4 
Introduzione 
 
Un partito è un insieme di donne e di uomini che decidono di vivere insieme una 
parte della loro vita, di credere e di lottare insieme; un partito è un‟insieme di idee, che 
maturano e si sviluppano nel contesto sociale e culturale nel quale sono calate; un 
partito è l‟insieme di queste donne e uomini e di queste idee, allo scopo di realizzare i 
propri programmi politici da attuare mediante il governo, nella duplice dimensione 
locale e statale. 
Non è mai semplice studiare la storia di un partito politico. Le variabili umane e 
politiche in gioco sono talmente mutevoli e, a volte, sfuggenti che spesso riesce 
difficile metterle insieme per delineare una coerente cronologia degli eventi e delle 
idee. 
Da quando la lotta di Liberazione dal nazifascismo ha riportato in Italia la libertà 
d‟azione politica, i partiti si sono affermati come strumenti essenziali della vicenda 
democratica, tanto da far definire la nostra democrazia come la “democrazia dei 
partiti”
1
. 
Esauritesi le potenzialità politiche del movimento liberale che aveva governato 
l‟Italia dall‟Unità fino al Fascismo, nuovi protagonisti della scena politica furono quei 
partiti che – quasi tutti – rinacquero sulle ceneri delle culture politiche che il fascismo 
aveva combattuto, e che per anni avevano vissuto nella clandestinità: il partito della 
Democrazia cristiana, il Partito socialista italiano di unità proletaria, il Partito 
comunista italiano, il Partito liberale italiano, il Partito democratico del lavoro
2
 ed il 
Partito repubblicano italiano
3
; unica, vera novità fu il Partito d‟azione
4
. 
I rapporti di forza tra questi partiti nella nuova Italia postbellica si definirono alle 
elezioni per l‟Assemblea costituente del 2 giugno 1946. Primo partito fu la DC, con il 
35,18% dei voti; seguivano lo PSIUP – 20,72% – ed il PCI – 18,97%. Buon successo 
ebbero il PRI – 4,37% , sull‟onda del referendum istituzionale – e l‟Unione 
democratica nazionale
5
 – 6,79%. La vera sorpresa furono sia la sconfitta del Pd‟A – 
                                                 
1
 P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, Bologna, il Mulino, 1991, p. 9. 
2
 Questi cinque partiti avevano dato vita al Comitato di liberazione nazionale (CNL). M. RIDOLFI, 
Storia dei partiti politici, Milano, Mondadori, 2008, p. 129. 
3
 Forte della propria pregiudiziale repubblicana, il PRI si era rifiutato di entrare nel CLN; dopo il 
referendum istituzionale, entrò nel primo governo della Repubblica. L. LOTTI, I partiti della 
repubblica, Firenze, Le Monnier, 1997, p. 100. 
4
 Unico partito di nuova formazione, proveniente dalla cultura della sinistra democratica. RIDOLFI, 
Storia dei partiti politici, cit., p. 128. 
5
 Nata dall‟incontro elettorale di PLI e DL. Ivi, p. 132.
5 
1,46% – e del blocco monarchico – 2,77% – sia l‟affermazione, soprattutto al Sud, 
dell‟Uomo qualunque – 5,28%. Dopo queste elezioni, De Gasperi, leader della DC, 
venne incaricato di formare il suo II governo, comprendente DC, PSIUP, PCI e PRI
6
. 
Dopo la „valanga‟ democristiana alle elezioni del 1948 – 48,51% dei voti – e la 
sconfitta del Fronte democratico popolare
7
 – 30,98% – i rapporti di forza si fissarono 
del tutto. Al centro del sistema stette saldamente la Democrazia cristiana, che governò 
alternamente con i cosiddetti partiti laici minori – PRI, PSDI, PLI – nei governi a 
formula centrista e con l‟aggiunta del PSI nei governi di centro-sinistra; esclusi 
dall‟area della legittimità, l‟MSI a destra ed il PCI a sinistra. 
Dopo la stagione della „solidarietà nazionale‟, che a cavallo tra gli anni ‟70 e ‟80 
vide la partecipazione nella maggioranza del PCI, questo sistema entrò in crisi. 
Dapprima la DC perse – o per altri, lasciò – la presidenza del Consiglio, poi si trovò 
subalterna alla politica rampante del PSI di Craxi, che a metà degli anni ‟80 formò due 
governi con la formula del pentapartito – PSI, DC, PRI, PSDI, PLI. 
Nata per necessità della democrazia italiana
8
, la „repubblica dei partiti‟ non seppe 
più rispondere alle esigenze e ai problemi del Paese, conoscendo così, agli inizi degli 
anni ‟90, la propria crisi.  
 
