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Introduzione  
 
L‟attuale crisi economico-finanziaria ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti ed è 
stata innescata dalle insolvenze dei mutui subprime dell‟estate del 2007, con la 
successiva profonda trasformazione della struttura finanziaria mondiale. 
Rappresenta la prima crisi globale nella storia del sistema economico internazionale, 
che dopo anni di forti tensioni nei mercati finanziari, è sfociata in una rilevante 
recessione mondiale. 
Gli Stati Uniti, nel 2007, presentavano un saldo negativo crescente delle transazioni 
correnti con l‟estero, mentre i paesi asiatici presentavano un saldo sempre più positivo. 
La convinzione dell‟insostenibilità di lungo periodo di tali squilibri si era fatta strada già 
negli anni 2005-2006; per risolvere la situazione i paesi con saldi positivi avevano 
richiesto un aggiustamento (aumento del risparmio) a carico degli Stati Uniti, mentre 
questi ultimi contrariamente, hanno continuato a promuovere maggiori consumi interni 
nei paesi loro creditori.  
Diversamente dalla crisi economica del ‟29, la quale si era diffusa esclusivamente entro 
i confini americani, quella attuale ha coinvolto anche altri paesi (fra i più colpiti i 
sistemi finanziari della Gran Bretagna, dell‟Irlanda e della Spagna).  
Una considerazione generale riguarda l‟estrema complessità della crisi stessa, il suo 
muoversi su diversi piani e il suo interessare non solo aspetti economici, ma anche 
equilibri sociali, politici e strategici. Tale complessità è un fattore distintivo del 
fenomeno che induce a classificarlo come “crisi di sistema” con conseguenti problemi 
anche di tipo qualitativo. Una simile crisi richiede un ridisegno globale della 
regolamentazione dei mercati finanziari e una definizione più precisa dei compiti delle 
Autorità di controllo. 
Il carattere sistemico della crisi risulta chiaro se si guarda ai meccanismi della sua 
propagazione, basata sulla rottura del circuito mutuatario banca-mutuante, in favore di 
un più complesso meccanismo che ha ad oggetto l‟inclusione dei mutui in titoli 
confezionati su misura per clienti (quali i fondi comuni di investimento). 
In realtà, questo meccanismo, caratterizzato dalla diffusione a livello planetario -
attraverso le grandi banche sistemiche e gli hedge funds - di una quantità smisurata di 
titoli ad alto rischio, è fallito con l‟inversione del ciclo mobiliare con la conseguenza 
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che tali titoli sono diventati rapidamente illiquidi e senza alcun valore. Tale situazione si 
è ripercossa pesantemente sugli emittenti, riducendo il valore del portafoglio e delle 
azioni che ne rappresentano il capitale. 
Le istituzioni finanziarie, e tra queste alcune delle maggiori banche internazionali, 
hanno dato impulso a questo processo, con la creazione di una sorta di sistema bancario 
ombra, composto da veicoli specializzati nell‟investimento e nella provvista di fondi sul 
mercato dei prodotti strutturati di credito. Questi veicoli non erano consolidati nei 
bilanci delle banche ed erano sottoposti a requisiti contabili e prudenziali assai poco 
stringenti, inoltre, operavano con presidi di capitale trascurabili, forti sbilanci di 
liquidità, un disallineamento estremo di scadenze tra attivo e passivo. 
Mentre la prima ondata della crisi finanziaria (estate nel 2007) è caratterizzata dalla crisi 
dei mutui subprime, la seconda colpisce un elemento essenziale del „sistema 
circolatorio‟ del credito, ossia il mercato interbancario. Questa fase è caratterizzata dal 
diffondersi della sfiducia generalizzata di ogni banca nei confronti della altre banche 
causata dal timore di dover registrare delle perdite improvvise per il fallimento, o anche 
per la semplice difficoltà, della controparte di rispettare puntualmente gli accordi che 
determinano i prestiti a breve e brevissimo termine caratteristici di questo mercato. 
Nella prima fase della crisi, le Autorità di vigilanza e i governi non disponevano di 
conoscenze, strumenti di monitoraggio e poteri di intervento adeguati. Essi, infatti, 
ignoravano sia l‟ammontare iniziale dei titoli infetti, sia il meccanismo di creazione 
degli stessi, sia i circuiti finanziari entro i quali tali titoli venivano scambiati. 
Per tutto il 2007 e 2008, pertanto, hanno agito con soluzioni di breve periodo; le banche 
centrali hanno erogato liquidità ogni qual volta se ne presentava la necessità. Alcune 
operazioni sono state coordinate a livello globale, più spesso, però, nel 2008 e fino ad 
aprile 2009 con la conferenza a Londra del G20, le banche centrali hanno agito per 
proprio conto o in consultazione con i propri governi. 
Dopo l‟autunno 2008 sono passati a strategie più consistenti cercando di eliminare dal 
sistema finanziario i titoli “tossici” depositandoli in un “contenitore” isolato dal 
mercato, ossia un ente appositamente creato e finanziato con denaro pubblico.  
L‟obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare la situazione di squilibrio 
economico americano prima dello scoppio della crisi ed i meccanismi che hanno 
favorito la propagazione di quest‟ultima, come ad esempio, l‟espansione dell‟offerta di 
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strumenti di debito alle famiglie a costi decrescenti, o la costituzione di prodotti 
finanziari che permettono di trasferire su altri soggetti il rischio di credito e di 
controparte. 
In particolare si intende porre alcune considerazioni in merito all‟efficacia di: la 
regolamentazione del settore del credito nel periodo antecedente e concomitante la crisi; 
i controlli esterni promossi dalle relative Autorità di vigilanza. 
Si è, infatti, riscontrato che gli istituti di credito del vecchio continente hanno retto 
meglio all‟impatto della crisi, diversamente dalle banche americane che sono fallite e 
continuano a fallire mentre si scrive. Ne deriva che o le banche europee erano soggette 
ad una più rigida disciplina - la quale non permetteva di eseguire determinate attività 
che alle banche americane erano concesse -  o erano sottoposte a più rigorosi controlli. 
L‟analisi si sviluppa attraverso un confronto internazionale prendendo in esame le 
principali normative vigenti sul sistema bancario ed i controlli esterni sulle imprese 
bancarie quotate sui mercati regolamentati di America, Europa, Italia, nel periodo 
precedente lo scoppio della crisi e, successivamente, nel periodo caratterizzato dalle 
turbolenze nei mercati. 
Si analizzano, poi, le funzioni e il ruolo svolto durante il periodo di crisi dagli attori che 
vigilano e, in parte regolano, le banche quotate: la SEC e la Consob, quali Autorità di 
vigilanza della borsa americana e italiana; la FED e la Banca d‟Italia, quali Autorità di 
vigilanza del settore bancario americano e italiano; la BCE quale Autorità di controllo 
sul mercato del credito a livello Europeo. 
Per avvalorare le considerazioni emerse dall‟analisi della normativa e dell‟attività di 
controllo esterno è stata fatta una ricerca empirica su un gruppo significativo di banche 
quotate americane e italiane a maggior capitalizzazione. In particolare si è proceduto 
alla rilevazione dei dati economici più significativi su un periodo di tre anni (2006-
2008). 
 
