5
1.2. L'Ancien Régime 
 
Se, in Francia, la creazione di alcune importanti istituzioni culturali risale a 
un passato lontano, è ovviamente perché la creazione stessa della nazione francese è 
molto antica. Il processo di unificazione nazionale fu infatti avviato fin dai tempi di 
Ugo Capeto (X sec.) e giunse a compimento già nel sec. XV, sotto il regno di Luigi 
XI
4
: ampliare il territorio del regno e insieme accentrare il potere furono le priorità 
delle dinastie che si sono succedute sul trono dopo quella capetingia. 
L’accentramento del potere fu realizzato principalmente attraverso la creazione di un 
apparato burocratico amministrativo, unico in tutta Europa, che raggiunse il suo 
pieno sviluppo nel corso del XVII secolo grazie alla politica di Richelieu e poi di 
Mazarino, i principali fautori dell'assolutismo regio (è nel XVII secolo che viene 
creata da Colbert, nel 1664, la Surintendance générale des Bâtiments du Roi, Arts et 
Manufactures che alcuni vedono come l'antenato dell'odierna amministrazione della 
cultura). Durante questo lungo arco di tempo si assiste anche alla creazione di 
numerose istituzioni e iniziative di tipo culturale.  
 
La prima, in ordine cronologico, è il Collège Royal (l’attuale Collège de 
France) che venne fondato nel 1530 (nonostante le resistenze dell'università della 
Sorbona
5
) ad opera di Francesco I. Lo spirito che aveva presieduto alla sua 
fondazione è così riassunto da Barthélemy Latomas, nel 1534: «Tous nous espérons 
voir à bref délai une métamorphose générale, un âge nouveau, la concorde entre les 
nations, l'ordre dans les Etats, l'apaisement religeux, en un mot, la félicité d'une vie 
heureuse et l'afflux de toutes les prospérités». La nascita del Collège Royal s'iscrive 
d'altronde in un'epoca di fioritura di nuove e prestigiose istituzioni d'insegnamento: il 
Collège de Guyenne a Bordeaux, fondato nel 1532; il Gymnase de Jean Sturn a 
Strasburgo, fondato nel 1538.  
                                                 
4
 Cfr. A. Desideri, Storia e storiografia. Dalla crisi dell'Impero romano alla Rivoluzione  inglese, 3 
voll., Milano, G. D'Anna, 1989, vol. I, p. 557. 
5
 Cfr. P. Brunel, Histoire de la littérature française. Du Moyen Age au XVIII siècle, 2 voll., Paris, 
Bordas, 1998, vol. I, p. 92. 
 6
Alla morte di Francesco I il Collège Royal contava undici cattedre: tre di 
ebraico, tre di greco, due di matematica, una di latino, una di medicina e una di 
filosofia. L'istituzione cambiò nome col cambiare dei regimi: Collège national 
(durante la Rivoluzione), Collège impérial (sotto Napoleone I), e divenne Collège de 
France con la Restaurazione. Oggi il Collège de France (che riceve sovvenzioni dal 
ministero dell’Education Nationale) ha come duplice missione di contribuire al 
progresso della scienza, grazie a lavori di ricerca, e alla diffusione di questo sapere 
grazie all'insegnamento e a pubblicazioni scientifiche. I docenti rappresentano tutti  i 
rami del sapere: matematica, fisica, chimica, biologia; ma anche scienze umane: 
storia, musica o diritto.  
Durante il regno di Francesco I si verifica un altro importante avvenimento 
culturale. Non si tratta della nascita di una scuola o di un’università, ma di 
un'ordinanza destinata ad avere importanti effetti sul mondo culturale del tempo. Ci 
riferiamo all'ordinanza di Villers-Cotterêts, firmata dal  sovrano nel 1539, che rese 
obbligatorio l'uso della lingua francese per gli atti amministrativi, giudiziari e 
diplomatici, sancendo così la sua progressiva diffusione nonché la conquista di 
territori fino ad allora riservarti al latino. A poco a poco il francese sarà utilizzato per 
parlare di scienza, di politica, di filosofia e persino di religione, diviene la lingua 
nazionale, la lingua del potere e della cultura
6
. 
Importante creazione dell'Ancien Régime furono poi le accademie. Nel 1635 
viene creata dal cardinale Richelieu l'Académie Française (e le sue sorelle minori: 
l'Académie royale de Peinture et de Sculpture, divenuta in seguito Académie des 
beaux-arts, l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres e l'Académie des Sciences). 
Il cardinale intendeva ufficializzare le riunioni letterarie ed erudite che si tenevano 
dal 1629 presso il celebre critico Valentin Conrart. Il compito dell'Académie 
(stabilire, attraverso la realizzazione di un dizionario e di una grammatica ufficiali, 
un modello di lingua francese comprensibile per tutti) rispondeva bene alla sua 
politica di unificazione e di centralizzazione del regno: «En France, l'essor 
                                                 