È in questo periodo di tramonto della „prima Repubblica‟ che il Partito comunista 
italiano conobbe la sua metamorfosi in Partito democratico della sinistra – PDS. 
Il Partito comunista italiano nacque dalla scissione dal PSI al Congresso nazionale 
di Livorno del gennaio 1921 come Partito comunista d‟Italia – PCd‟I. Principale 
motivo di questa scissione era stato la mancata adesione del PSI alla Terza 
Internazionale – COMINTERN – promossa nel 1919 dalla neonata Unione Sovietica, 
cui il PCd‟I aderì immediatamente
9
. 
Entrato in clandestinità sotto il regime fascista, il PCd‟I si riorganizzò tra il 1943 
ed il 1944, cambiando nome in PCI e portando avanti, con altre forze politiche, la lotta 
di Resistenza al fascismo
10
. Il partito, nelle parole d‟ordine e nella pratica politica, 
iniziò ad abbandonare la propria natura rivoluzionaria per diventare un partito 
                                                 
6
 In base agli accordi tra i partiti, la presidenza del Consiglio spettò al partito di maggioranza e la 
presidenza dell‟Assemblea al secondo partito. LOTTI, I partiti della repubblica, cit., p. 36. 
7
 Che riunì per le elezioni del 1948 PCI e PSI, nome ripreso dallo PSIUP dopo la scissione del 9 gennaio 
1947 delle componenti di Saragat, di Critica sociale e di Iniziativa socialista di Zagari, confluite nel 
PSLI – poi PSDI. Ivi, p. 39. 
8
 Si vedano l‟introduzione e i primi capitoli di SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, cit. 
9
 RIDOLFI, Storia dei partiti politici, cit., pp. 76-77. 
10
 Ivi, pp. 154-155.
6 
„diverso‟, diversità che molta storiografia gli riconosce: centrale fu, in questa 
direzione, quella che venne definita la „svolta di Salerno‟, operata da Palmiro Togliatti, 
leader del partito, nell‟aprile del 1944. Togliatti disse che il PCI non inseguiva vie 
rivoluzionarie ma credeva nell‟affermarsi di una „democrazia progressiva‟, per il cui 
sviluppo in Italia serviva un governo di „unità nazionale‟. 
Considerato da molta storiografia un protagonista della democratizzazione del 
Paese – insieme agli altri due partiti maggiori, la Democrazia cristiana ed il Partito 
socialista – partecipò ai primi governi liberi: dai due governi Bonomi, al breve governo 
Parri, ai tre primi governi De Gasperi, fino all‟esclusione dal governo nel maggio 
1947
11
. 
Abbandonata almeno ufficialmente la via rivoluzionaria, il PCI proseguì la propria 
lotta non rinunciando a quella „doppiezza‟ che sempre gli venne rimproverata, 
altalenando posizioni pseudo rivoluzionarie e filosovietiche
12
 e difesa dei principi 
democratici
13
. 
Nessuno, nel 1980, sarebbe stato in grado di intuire che in un decennio l‟Unione 
Sovietica sarebbe implosa ed il mondo comunista si sarebbe frantumato
14
. Ma i segnali 
della crisi del comunismo già erano presenti: in parte fu troppo forte l‟identificazione 
ideologica con lo status quo dell‟URSS e la conseguente incapacità del comunismo a 
rispondere alle esigenze di un mondo in continua evoluzione; in parte si manifestò una 
crisi dell‟internazionalismo politico comunista, crisi già iniziata nel 1948 ad opera di 
Tito e resa poi palese negli anni ‟70 dalla posizione cinese e dalla teorizzazione 
europea dell‟eurocomunismo
15
. 
In questo clima maturò la decisione presa dai dirigenti del PCI, ed avallata dai suoi 
iscritti, di portare a termine l‟esperienza del comunismo italiano per approdare 
                                                 