 
 
 
 
 
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1. LA CRISI ECONOMICO FINANZIARIA  
 
1.1.  Fenomeni di globalizzazione e propagazione della crisi 
 
La globalizzazione è un fenomeno di crescita progressiva della sfera delle relazioni e 
degli scambi a livello mondiale, osservato a partire dalla fine del ventesimo secolo, 
associato alla caduta delle barriere di spazio e di tempo precedentemente esistenti. 
Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli aspetti economici delle 
relazioni fra i popoli e grandi aziende, il fenomeno va inquadrato anche nel contesto dei 
cambiamenti sociali, tecnologici e politici.  
Tra i cambiamenti che la globalizzazione ha comportato si possono evidenziare: 
- sotto il profilo economico, l‟integrazione a livello mondiale del commercio, la 
interdipendenza tra i paesi e l‟ampliamento delle variabili ritenute rilevanti per 
poter prendere corrette decisioni; 
- sotto il profilo tecnologico, lo sviluppo dei mercati globali, la diffusione 
dell‟informazione e dei mezzi di comunicazione (internet); 
- sotto il profilo culturale, frequenti rapporti tra le culture (migrazioni stabili, 
elevata e crescente mobilità delle persone, diffusione delle comunicazioni),  con 
conseguente bisogno di affermare valori comuni e condivisi. 
 