6
 Cfr. ibid., p. 88. 
 7
académique est lié à la politique d'ordre et de gloire du pouvoir royal (Richelieu, 
Mazarin,  Colbert)»
7
.  L'Académie française fu sciolta dalla Convenzione, poi venne 
ripristinata da Bonaparte come Classe de littérature et de langue française 
dell'Institut de France e riassunse la denominazione di Académie française nel 1815. 
Ogni anno l'Académie conferisce circa ottanta premi letterari, fra cui  il  gran premio 
della francofonia e il gran premio del romanzo. 
La Comédie française nacque invece per volontà di Luigi XIV, che nel 1680 
attribuisce ai «comédiens français», nati dalla fusione delle due compagnie rivali 
dell'Hôtel de Bourgogne e del Théâtre Guénégaud, il monopolio per la 
rappresentazione di commedie a Parigi. La Comédie française, uno dei più antichi 
teatri del mondo, assicura tuttora la rappresentazione regolare di alcune commedie 
del repertorio classico ma anche di alcune importanti opere contemporanee. 
 
                                                 
7
 Ibid., vol. I, pp. 201-202. 
 8
1.3 La posta in gioco 
 
 Questa rapida «carrellata» dà un'idea dell'impegno monarchico al fine di 
rappresentare una sorta di centro di controllo del mondo culturale. Ma perché questa 
volontà da parte dei Re di Francia? Semplice passione per il mecenatismo? Quale 
potere si nasconde dietro la cultura?  
In un suo recente saggio Gianfranco Poggi, rifacendosi agli studi di Michael 
Mann, cerca di definire un potere che esisterebbe in tutte le società e che definisce 
«ideologico-normativo». Di questo potere, nell'evoluzione storica, si sarebbero 
impadroniti prima i detentori dell'autorità religiosa, poi sempre più i detentori 
dell'autorità laica. L'esistenza di questo potere nasce da profonde esigenze umane: 
  
 Secondo Mann, l'esistenza stessa del potere ideologico si può 
ricondurre a tre condizioni peculiari della specie umana. Innanzi tutto 
«Non possiamo comprendere (e agire su) il mondo puramente in base a 
dati sensoriali» in quanto le nostre percezioni devono essere rese 
possibili da un processo selettivo, dall'attribuzione di significato a questo 
o quell'aspetto del mondo. In altre parole, per comprendere il mondo e 
agire su di esso abbiamo bisogno di «categorie significative». 
 In secondo luogo, «perché gli individui possano cooperare in maniera 
durevole ed affidabile, è necessario che esistano delle norme, vale a dire 
degli intendimenti condivisi in merito a come essi debbano rapportarsi gli 
uni agli altri moralmente». 
 Infine, gli esseri umani hanno bisogno di certe «pratiche estetiche e 
rituali» al fine di esprimere simbolicamente i propri sentimenti e 
atteggiamenti relativi a esperienze particolarmente intense, significative, 
fuori dell'ordinario. 
 Secondo Mann, dunque, si dà potere «ideologico» se e in quanto entro 
una determinata collettività un determinato gruppo monopolizza 
l'elaborazione e la diffusione di quelle «categorie significative, norme, e 
pratiche estetiche e rituali» di cui la collettività normalmente si serve nel 
corso delle sue attività conoscitive, morali ed espressive
8
. 
 
                                                 
8
 G. Poggi, Il gioco dei poteri, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 35-36. 
 9
 Nei sovrani dell'Ancien Régime, figure allo stesso tempo religiose (re per 
«diritto divino», come del resto tutti i monarchi d'allora) e laiche, si concentrava 
questo potere ideologico-normativo. La loro autorità non era però al riparo da 
attacchi e da critiche. Rischiavano di essere una delle tante voci capaci di 
monopolizzare l'elaborazione e la diffusione di «categorie significative». I re 
intendono allora rafforzare questo loro potere, attribuirsi un'immagine di 
magnificenza perfetta e inattaccabile. Questa volontà ebbe la sua più manifesta 
espressione ai tempi di Luigi XIV, come ci ricorda Robert Mandrou:  
 
La «politica delle belle arti» si è espressa durante la prima parte del 
regno personale di Luigi XIV nel modo più chiaro che si possa 
immaginare: Re e ministri portano il più vivo interesse all'attività artistica 
in una sola e semplice prospettiva, la gloria del monarca
9
. 
 