11
 Questa esclusione derivò in particolare dai legami internazionali dei partiti di governo. La DC, molto 
vicina agli Stati Uniti, non poteva continuare a portare avanti nei primi anni della Guerra Fredda un 
governo con forze politiche come il PCI e lo PSIUP, fortemente legate all‟Unione Sovietica. A. LEPRE, 
Storia della prima repubblica. L‟Italia dal 1943 al 2003, Bologna, il Mulino, 2004, pp. 82-83. 
12
 Tra gli altri, è Salvatore Sechi a sostenere che il PCI non fu solo una forza parlamentare ma mantenne 
sempre forti legami con Mosca e una natura rivoluzionaria, con addirittura una propria forza militare 
segreta definita „Gladio rossa‟. Si veda S. SECHI, Compagno cittadino. Il Pci tra via parlamentare e 
lotta armata, Soveria Mannelli, Rubettino, 2006. 
13
 Molta storiografia considera esempi dell‟abbandono della via rivoluzionaria da parte del PCI già la 
„svolta di Salerno‟ e l‟adesione ai primi governi postfascisti, e simbolo della difesa della Democrazia sia 
il „compromesso storico‟ che l‟adesione ai governi di „solidarietà nazionale‟. Tra gli altri, P. CARUSI, I 
partiti politici italiani dall‟Unità ad oggi, Città di Castello, Studium, 2001; S. COLARIZZI, Storia 
politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni. 1943-2006, Roma, Laterza, 2007; P. IGNAZI, 
Dal PCI al PDS, Bologna, il Mulino, 1992; e i già citati LEPRE, Storia della prima Repubblica e 
SCOPPOLA, La repubblica dei partiti. 
14
  A. B. ULAM, Il crollo del comunismo, in “Nuova Storia Contemporanea”, a. II, n. 6, p. 5. 
15
 Ivi, pp. 5-7.
7 
definitivamente alla sponda della sinistra democratica. La nascita nel 1991 del Partito 
democratico della sinistra, sotto la guida di Achille Occhetto e della sua classe 
dirigente, rappresentò la definitiva fuoriuscita del principale partito della sinistra 
italiana dall‟alveo dell‟ormai agonizzante ideologia comunista. 
 
Quale fu la cultura politica del Partito comunista italiano alla fine degli anni ‟80, 
ovvero la cultura politica che sostenne la „svolta‟ dell‟89-‟91? Quali furono le 
principali innovazioni politiche e culturali contenute in questo passaggio storico? 
Quale fu la reazione della base? 
Questo studio si propone, nei limiti di uno specifico angolo di visuale locale, di 
analizzare questi cruciali aspetti. La trasformazione del PCI in un altro soggetto 
politico fu, in quel periodo di grandi trasformazioni nazionali ed internazionali, uno 
degli eventi di maggior rilevanza nel panorama politico italiano ed europeo. Studiarne 
il percorso attraverso la crisi degli anni ‟80 significa vedere come il più grande partito 
comunista dell‟Occidente, da sempre ancorato alla propria tradizione storica, abbia 
attuato la propria metamorfosi. 
 