Di fronte all‟attuale situazione di globalizzazione di mercati e delle informazioni; allo 
sviluppo economico di nuovi paesi (come la Cina, l‟India e i paesi dell‟Est europeo); 
all‟abbattimento delle barriere di spazio e di tempo; alla sempre più frequente 
manifestazione di condizioni competitive contraddistinte da eccesso dell‟offerta sulla 
domanda di beni e la rilevanza assunta dalla capacità di innovazione di prodotti e di 
processi per il mantenimento dei presupposti di successo. Ma anche, di fronte alla 
separazione della proprietà e della gestione; alla tendenza al frazionamento della 
proprietà; alla tempificazione sempre più breve dei processi valutativi, si è ritenuto 
necessario, per il mantenimento di relazioni positive tra azienda ed ambiente, ricercare 
modelli di governance consapevoli e razionali.  
Per potersi integrare a livello internazionale, le imprese hanno dovuto modificare 
l‟approccio di governance, attribuire un ruolo più efficace ai sistemi di controllo interno 
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e alla comunicazione, dare una maggior importanza alle relazioni interne ed esterne e 
contribuire all‟affermazione di valori etici. 
L‟integrazione dei mercati finanziari, dei beni, del lavoro, e la rimozione degli ostacoli 
alla circolazione dei capitali tendono altresì ad indebolire le barriere competitive, sia in 
relazione alla quantificazione dell‟immagine ed all‟acquisizione delle risorse, sia con 
riferimento allo sviluppo dell‟attività ed alla destinazione dei risultati tecnico-produttivi 
ed economici. Le aziende che hanno raggiunto definiti livelli di complessità risultano 
spesso significativamente influenzate, sia in termini di risorse, sia in relazione allo 
sviluppo dell‟attività caratteristica, da fattori macroeconomici globali. La tendenza al 
frazionamento della proprietà e la separazione della proprietà della gestione sottolineano 
il crescente fabbisogno di tutela dei conferimenti del capitale di rischio; questi ultimi 
demandano agli organi di corporate governance l‟amministrazione dell‟impresa, 
attendendosi dagli stessi comportamenti responsabili e tali da generare il contenimento 
del rischio economico e l‟ottimizzazione delle performance nel tempo. 
Inoltre, il passaggio da una situazione di preminente attenzione per gli shareholder ad 
una chiara valorizzazione di tutti gli stakeholder, ha comportato un incremento delle 
attese, una maggiore importanza del sistema di controllo sia interno che esterno e una 
maggior importanza di una comunicazione chiara e trasparente. 
In situazioni di eccesso di offerta, risulta essenziale la capacità dell‟impresa di innovare 
i propri prodotti, di anticipare i cambiamenti nelle attese della clientela, di creare 
elementi distintivi e di qualificazione dell‟offerta aziendale (brand). La creazione di 
rapporti fiduciari nei mercati di approvvigionamento e di vendita agevola 
l‟orientamento delle preferenze verso quelle realtà e/o marche meritevoli di consenso. 
La rapidità di propagazione delle informazioni, grazie alla diffusione di internet e al 
minor costo della tecnologia che ne permette l‟accesso, con frequenti fenomeni di 
amplificazione, impone crescente attenzione per la rete delle relazioni interne ed 
esterne, sia di tipo diretto sia indiretto. 
Le imprese si sono, quindi, trovate di fronte ad una serie di nuove opportunità, ma 
anche nuove minacce. L‟attuale crisi economica globale ha evidenziato alcune carenze 
dei sistemi di vigilanza interni ed esterni alle imprese e che l‟armonizzazione delle 
regole soffre di un gap temporale rispetto alla globalizzazione delle informazioni. 
 
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La crisi ha fatto emergere: 
- le carenze dei sistemi di corporate governance e di supervisione sia interna, sia 
ad opera degli organi di vigilanza esterni; 
- le debolezze nella trasparenza informativa e comportamentale delle imprese, in 
primo luogo delle grandi banche internazionali, che rimarcano i limiti dei 
sistemi di governance market-oriented; 
- l‟affermazione di un nuovo complesso di minacce e di opportunità, che 
coinvolgono in vario modo l‟insieme degli operatori economici internazionali. 
 
