Infatti, con la 
cristianizzazione dei paesi nordici si ebbe un‘elevata espansione del vino, che divenne 
bevanda elitaria, mentre la birra rimase quella più popolare e diffusa (Furlan, Picci, 
1991, p.21). Le classi egemoni dei paesi del nord usarono il vino come segno-
demarcatore per distinguersi dalle classi popolari, consumatrici di birra.  
Molto più tardivamente la birra invase anche l‘area meridionale della vigna, senza 
però riuscire a sostituirla (AA.VV., 1982, p.19). 
Nel IX secolo si apprese l‘arte della distillazione (Gallimberti, 2005, p.122), una 
delle più antiche pratiche farmaceutiche che permise di separare le sostanze volatili da 
quelle non volatili. La diffusione dei distillati avvenne in concomitanza del dilagare di 
gravi malattie quali la peste. I medici infatti prescrivevano l‘utilizzo di bevande ad alta 
gradazione alcolica che però in realtà davano ai malati soltanto una generica sensazione 
di calore e benessere, e pertanto risultarono un rimedio inefficace (Furla, Picci, 1991, 
p.42). La distillazione viene considerata figlia dell‘alchimia, un antica pratica che pose 
le fondamenta della conoscenza dei fenomeni della natura e di molte leggi fisiche e 
chimiche. Gli alchimisti arabi svilupparono e valorizzarono la distillazione, e ad essi si 
deve l‘introduzione della parola alambicco, per designare l‘apparecchio usato nel 
processo della distillazione(Furlan, Picci, 1991, p.40). La tecnica della distillazione 
permise di ottenere un prodotto finito con una gradazione alcolica molto superiore a 
quella del vino, ma piena di componenti tossiche, essendo che allora ancora non si 
sapeva che l‘inizio e la fine del distillato andrebbero eliminati in quanto ricche di 
sostanze velenose (Gallimberti, 2005, p.122). 
I superalcolici nascono invece in farmacia e vengono usati per lungo tempo a 
piccole dosi come rimedi da varie Scuole mediche. La loro diffusione è molto tardiva, 
iniziando ad occupare lo spazio geografico della birra ( Paesi del nord, Inghilterra, Paesi 
bassi, Germania, Polonia) e finiscono col invadere anche quelli della vigna (paesi 
mediterranei) (AA.VV., 1982, p.19). 
Riassumendo: l‘alcol fu scoperto e inizialmente utilizzato per le sue proprietà 
disinibenti, veniva assunto all‘interno di contesti ben strutturati e quasi sempre a 
carattere religioso, per facilitare la comparsa di stati di trance. Solo successivamente
13 
venne utilizzato anche per i suoi aspetti non sconvolgenti, ma simbolici, terapeutici e 
alimentari (Gallimberti, 2005, p.130). 
Il vino inizialmente era bevanda pressoché esclusiva delle classi agiate, mentre ai 
meno abbienti veniva concesso solo a scopo terapeutico, ed era assolutamente interdetto 
alle donne. Ma, a mano a mano che le classi sociali più umili si innalzarono 
socialmente, l‘abitudine di bere si diffuse con facilità. Tuttavia il vino diventò una fonte 
di commercio troppo redditizia perché il produttore ne permettesse un abituale uso 
all‘interno della sua famiglia. Così il consumo crebbe in città e si diradò in campagna 
(Furlan, Picci, 1991, p.11). 
A partire dall‘undicesimo secolo si avviò lo sviluppo di un commercio al minuto. 
Ciò produsse l‘emancipazione di un gran numero di famiglie di contadini che, 
acquistando a poco prezzo terre incolte, vi coltivarono viti, ottenendo una notevole 
remunerazione con la vendita ai dei locali, detti tobernae. Così la diffusione della 
taverna fornì un ulteriore e importante sbocco al prodotto (Furlan, Picci, 1991, p.11).  
Un impulso determinante alla produzione e al consumo di vino fu dato dalla 
rivoluzione dei trasporti (tredicesimo secolo). Grazie ai nuovi mezzi di trasporto, il vino 
poté raggiungere i ricchi stati dell‘Europa settentrionale, entrando a far parte in maniera 
duratura delle abitudini locali (Furlan, Picci, 1991, p.12).  
Nel quattordicesimo secolo la taverna cominciò a modificare la sua struttura, 
servendo, oltre al vino, anche delle vivande. In un secondo tempo, cominciò ad 
assumere connotati negativi, diventando sinonimo di luogo mal frequentato. Da essa si 
differenziarono allora l‘osteria, un locale più selezionato, e l‘ostello, col l‘ulteriore 
funzione di ospitare anche di notte i clienti (Furlan, Picci, 1991, p.13).  
In occasione di eventi straordinari (visite di sovrani, congiunture economiche 
sfavorevoli provocanti fame e miseria, commemorazione di una vittoria) le municipalità 
avviarono la consuetudine della distribuzione gratuita di vino alla popolazione (Furlan, 
Picci, 1991, p.13).  
Nel quindicesimo secolo il vino era ormai diventato una bevanda popolare, con 
una produzione e uno smercio regolamentati, e ben presto, durante il sedicesimo secolo, 
diventò addirittura fattore economico primario (Furlan, Picci, 1991, p.13). 
Fino al XIX secolo il consumo alcolico quotidiano era favorito anche dalla 
nocività dell‘acqua. L‘alcol, sottoforma di vino o birra, veniva infatti utilizzato come 
normale bevanda dissetante (Furlan, Picci, 1991, p.20). 
 