Per meglio definire le modalità con le quali è stato affrontato questo studio, il 
primo capitolo definisce brevemente le differenti tipologie di fonti utilizzate. Dopo una 
rapida disamina delle fonti più convenzionali – come le fonti bibliografiche e le fonti 
d‟archivio – ci si è soffermati sulla fonte orale, della quale verrà proposta una rapida 
analisi, con attenzione a come queste fonti si raccolgono, si catalogano e si conservano. 
Il capitolo successivo analizza brevemente le principali categorie interpretative sui 
partiti che la politologia ha messo a punto. Partendo dai testi fondamentali di studi 
politologici e di sociologia politica, quali quello di Gabriel Almond e Bingham Powell 
Politica comparata. Sistema, processi e politiche
16
, e quello di Angelo Panebianco 
Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici
17
, si sono analizzati i 
contributi delle due principali scuole di studio sui partiti, quella funzionalista e quello 
strutturalista. 
Il terzo capitolo studia il passaggio dal Partito comunista italiano al Partito 
democratico della sinistra a livello nazionale. Tenendo sempre presente il quadro 
                                                 
16
 G. A. ALMOND – G. B. POWELL, Politica comparata. Sistema, processi e politiche, Bologna, Il 
Mulino, 1988. 
17
 A. PANEBIANCO, Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici, Bologna, Il 
Mulino, 1982.
8 
politico ed istituzionale degli anni ‟70 e ‟80 – grazie a vari testi di storia dei partiti e di 
storia politica d‟Italia – si è messa a fuoco la „svolta‟, nella sua dimensione culturale e 
organizzativa, partendo da uno dei testi meglio curati sull‟argomento – il già citato Dal 
PCI al PDS di Piero Ignazi – ricorrendo agli articoli apparsi principalmente su l‟Unità 
e Rinascita e alla memorialistica dei protagonisti di quegli anni e utilizzando i 
contributi storiografici apparsi su varie riviste di studi storici, come Contemporanea, 
Nuova Storia Contemporanea e Passato & Presente. In evidenza la lunga – e 
inizialmente ignorata – crisi del partito durante gli anni ‟80 – crisi figlia della fine della 
strategia del compromesso storico – e le modalità con la quale la prima classe dirigente 
post-berlingueriana cercò di uscirne. L‟idea di fondo era di riuscire a superare quel 
periodo difficile attuando la strategia da sempre messa in campo in situazioni simili: 
ringiovanire la propria classe dirigente ed attuare una cosiddetta „articolazione dei 
fini‟, un cambio di strategia politica che non implicasse anche una ridefinizione 
dell‟ideologia e della cultura di fondo del partito. Segue un‟analisi di come questa 
iniziale articolazione – e l‟intero quadro politico internazionale – portarono 
gradualmente all‟idea di un cambiamento completo, arrivando cioè ad una 
„sostituzione dei fini‟ che coinvolgesse l‟ideologia e la cultura del partito. 
Il quarto e conclusivo capitolo propone un focus su una realtà territoriale ben 
precisa. L‟analisi del cambiamento dal PCI al PDS è calata nella realtà specifica della 
Federazione comunista della provincia di Pavia, alla ricerca di peculiarità legate ad una 
ben precisa specificità territoriale e per studiare crisi e cambiamento a livello locale. 
Sono stati analizzati l‟andamenti elettorale del Partito comunista nella provincia, 
concentrandosi sul calo dei consensi che colpì anche questo territorio nel corso degli 
anni ‟80, e il numero e la composizione dei militanti comunisti pavesi. Si è cercato poi 
di capire quali siano state le caratteristiche del cambiamento nella provincia, studiando 
il dibattito politico attraverso i documenti del PCI degli anni ‟80 conservati 
nell‟Archivio del Partito comunista pavese – depositato presso l‟Istituto pavese per la 
storia della Resistenza e dell‟età contemporanea – siano questi documenti degli organi 
centrali della Federazione pavese o atti dei Congressi. Il lavoro di analisi delle varie 
posizioni, di come le proposte di Occhetto e della dirigenza nazionale vennero recepite 
dai quadri pavesi e di come vennero metabolizzate dalla base è stato condotto, in 
mancanza di ricerche ed indagini condotte nei vari Congressi provinciali, attraverso le 
posizioni prese ed espresse nel corso di quel dibattito precongressuale e congressuale. 
Confrontando le tesi e le opinioni dei delegati è stato possibile cogliere alcune delle
9 
modalità di fondo della trasformazione comunista nella provincia di Pavia, arrivando a 
delineare le principali caratteristiche dell‟ultimo PCI e del primo PDS in provincia.
10 
Le fonti 
 