Il superamento della crisi richiede rigore, trasparenza, visione strategica, ma altresì 
delinea l‟utilità di individuare strutture e processi di corporate governance 
maggiormente efficaci e con ampie convergenze a livello internazionale. Questo 
argomento, però, non sarà oggetto di trattazione. 
 
1.2. I primi segnali della crisi 
 
1.2.1. Gli squilibri macroeconomici globali 
La causa primaria, quella che ha innescato la crisi, è rappresentata dalla 
sovraesposizione degli istituti di prestito mobiliare negli Stati Uniti nel 2007. Non si 
deve però sottovalutare il quadro economico internazionale che si presentava in quel 
periodo, caratterizzato da evidenti difficoltà e da tensioni in atto da assai più lungo 
tempo.  
Nel particolare si possono evidenziare: gli squilibri dei pagamenti tra le aree del mondo, 
l‟andamento sempre più divergente tra euro e dollaro, il ruolo prorompente ma ancora 
incerto e indefinito dei paesi emergenti dell‟Asia e dell‟America Latina sulla scena 
mondiale e la debolezza delle istituzioni di controllo e di regolazione dei mercati 
finanziari e delle politiche economiche. 
In particolate risultano rilevanti gli squilibri finanziari, ossia gli squilibri dei pagamenti 
internazionali, detti anche “global imbalances” tra le diverse aree del mondo. 
Per oltre trent‟anni, dalla fine degli Accordi di Bretton Woods nel 1971, si sono 
consolidati e ampliati due principali fattori di squilibrio. Il primo è il forte avanzo 
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strutturale dei paesi esportatori di petrolio concentrati in Medio Oriente. Il secondo è il 
crescente disavanzo degli Stati Uniti, i quali sono in rosso dal 1982.  
Nel 2007 questo disavanzo di parte corrente ha superato i 900 miliardi di dollari, circa il 
6 per cento del PIL. 
I principali fornitori degli Stati Uniti sono due. Il primo è il Giappone; negli ultimi 
quindici anni anche i paesi asiatici emergenti (India, Cina, Sud-Est Asiatico), che si 
sono inseriti nel commercio mondiale e dai quali gli Stati Uniti hanno assorbito, in 
condizioni di cambio stabile, quantità crescenti di prodotti, mantenendo bassi sia salari 
interni che inflazione. 
In particolare i paesi esportatori, compresa l‟Europa, hanno colto la sfida della 
globalizzazione e trainati dall‟America, per un lungo periodo di tempo hanno goduto di 
una crescita a ritmi elevati del commercio mondiale, giungendo ad periodo che è stato 
definito dai macroeconomisti “The Great Moderation”. 
Il problema è che gli squilibri dei pagamenti internazionali, su cui si è retta la “Great 
Moderation”, hanno numerosi effetti collaterali, che vanno a incidere negativamente 
sulla stabilità economica mondiale, primo fra tutti la loro contropartita finanziaria. 
Gli Stati Uniti, in una situazione di preesistente disavanzo di parte corrente, hanno 
usufruito di un afflusso di capitali finanziari dal resto del mondo a fronte dell‟emissione 
di titoli (azioni, obbligazioni pubbliche e private ecc.), con la conseguenza di un 
aumento netto del debito estero e dei relativi pagamenti d‟interesse. 
La posizione patrimoniale netta verso l‟estero degli Stati Uniti è diventata negativa dal 
1989. Nel 2007 erano il paese con il più alto passivo netto, oltre 2600 miliardi di dollari, 
pari a quasi il 20 per cento del PIL. Considerando il confronto internazionale, sono il 
debitore primario con quasi il 10 per cento del PIL mondiale, seguiti dall‟Unione 
Monetaria Europea (UME) con circa il 3 per cento1.  
I creditori globali sono i paesi petroliferi, il Giappone e i paesi emergenti asiatici. Se si 
esclude il Giappone si può notare il paradosso per cui la globalizzazione ha portato i 
paesi in via di sviluppo a diventare i creditori dei paesi ricchi anziché il contrario. 
 