1.2. L’immagine simbolica e rituale dell’alcol 
La società da secoli usa gli alcolici, e in particolar modo il vino, tramite i suoi 
aspetti simbolici all‘interno di culti e rituali religiosi ben regolamentati. Perciò i vari 
significati simbolici che le varie società hanno di volta in volta attribuito al vino, al
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grappolo d‘uva o alla vite, sono fondamentali per comprendere la cultura delle stesse. 
Inoltre, il simbolo rappresenta il cardine principale su cui ruotano i rituali sociali, 
e, secondo Durkheim, la religione rappresenta la migliore esemplificazione del rituale 
(Collins,1992, p.237). 
Il rituale sociale è quel meccanismo che produce solidarietà all‘interno di un 
gruppo o della società stessa. Riprendendo l‘interpretazione materialistico – sociale di 
Durkheim, ―le forme di interazione fisica tra corpi umani determinano i simboli e le 
credenze morali‖ (Collins 1992, p.239). 
Il rituale archetipico è la religione, e ciò che hanno in comune tutte le religioni, è la 
venerazione per degli oggetti considerati sacri. Questi oggetti sacri variano da una società 
all‘altra, e non sono sacri di per sé, ma ciò che trasforma semplici oggetti, artefatti, azioni o 
idee in oggetti sacri, è il modo in cui il gruppo si comporta nei loro confronti. E proprio 
questo comportamento verso il sacro costituisce il rituale. Tutto può diventare un oggetto 
sacro, che rappresenta il simbolo della società, perché è creato da essa, e perché la società si 
identifica in quell‘oggetto – simbolo di sé stessa (Collins, 1992, p.240). 
Il gruppo, quando si riunisce per svolgere un rituale verso gli oggetti da lui 
identificati come sacri, raggiunge il più alto livello di consapevolezza di sé. Il rituale è 
quindi una pratica con cui il gruppo venera sé stesso, è un‘azione sociale che ri-crea 
periodicamente i sentimenti di appartenenza e rigenera gli oggetti sacri che 
simbolizzano tale appartenenza (Collins, 1992, p.242). 
La partecipazione a un rituale influenza l‘individuo secondo una dimensione 
inconscia, gli procura un profondo senso di energia emozionale. Perciò si può guardare 
al rituale come ad una ―batteria sociale” che ricarica gli individui, tramite solidarietà e 
ricompense di tipo rituale (Collins 1992, p.243). 
L‘essenza di un rituale è la natura cerimoniale che si crea. Durante questa pratica 
sociale l‘attenzione di ogni partecipante si focalizza sulla stessa cosa, l‘oggetto sacro, e 
fa sì che ogni individuo sia consapevole che anche gli altri siano altrettanto focalizzati. 
Il focus condiviso crea una reciproca consapevolezza, che a sua volta crea una reciproca 
solidarietà fra tutti i membri del gruppo (Collins, 1992, p.244). 
La cerimonia rituale, tramite l‘eccitazione causata dalla presenza reciproca e dal 
raggruppamento in un medesimo luogo di più persone, crea un‘identità e un‘energia 
emozionale condivise da tutti, che a loro volta alimentano un forte stato d‘intensità 
rituale. La carica emozionale si rafforza progressivamente se le persone riunite 
cominciano ad agire in maniera coordinata e sincronizzata, seguendo repertori d‘azione 
regolati da un insieme di prescrizioni esplicite ed implicite (Collins, 1992, p.254). 
Quindi, oltre ad essere il prodotto dell‘azione delle persone riunite, ogni rituale è a 
sua volta un meccanismo che agisce su coloro che vi prendono parte e produce in loro 
degli effetti.
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Il simbolo d‘appartenenza del gruppo diventa così l‘oggetto su cui si focalizza il 
gruppo durante il rituale. Ma è il rituale stesso che carica di significato quell‘oggetto e 
che fa sì che in esso tutto il gruppo vi si identifichi. Senza il rituale quell‘oggetto non 
rappresenterebbe nulla. Venerando i propri simboli, i partecipanti al rituale celebrano il 
legame che li unisce, e quindi celebrano sé stessi in quanto gruppo. L‘energia e la forza 
del gruppo riunito ricarica i partecipanti e ne rinnova la fiducia reciproca e l‘adesione al 
gruppo, ad un Noi (Collins, 1992, pp.242-244). 
Se durante i secoli il vino ha da sempre rappresentato un forte valore simbolico 
per le società, significa che intorno ad esso si sono creati delle cerimonie rituali e che le 
società si identificavano in esso. 
I simboli vengono creati dalla società ed essi la rappresentano, e quando la società 
li venera, questi oggetti diventano sacri, impregnando il culto rituale di un forte 
simbolismo. 
Il ―capitale simbolico, cioè l‘insieme dei simboli condivisi‖, e l‘energia 
emozionale derivante dal rituale, tiene unito il gruppo e gli conferisce una certa identità 
(Collins, 1992, p.251). 
Le varie società e le varie culture, si sono da sempre avvicinate al vino in svariati 
modi, e attraverso vari rituali religiosi, che hanno contribuito a definire una particolare 
identità dei loro membri. Vediamo quindi quali sono state le principali interpretazioni di 
questa bevanda durante i secoli. 
Nella cultura europea il vino ha sempre avuto svariate interpretazioni 
simboliche. Ma, in generale, un grappolo d‘uva è da sempre rappresentazione di 
abbondanza e di benessere, mentre la vendemmia rappresenta la festa e l‘unione di tutta 
la comunità. Fin dall‘antichità, la vite e il suo frutto, l‘uva, sono stati decantati ed 
apprezzati per le loro virtù. I grappoli d‘uva hanno adornato i templi degli dei, 
simboleggiando fecondità ed abbondanza; il suo nettare inebriante rallegrava gli abitanti 
dell‘olimpo, e ben presto si sostituì al latte nell‘alimentazione degli anziani. 
Per quanto riguarda la simbologia, essa cambia a seconda della zona: 
 