Il seguente studio ha utilizzato tre tipologie differenti di fonti. Due di queste sono 
le più tradizionali fonti per lo studio della storia: le fonti bibliografiche e le fonti 
d‟archivio. La terza tipologia di fonte è la più nuova: la fonte orale, per cui – dopo il 
carattere di dirompente novità negli anni ‟80 – si è venuta elaborando una metodologia 
sempre più raffinata. 
 
 
La fonte bibliografica 
 
Le fonti bibliografiche sono state le principali fonti della prima parte del presente 
lavoro, in particolare per i capitoli riguardanti lo studio sui partiti e la trasformazione 
del Partito comunista in Partito democratico della sinistra. 
La bibliografia sullo studio dei partiti è ampia, ma per avere un rapido quadro 
d‟insieme dell‟argomento si è fatto ricorso ad alcuni testi che presentano una rapida 
carrellata sulle più moderne posizioni sullo studio dei partiti politici, sia in campo 
funzionalista che in campo strutturalista. Se si volesse analizzare l‟evoluzione dello 
studio sui partiti, le fonti bibliografiche a proposito sono eterogenee. Bisogna partire da 
opere storico-politiche, al limite della filosofia, scritte sul finire del XVIII secolo, ma i 
testi di maggior interesse partono dagli anni ‟20 del XX secolo. Opere come La scienza 
come professione; la politica come professione di Max Weber
18
 – del 1919 – o La 
sociologia del partito politico nella democrazia moderna di Robert Michels
19
 – del 
1912 – sono fondamentali per cominciare a studiare l‟evoluzione della sociologia 
politica. 
Nel XX secolo, lo studio sui partiti e sulla politologia è fiorito quasi ovunque, dagli 
Stati Uniti all‟Europa. Autori come Gabriel A. Almond e Bingham G. Powell
20
, 
Maurice Duverger
21
, Gianfranco Pasquino
22
, Angelo Panebianco
23
, Giovanni Sartori
24
 
                                                 
18
 M. WEBER, La scienza come professione; la politica come professione, Torino, Einaudi, 2004. 
19
 R. MICHELS, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Bologna, il Mulino, 
1966. 
20
 Nel già citato ALMOND – POWELL, Politica comparata. Sistema, processi e politiche. 
21
 M. DUVERGER, I partiti politici, Milano, Edizioni di Comunità, 1980. 
22
 Ad esempio G. PASQUINO, Istituzioni, partiti, lobbies, Roma, Laterza, 1988. 
23
 Nel già citato PANEBIANCO, Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici. 
24
 Ad esempio G. SARTORI, Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, SugarCo, 1982.
11 
hanno contribuito – e stanno tuttora contribuendo – a sviluppare lo studio sui partiti e 
sui meccanismi della politica, portando questo genere di studi a livelli di teorizzazione 
molto raffinati. 
 
Se la bibliografia riguardante lo studio sui partiti è ampia, quella sul passaggio dal 
Partito comunista al Partito democratico della sinistra lo è ancora di più. Non c‟è 
storico della più recente età contemporanea che non si sia cimentato con la sfida di 
raccontare cause e sviluppi del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica in Italia. 
Di questi storici, quelli che fanno del campo politico della sinistra il loro campo 
d‟indagine hanno molto spesso messo mano ai materiali disponibili sugli ultimi anni 
del PCI, cercando di capire cause e meccanica del cambiamento del maggior partito 
della sinistra italiana. 
In aggiunta a storici e politologi, anche i protagonisti del periodo non si sono 
sottratti al compito, o al piacere, di lasciare su carta le loro memorie, fornendo le 
proprie interpretazioni e le proprie spiegazioni di quegli anni “di ferro e di fuoco”
25
. 
Achille Occhetto
26
, Piero Fassino
27
, Claudio Petruccioli
28
 – ma anche dirigenti 
comunisti meno giovani come Giuseppe Chiarante
29
 e Giorgio Napolitano
30
 – sono 
solo alcuni tra i protagonisti del cambiamento che hanno voluto testimoniare il loro 
impegno in un libro di memorie. 
 