A tal fine vengono commissionati dei grandi lavori nella capitale; si costruisce la 
reggia di Versailles per la quale vengono impegnati per più di vent'anni i migliori 
artisti francesi; ci si preoccupa di ridurre al silenzio le critiche attraverso una 
sorveglianza stretta degli stampatori e dei librai, un'applicazione attiva della censura, 
una  caccia ai libellisti che canzonano su manoscritti il controllore generale o gli 
amori del re; a tal fine vengono create le istituzioni culturali, ricordate nel secondo 
paragrafo. La direzione delle arti figurative e la direzione delle lettere (anche se per 
queste ultime il mecenatismo regio è assai meno forte) erano attuate tramite un 
sistema di gratifiche e stipendi e rispondevano, oltre alla necessità di portare gloria al 
monarca, anche a quella di animare lo scenario della monarchia. Era possibile 
trattenere a centinaia i cortigiani presso il Re, nel quadro di una residenza fuori  
Parigi, solo a condizione di offrire loro numerosi divertimenti; la caccia più volte la 
settimana, le cerimonie legate alla diplomazia, i balli, ma soprattutto la 
rappresentazione di spettacoli: commedie, tragedie, opere e balletti
10
. 
                                                 
9
 R. Mandrou, Luigi XIV e il suo tempo, trad. it., Torino, SEI, 1976, p. 160. 
10
 Cfr., ibid., p. 175-176. 
 10
Queste gratifiche e stipendi concessi a poche decine di artisti (e di scienziati) 
francesi e stranieri, dimostrano come la generosità del Re non sia stata una parola 
vuota (la tabella sottostante mostra le gratifiche distribuite dal 1664 al 1673
11
) . 
 
Anno 
 
1664 
1665 
1666 
1667 
1668 
1669 
1670 
1671 
1672 
1673 
Residenti in Francia 
 
 69.600 
 73.300 
 79.800 
 97.300 
 75.400 
 96.650 
 87.960 
 88.575 
100.500 
 67.700 
Residenti all'estero 
 
 9.900 
 8.700 
16.200 
20.800 
14.700 
11.700 
11.700 
10.500 
 4.500 
 7.200 
 
 Valutando lo sforzo globale compiuto in questo modo dal governo monarchico con 
riferimento al bilancio generale, Robert Mandrou stima che si aggiri intorno allo 
0,24%. Queste distribuzioni annuali non rappresentano il «bilancio culturale» della 
monarchia, che comprendeva ben altri e più importanti capitoli, ma definiscono lo 
sforzo compiuto dalla monarchia per propiziarsi gli scrittori più in vista, staccandoli 
così dai protettori privati. 
 Gli scrittori portavano prestigio non solo al Re («Mai si elogiò tanto: fu per 
così dire la malattia della nazione… Luigi XIV è stato più elogiato durante il suo 
regno che tutti quanti i sovrani insieme nel corso di dodici secoli…»
12
), ma anche… 
alla lingua del Re, elemento fondamentale nella costituzione di uno Stato unitario.  
                                                 
11
 Cfr., ibid., p. 179. 
12
 Ibid., p. 91. 
 11
Come osserva Marc Fumaroli, ciò che non poté l'editto di Villers-Cotterêts, 
strappare il francese alla condizione di lingua volgare tra le altre, poterono una serie 
di capolavori che, da Malherbe in poi, furono scritti e subito considerati alla stregua 
di classici: 
 
Ancora ai primi del Seicento il latino della Chiesa e della Repubblica 
europea delle Lettere, l'italiano veicolo della cultura rinascimentale, lo 
spagnolo di Carlo V, di Filippo II e di Cervantes rimanevano lingue 
letterarie rivali del francese del re. 
[…] Nel giro di due generazioni la lezione di Malherbe, lo sviluppo della 
«conversazione» parigina, la creazione altamente simbolica 
dell'Académie, la comparsa […]dei primi autori «classici» francesi si 
coniugano con il successo militare e diplomatico del regno per dare ai 
francesi, e anzitutto ai loro scrittori, la certezza che la lingua del re stava 
diventando, come erede del latino, un'istituzione letteraria pienamente 
operante
13
. 
 