IN EGITTO il vino era considerato invenzione di Osiride e simboleggiava forza e 
vitalità (Furlan, Picci, 1991, p.5); qui si riconosceva al vino qualità magico - sacrali, 
confermate sia nella presenza della divinità con il compito di regolare l‘accesso alla 
sostanza, sia nell‘uso rituale del vino, prodotto raro in Medio Oriente e in Egitto 
(Cottino, 1991, p.25). Gli Egizi con i frutti della vite erano soliti adornare le tombe 
(Furlan, Picci, 1991, p.5) 
 
IN GRECIA invece fu Dionisio a farne dono agli uomini. La presenza di Dionisio 
si ritrova in tutte le parti del quotidiano, sia quello privato, dove il vino veniva usato
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come rimedio alla fatica di vivere, che pubblico, quando l‘ebbrezza nel simposio 
rappresentava un momento di piacere. Su questo rito dionisiaco ci fu un iniziale 
atteggiamento di rifiuto, che rappresenta l‘esigenza di difendere un ordine sociale e un 
certo stile di vita ormai consolidati. Ma quando il nuovo modello proposto dai seguaci 
di Dionisio iniziò a rispondere a una profonda necessità di rinnovamento interiore, esso 
entrò violentemente nella cultura greca. Nell‘antica Grecia la vite ha un alto valore 
simbolico: è una delle piante consacrate a Venere e al tema della nascita, ma, al tempo 
stesso, il simbolo della vite si ritrova negli usi e costumi funebri. Questo perché il vino è 
la bevanda dell‘immortalità dell‘anima, e la raffigurazione di vendemmie e di viti nei 
monumenti funebri riafferma la fiducia nella vita ultraterrena (Cotino, 1991, pp.27-29). 
 
PER GLI EBREI il grappolo è il simbolo della terra promessa, mentre la vigna è 
simbolo della pace e della sicurezza. Il sacrificio rituale al Signore è il sacrificio di cibo 
e vino. Il vino si beve perché dà allegria e questa, nel suo manifestarsi, è celebrazione 
del Signore. L‘ebbrezza però viene ripudiata, e dagli scritti dell‘ Antico Testamento, i 
mali fisici e morali che possono derivare dall‘ubriachezza, vengono più volte 
sottolineati (Cottino, 1991, p.33). 
 