 
La fonte d’archivio 
 
Per la parte più originale di questo studio si è fatto ricorso a fonti archivistiche 
originali e inedite. 
Sono stati usati, per l‟analisi del partito comunista pavese negli anni ‟80 e per lo 
studio dei congressi provinciali, oltre agli archivi comunali di Pavia e Stradella, i 
materiali contenuti nell‟Archivio del Partito comunista pavese, versato fino al 1989 
                                                 
25
 A. OCCHETTO, Il sentimento e la ragione. Un‟intervista di Teresa Bartoli, Begamo, Rizzoli, 1994, 
p. 114. 
26
 Nel già citato OCCHETTO, Il sentimento e la ragione. 
27
 Nel volume P. FASSINO, Per passione, Bergamo, Rizzoli, 2003. 
28
 C. PETRUCCIOLI, Rendi conto, Milano, Il saggiatore, 2001. 
29
 G. CHIARANTE, Da Togliatti a D‟Alema. La tradizione dei comunisti italiani e le origine del PDS, 
Roma, Laterza, 1997. 
30
 G. NAPOLITANO, Europa e America dopo l‟89. Il crollo del comunismo, i problemi della Sinistra, 
Roma, Laterza, 1992.
12 
presso l‟Università degli Studi di Pavia; i materiali per lo studio del XXII Congresso 
provinciale non stati versati e si trovano ora nella sede della Federazione pavese del 
Partito democratico. 
 
Abbreviazioni 
AC = Archivio Comunale 
AFCP = Archivio della Federazione Comunista Pavese 
APC = Archivio del Partito Comunista 
ISREC = Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell‟Età Contemporanea 
 
Una fonte particolare: la fonte orale 
 
Per meglio comprendere certi cruciali passaggi riguardo all‟evoluzione del Partito 
comunista a Pavia è stato fondamentale ricorrere ad alcune interviste con i protagonisti 
di quegli anni. Cesare Bozzano, Ferruccio Quaroni, Giuseppe Villani, Tullio 
Montagna, Romana Bianchi, Giancarlo Mazza sono solo alcuni degli importanti 
protagonisti del periodo, necessari per capire le dinamiche non rintracciabili nei 
documenti d‟archivio. Il dialogo, inoltre, con Daniela Martin, storica impiegata della 
Federazione comunista pavese, ha permesso di approfondire aspetti che non traspaiono 
dalla lettura dei verbali. 
 
Elemento di novità a partire dalla storiografia degli anni ‟80, da circa vent‟anni si è 
venuta elaborando una metodologia sempre più raffinata di raccolta, conservazione ed 
elaborazione della fonte orale. 
Le fonti orali, infatti, non sono come le altre fonti tradizionali: sono fortemente 
legate a chi le raccoglie e possono creare problemi ad altri ricercatori. Può risultare, 
infatti, difficile ad altri ricercatori entrare nelle logiche di chi ha prodotto la fonte. 
Chi produce fonti orali deve quindi prestare attenzione alla modalità con la quale 
pone le domande, trascrive la conversazione e poi archivia il tutto. Lo 
storico/archivista si deve sempre ricordare che un altro ricercatore non conosce la 
realtà nella quale è stata creata la fonte, e deve rendere la fonte orale fruibile a
13 
chiunque voglia consultarla in futuro
31
. Il ricercatore deve quindi ricordarsi sempre che 
un fruitore terzo deve essere in grado non solo di avere accesso alle notizie raccolte 
nella fonte, ma anche di poter contestualizzare la conversazione, in modo da non 
perdersi importanti informazioni ambientali. Bisogna fornire, quindi, sia informazioni 
sui rapporti che intercorrono tra i due attori della conversazione
32
, sia un apparato 
informativo di corredo al documento
33
. 
Il riferimento per chi si voglia avvalere delle fonti orali è rappresentato dal 
documento sonoro o audio-visivo raccolto. Data la labilità dei supporti, però, è utile 
procedere a una trascrizione della conversazione offrendo della testimonianza raccolta 
un testo divulgativo che raccolga la parziale trascrizione di quanto detto e visto nella 
registrazione
34
. La trascrizione della fonte orale deve sempre seguire la regola di essere 
esclusivamente uno strumento di lavoro del ricercatore: deve avvenire nel rispetto di 
quanto detto dal narratore, valorizzandone, se possibile, gli aspetti formali
35
. 
L‟utilizzo della fonte orale può essere vario, a seconda delle necessità 
storiografiche del ricercatore: la testimonianza orale può integrare il racconto fatto 
dall‟autore
36
, può essere usata per comprendere la soggettività del testimone
37
 o per 
ricostruire i rapporti tra eventi e soggettività
38
. 
                                                 