 
 
                                                          
1
 Fonte: International Monetary Fund (2007) 
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Le cause degli squilibri macroeconomici globali 
 
Le cause degli squilibri macroeconomici globali sono molteplici e variegati, ne 
consegue una loro difficile individuazione. 
Ci si è trovati di fronte ad una situazione favorevole per gli Stati Uniti, i quali hanno 
domandato più risorse (consumi, investimenti privati, spesa pubblica) di quante ne 
producevano, a fronte di un altro paese (Cina) che produceva più risorse di quante ne 
domandava. La Cina negli ultimi quindici anni ha conosciuto un‟espansione formidabile 
della propria economia, grazie agli investimenti diretti esteri che l‟hanno trasformata 
nella fabbrica del mondo. 
Questo squilibrio internazionale è la manifestazione di un sottostante squilibrio 
macroeconomico interno, per cui gli Stati Uniti dovrebbero ridurre la propria domanda, 
cercando di aumentare il risparmio e/o aumentare l‟offerta. 
Nel particolare gli elementi critici sottostanti gli squilibri internazionali sono: 
 ξ lo squilibrio macroeconomico interno del modello americano di crescita basata 
sul debito; 
 ξ l‟elevato risparmio e la lentezza della crescita dei salari e dei consumi interni e 
della spesa pubblica sociale in paesi emergenti in avanzo; 
 ξ l‟insufficiente dinamica della domanda interna nei paesi maturi (UME); 
 ξ l‟avanzo strutturale di paesi che esportano beni energetici a domanda rigida 
(paesi del Golfo, Russia). 
 
Più precisamente, in un sistema valutario con tassi di cambio fluttuanti, l‟elemento 
caratterizzante dovrebbe essere la variazione di lungo periodo del valore delle valute, e 
di conseguenza: la svalutazione del tasso reale per i paesi in disavanzo, come per gli 
Stati Uniti, che rimane invece sopravvalutato; viceversa, la rivalutazione per quelli in 
avanzo, come per la Cina che rimane sottovalutato. 
Si può ritenere che le banche centrali degli Stati Uniti e dell‟Unione Monetaria Europea 
hanno ignorato di considerare il tasso di cambio nella propria politica monetaria. Solo 
negli ultimi due anni si possono notare alcuni interventi di politica economica, sia della 
Federal Reserve e della Banca Centrale Europea, con l‟obiettivo di risolvere, per quanto 
possibile, questi squilibri finanziari.  
14 
 
Bisogna anche ricordare, che per aggiustare questi squilibri dei pagamenti non si può 
ritenere sufficiente la sola svalutazione del tasso di cambio, ma è necessario anche 
riportare l‟equilibrio tra risorse prodotte e risorse assorbite all‟interno di ciascuna area 
mondiale. 
E‟ evidente, come gli Stati Uniti hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, ossia hanno 
assorbito più risorse di quante ne producevano. In futuro dovranno cercare, in modo non 
così traumatico, di ridurre il proprio consumo interno di risorse e correggere gli eccessi 
d‟indebitamento e di domanda interna. 
 
Economia del debito 
 
L‟economia del debito, posta in essere dagli Stati Uniti, rappresenta uno dei fattori 
sottostanti gli squilibri globali. Questa politica economica del debito, portata avanti 
dalle autorità statunitensi, dalla fine degli anni Ottanta, incentrata sui bassi tassi di 
interesse e sull‟ampia disponibilità di liquidità a sostegno della crescita economica 
interna, è stata il frutto dell‟elevata propensione dei paesi in via di sviluppo ad 
accumulare riserve di dollari.  
 
Figura 1.1    I conti finanziari degli Stati Uniti, 1980-2007 (% PIL) 
 
 
   Fonte: Internationnal Monetary Fund (2007) 
 