PER I CRISTIANI il vino è ed e stato un elemento simbolicamente molto forte 
per la religione cristiana e poi per quella cattolica. Il vino, per il suo colore, è 
generalmente associato al sangue di Cristo, ed è perciò bevanda di vita e di immortalità. 
Questo è anche il significato presente nel discorso dell‘ultima cena di Gesù e che viene 
celebrato nell‘eucarestia durante la messa, dove è necessario che il sacerdote ne beva 
(Sforza, Egidi, 2002, p.14). 
 
L‘idea che le bevande alcoliche siano dono degli dei ricorre frequentemente nelle 
religioni. Inoltre, il vino, per le sue proprietà inebrianti (cioè in grado di modificare le 
sensazioni e le percezioni) (Sforza, Egidi, 2002, p.14) ha nelle simbologie religiose 
occidentali un immagine duplice, ambigua e ambivalente: di nemico/amico (Cottino, 
1991, p.23). 
Quindi, vediamo ora come si distingue l‘immagine del vino e della vite a seconda 
dei vari riti religiosi: 
 
IL VINO NEI RITI RELIGIOSI DEL MONDO GRECO: 
nella simbologia tradizionale il vino viene collegato alla forza vitale e alla vita stessa 
in quanto, come sangue dell‘uva, simbolizza l‘energia vitale. Nei riti e nei miti la sua 
capacità inebriane assume precisi significati sul piano simbolico e religioso. Ad esempio, 
nei culti dionisiaci e bacchici il vino era destinato a inebriare per provocare uno stato di
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unione con la divinità: il vino doveva servire ad andare al di là delle funzioni quotidiane, 
liberando la verità nascosta (in vino veritas) (Sforza, Egidi, 2002, p.14). 
Tale bevanda svolgeva un ruolo di primaria importanza anche nelle celebrazioni 
di feste e convegni sociali, come i simposi degli antichi Greci. Il simposio era un evento 
della vita sociale greca in cui persone della stessa estrazione si riunivano per scambiarsi 
idee e opinioni riguardo vari argomenti, accompagnando le discussioni con cibo e vino. 
Nel simposio (letteralmente ―bere insieme‖(Furlan, Picci, 1991, p.128)), individuo e 
collettività, privato e pubblico, si incontrano in un mondo che è ambivalente, così come 
bevanda ambivalente è il vino, dannoso e benefico al tempo stesso. Il simposio 
rappresenta per i greci l‘occasione di riunirsi assieme al fine di godere di tutti i sensi: 
attraverso la musica, con il consumo di vino (da loro inteso come ATTO 
COLLETTIVO) e del cibo, con i giochi di abilità, con danza, profumi e conversazione. 
Il taglio dei vini greci con dell‘acqua simboleggia un‘operazione rituale che viene 
effettuata in un recipiente apposito, il cratere. È il dio stesso, Dionisio, che attraverso il 
cratere, scandisce l‘intero universo di comportamenti, e che traccia la soglia tra l‘uso e 
l‘abuso (al terzo bicchiere) e che, una volta superata detta soglia, individua una 
tipologia di quelli che chiameremo oggi comportamenti devianti. Il simposio è il luogo 
dove ogni forma di comportamento, più o meno trasgressivo, può essere concepito e 
previsto, tranne l‘abuso di vino (Cottino, 1991, pp.34-36). 
 
IL VINO NEL MONDO BIBLICO: 
nella Bibbia, il vino ha un immagine duplice: ad una valutazione positiva nei 
confronti dell‘uso controllato e rituale del vino, si contrappone una condanna contro 
l‘eccesso e la follia che coglie l‘ebbro (Sforza, Egidi, 2002, p.14; Cottino, 1991, p.33). 
Infatti quest‘immagine negativa si trova nella già citata storia di Noè, dalla cui 
ubriachezza derivano guai e punizioni per l‘intera umanità, e, come racconta la Genesi, 
sono per l‘appunto la vite e il vino la causa prima dell‘ubriachezza e della vergogna di 
Noè. Compaiono così nella Bibbia i significati del vino come minaccia all‘ordine 
morale, come eccesso e trasgressione. Invece ha un valore simbolico positivo nei 
Cantici dei Cantici: è simbolo di gioia di vivere e dei doni che Dio fa al suo popolo. 
La vigna è spesso il simbolo d‘Israele, la sua coltivazione ed il commercio del 
vino erano molto importanti in questa terra. Israele spesso è identificato come la vigna 
di Dio, e sarà quest‘immagine a influenzare i Vangeli e la tradizione successiva. 
Un‘interpretazione tradizionale della legge religiosa non scritta, fa della vite 
l‘albero del bene e del male, l‘albero della conoscenza. 
L‘alterna collocazione simbolica del vino s‘accentuò in età tardo antica, poiché i 
maestri ebrei attribuirono alla bevanda talora una valenza negativa, e talaltra un 
significato di conforto e di gioia vitale.