È sorprendente come già allora si potesse avere chiara l'idea della connessione tra 
potere e prestigio internazionale di uno Stato e floridezza delle arti anche e 
soprattutto attraverso la diffusione della lingua: 
 
Che cosa fa sì che una lingua sia più universale di un'altra? Che sia 
stata in un certo secolo la lingua del più fiorente impero. Che cosa fa sì 
che la si apprezzi maggiormente e che vi si riscontrino grazie che le altre 
non hanno? Che la vittoria, l'abbondanza e la pace abbiano prodotto più 
civiltà in un regno e dato alle Arti il modo di accrescersi. Che cosa fa sì, 
infine, che una lingua mantenga un determinato grado di bellezza e 
sembri aver raggiunto la sua perfezione estrema? Che grandi geni 
l'abbiano consacrata con opere immortali, destinate a rimanere i modelli 
da cui non ci si può discostare senza cadere in fallo; e benché in seguito 
essa non cessi di cambiare, tale cambiamento viene detto corruzione; e si 
ritiene che sia stata perfetta all'epoca della sua massima fioritura… Non è 
difficile, Signori, trarre da tutto ciò che ho detto una conseguenza 
infallibile per la bellezza e la durata della nostra lingua…
14
  
                                                 
13
 M. Fumaroli, Il salotto,l'Accademia, la lingua. Tre istituzioni letterarie, trad. it., Milano, Adelphi, 
2001, p. 39.  
14
 Discours prononcé par M. l'abbé Tallement le Jeune le 23 Décembre 1676, pour servir de réponse 
à celui du R. P. Lucas, jésuite, in ibid., p. 81. 
 12
 
Gli artisti, tramite le loro opere destinate ad «abbagliare gli occhi dei popoli», 
producono e fanno accettare alla loro audience l'immagine del monarca come capo 
legittimo, possente e benefico. Ciò è fondamentale per ottenere una piena 
legittimazione del potere:  
 
Per quanto riguarda i rapporti interni a un sistema politico, monarchi 
rivestiti, per così dire, di splendore […] attivano nei sudditi una 
volonterosa disposizione a ubbidire, a eseguire coscienziosamente gli 
ordini, in base a un senso di doverosità morale piuttosto che obtorto 
collo, in modo frigido, soltanto per sfuggire alla costrizione
15
.  
 
 
Per tale servigio gli artisti ricevevano in cambio, oltre alle ricompense in danaro, 
un'ambita considerazione sociale, grazie alla loro posizione all'interno di istituzioni 
culturali importanti nonché alla possibilità di frequentare la corte. Le accademie 
possono essere viste dunque simbolicamente come il luogo di scambio di servigi tra 
il potere e la cultura, questo scambio consiste in una legittimazione reciproca: 
 
Ma ovviamente è la fondazione dell'Académie française ad opera di 
Richelieu a stabilire in forma definitiva i riti di passaggio dalla vocazione 
letteraria al riconoscimento di pubblica utilità e all'ingresso in una sorta 
di Parnaso nazionale. Sul palcoscenico della corte, e secondo un'etichetta 
che andrà precisandosi poco a poco, si crea un monte Elicona dove ai 
letterati è riservato un posto che dà diritto, insieme agli onori della corte, 
a partecipare dell'immortalità e dell'autorità della monarchia. Se non si 
tratta ancora del magistero del genio, è almeno, per la fama letteraria, in 
sé sfuggente e sospetta, uno statuto di legittimità, che le conferisce un 
rango accanto agli uffici e alle cariche dispensate dallo Stato. La fama 
viene così sottratta al capriccio dei mecenati, al favore mutevole del 
pubblico, al pregiudizio che colpisce i professionisti della penna, e che 
non è meno umiliante della maledizione da cui sono colpiti i 
saltimbanchi
16
. 
                                                 
15
 G. Poggi, op. cit., p. 41. 
16
 M. Fumaroli, ibid., p. 53. 
 13
Ribadiamo che di tali privilegi non furono destinatari solo gli scrittori, anche pittori, 
scultori e architetti (attraverso l'Académie royale de peinture, i suoi Prix de Rome e il 
suo Salon), attori e commediografi (attraverso la Comédie française), matematici, 
astronomi e fisici (attraverso l'Académie des Sciences). 
 
Questo delicato equilibrio di poteri fu poi davvero spazzato via totalmente 
dalla Rivoluzione? L'attuale «Stato culturale» non ha più nulla in comune con quello 
formatosi al tempo di Luigi XIV? Si può parlare di una certa continuità da allora a 
oggi?