15 
 
Negli anni Ottanta, gli Stati Uniti presentavano, per quel che riguarda il settore privato 
(risparmi, investimenti), saldi finanziari positivi, ossia disponevano di risorse in eccesso 
da trasferire all‟estero. Questa è considerata la situazione tipica dei paesi industriali 
maturi. Mentre presentavano, per quel che riguarda il settore pubblico (tassazione, spesa 
pubblica), dei saldi finanziari negativi. Di conseguenza, gli Stati Uniti si trovavano in 
una fase di economia del debito pubblico, ovvero in un espresso fabbisogno netto di 
risorse dall‟estero per finanziare il settore pubblico. 
Dalla fine degli anni Ottanta al 1992, gli Stati Uniti presentavano per quel che riguarda 
il settore privato un aumento del saldo finanziario grazie ad una stagnazione degli 
investimenti e dei consumi, riuscendo a finanziare il crescente indebitamento del settore 
pubblico. 
Nel corso degli anni Novanta, sotto la spinta del boom degli investimenti e dei consumi 
in un‟intensa fase di crescita economica, il settore privato degli Stati Uniti inizia ad 
erodere il proprio saldo finanziario. Inizia, così, l‟era dell‟economia del debito privato. 
Dal 2000, si crea una situazione del tutto anomala per un paese che si presenta maturo e 
sviluppato. Sia il saldo finanziario privato che il saldo finanziario pubblico degli Stati 
Uniti, sono negativi e risulta rilevante il fabbisogno di finanziamenti esteri. 
 
Debito pubblico e debito privato  
 
Il governo federale degli Stati Uniti, dagli anni ‟90 in poi, ha creato debito, togliendo 
risorse, per lo più destinate al finanziamento di spese belliche, dal resto del mondo. 
Mentre un disavanzo pubblico rappresenta una condizione piuttosto comune tra i paesi 
avanzati, l‟elemento anomalo negli Stati Uniti riguardava l‟economia del debito privato, 
proprio delle famiglie. 
Le due spinte principali, che hanno portato a questa situazione sono state: 
 ξ la deregolamentazione dei mercati finanziari, in particolare degli intermediari 
bancari e non bancari, che ha prodotto un‟espansione dell‟offerta di strumenti di 
debito per le famiglie a costi decrescenti; 
 ξ la mal distribuzione del reddito. In particolare, il reddito è stato distribuito a 
favore di profitti e di alti redditi da lavoro, cosicchè le classi medie con redditi di 
lavoro stagnanti consumavano prevalentemente a debito.  
16 
 
L‟aspetto più rilevante riconducibile allo sviluppo delle carte di credito e alla politica 
bancaria dei mutui concessi a debitori incapaci di ripagare il debito sulla base del flusso 
di reddito, con la presunzione che la garanzia derivasse dalla rivalutazione del bene 
acquistato a debito. Per poter sostenere questo debito era necessaria una crescita futura 
del reddito maggiore di quella del consumo, quindi: una riduzione del trend di consumo, 
o una crescita più elevata dell‟economia oppure un gigantesco default del settore 
privato.  
Le carte di credito e i mutui sono stati i due principali attivi bancari oggetto di 
cartolarizzazione. La crisi bancaria e finanziaria del 2007 si è poi sviluppata a causa 
della perdita di controllo della catena del rischio generata dalle cartolarizzazioni dei 
prestiti bancari, dalle insufficienze ed inefficienze dei sistemi di rating e da una 
vigilanza e una politica economica troppo permissiva.  
La politica monetaria non ha utilizzato i suoi strumenti per frenare l‟indebitamento 
eccessivo delle unità economiche, poiché questo era funzionale al conseguimento 
dell‟elevato tasso di crescita desiderato, anche se però si è rilevato incompatibile con la 
distribuzione del reddito e ha comportato lo scoppio della bolla immobiliare 
speculativa.  
Quando la politica monetaria ha invertito la sua condotta e ha tolto troppo in fretta la 
troppa liquidità dall‟economia statunitense, il conflitto tra il basso tasso di interesse 
reale a livello internazionale, prodotto dall‟eccesso di risparmio globale, e un crescente 
tasso di interesse monetario interno, pilotato dalla FED, ha messo in luce la fragilità del 
modello di sviluppo che gli Stati Uniti avevano adottato fino a quel momento. Le 
conseguenze principali sono state le insolvenze a catena delle famiglie e degli 
intermediari finanziari e il crollo delle borse mondiali. 
Il sistema finanziario mondiale è risultato molto più fragile del previsto, perché se da un 
lato ha consentito di finanziare a lungo enormi squilibri e di ripartire il rischio a livello 
mondiale, dall‟altro ne ha ignorato la sostenibilità di lungo termine, la necessità ed i 
costi dell‟aggiustamento, diffondendo nel sistema una forte sfiducia.