31
 P. CLEMENTE, Voci su banda magnetica: problemi dell‟analisi e della conservazione dei documenti 
orali. Note italiane, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Gli archivi per la storia 
contemporanea. Organizzazione fruizione, Atti del seminario di studi, Mondovì 23-25 febbraio 1984, 
Roma, 1986, pp. 190-191. 
32
 G. CONTINI – A. MARTINI, Verba manent. L‟uso delle fonti orali per la storia contemporanea, 
Milnao, La Nuova Italia Scientifica, 1993, p. 134. 
33
 Tutto ciò che viene raccolto e preparato attorno alla fonte orale deve diventare una “unità 
archivistica”, un insieme di note critico-informative che premette l‟utilizzo della fonte e che insieme alla 
registrazione costituisce un‟unità indivisibile. P. CARUCCI, Le fonti archivistiche, Roma, NIS, 1989, p. 
230. 
34
 Il lavoro di trascrizione del documento non deve mai mirare a sostituire la fonte orale. CONTINI – 
MARTINI, Verba manent, cit., p. 138. 
35
 Scrive Portelli nel suo libro su Terni: “La riproduzione letterale (a parte i suoi limiti di credibilità) 
sottintende l‟idea che, una volta registrata, la parola della fonte sia staccata da essa e viva di vita propria 
nelle mani del ricercatore. Ma, quando ho sottoposto alle mie “fonti” la pagine in cui apparivano le loro 
citazioni, mi sono trovato invece di fronte alla volontà di mantenere almeno in parte il controllo. In un 
paio di casi, ho ricevuto critiche per scarsa fedeltà, ma tutte le alte osservazioni espresse (e, mi risulta, 
anche molto inespresse) dichiaravano insoddisfazioni per l‟eccesso di esattezza. Mantenendo il parlato 
colloquiale e improvvisato dell‟intervista, presentavo queste persone in pubblico con abiti destinati al 
parlato, e non gli rendevo il servizio che si aspettavano da me come intellettuale, quello di renderli 
“presentabili”. C‟è dunque una fedeltà alle fonti che consiste nel non violarne il diritto 
all‟autopresentazione; ma questa fedeltà si scontra con la fedeltà che il ricercatore deve a se stesso, e che 
consiste nel descrivere il più accuratamente possibile quello che ha visto e sentito e nell‟interpretarlo 
senza riguardi per nessuno”. A. PORTELLI, Biografia di una città. Terni (1830-1985), Torino, Einaudi, 
1985, p. 7. 
36
 Un esempio di questo tipo di utilizzo delle fonti orali è il lavoro di Nuto Revelli Il mondo dei vinti. In 
questo testo del 1977 l‟autore utilizza il racconto orale per ricostruire il vissuto di una specifica 
trasformazione economica e sociale. Il racconto, quindi, è inserito in forma di citazioni nel testo, dove 
l‟autore usa le parole dei testimoni per rendere viva e tangibile la propria ricostruzione storica. N. 
REVELLI, Il mondo dei vinti: testimonianze di vita contadina, Torino, Einaudi, 1977.