INTRODUZIONE
Il deserto dei tartari, celebre romanzo del bellunese Dino Buzzati, oggigiorno potrebbe
essere considerato una valida metafora della situazione della formazione musicale in Italia:
abbiamo tanti piccoli allievi musicisti Drogo seriamente impegnati in un ‘addestramento’, svolto
in un contesto isolato dal resto del mondo ed in vista di una battaglia che, quando avviene,
spesso li coglie impreparati perché nelle fasi dell’apprendimento è mancata una corrispondenza
concreta con il contesto reale della disciplina.
Fuori dalla fortezza, costituita dalle sedi di formazione musicale, abbiamo alunni della
scuola pubblica che vivono in un deserto arido in cui troppo spesso la musica è vista come una
materia che costituisce un’ora di ricreazione aggiuntiva. Contro questa visione, diffusa nella
popolazione, non c’è un’opposizione istituzionale o professionale forte, ma piuttosto insegnanti
troppo spesso impreparati nella materia ed istituzioni che puntano a riformare le fasi finali
dell’Alta Formazione Musicale senza considerare il problema della formazione musicale di base,
ad esempio creando dei corsi seri di formazione musicale, o quantomeno di avvicinamento alla
musica, all’interno delle fasce scolastiche primarie.
La moderna pedagogia sostiene che la formazione musicale di base dovrebbe avvenire in
modo analogo all’apprendimento della lingua materna e quindi, parafrasando Zoltan Kodaly,
dovrebbe avvenire attraverso la precedente formazione della madre e con un uso giornaliero del
‘linguaggio’ musicale, senza il quale il grado di formazione dell’allievo non può che essere, in
alcuni ambiti, lacunoso.
Preso atto di questo panorama, nelle pagine seguenti ho cercato di analizzare, dal punto di vista
storico, la formazione musicale e quella strumentale che, fino almeno alla fine del XVII secolo,
coincidevano in un unico intento: formare le persone contemporaneamente al canto e
all’esecuzione strumentale.
La tesi in sé, dunque, propone la didattica ‘antica’ della musica come una risorsa da cui
attingere per la formazione strumentale e musicale ai giorni nostri, tanto più che, almeno nei
propositi ed in buona parte dei contenuti, essa non differisce molto dalla didattica ‘moderna’.
Il mio lavoro inizia, nel primo paragrafo, con una dissertazione del contesto culturale in cui
si praticavano vari tipi di eventi musicali nel rinascimento, in particolar modo con riferimento
alle corti italiane, da cui si può comprendere quale fosse il ruolo della musica all’interno del
contesto culturale e, di conseguenza, quali fossero gli obbiettivi formativi della pedagogia
musicale riferiti al contesto sociale. Questa dissertazione inizia con un accenno al Cortegiano di
3
Baldesar Castiglione, testo che fu considerato all’epoca come una sorta di galateo dell’uomo e
della donna di corte e che dettò i vari codici etici e morali della figura nobiliare e cortigiana,
descrivendo sostanzialmente quale fosse la scala dei valori della società cui si riferiva.
Il secondo paragrafo invece descrive il percorso didattico che rendeva possibile una
formazione adeguata a tali valori e come queste tecniche siano state riprese e riadattate nelle
tendenze pedagogiche degli ultimi decenni.
Sullo sfondo di questi primi paragrafi, attraverso alcune citazioni dall’Emilio di Rousseau,
ho sottolineato ulteriormente come questi approcci didattici, che la musica utilizzava nel ’500,
fossero un’anticipazione di un pensiero pedagogico più recente e senz’altro, per molti versi,
ancora attuale.
Il terzo, ed ultimo paragrafo del primo capitolo, si propone di analizzare il decreto che ha
ricondotto ad ordinamento l’indirizzo musicale nella scuola media con riferimento al tipo di
approccio didattico qui proposto. Nel farlo mi sono proposto di tracciare un parallelo, che pare
una continuità, tra quanto richiesto alla formazione musicale antica dalla società coeva e quanto
richiesto all’educazione strumentale e musicale dalla nostra società attraverso il decreto.
Nel secondo capitolo di questa tesi ho voluto analizzare la didattica strumentale
settecentesca attraverso quelle che sono le sue due maggiori componenti: il fattore estetico ed il
fattore tecnico. Queste due componenti spesso sono confuse insieme a tal punto che è difficile
identificare quale sia il mezzo e quale il fine, cosa che, da un punto di vista didattico, rende
possibili strategie altrimenti impossibili secondo le quali un fenomeno può essere spiegato sia
come procedimento operativo che come risultato sonoro.
La componente estetica viene trattata nel primo paragrafo attraverso il famoso Saggio su di
un metodo per suonare il flauto traverso di Quantz; opera che oggi è considerata un testo
fondamentale per comprendere la musica barocca nelle sue componenti estetiche, mentre al
momento in cui fu data alle stampe era un trattato didattico completo che si rivolgeva a tutti i
musicisti, non solo al flautista, proponendosi di educarli al corretto modo di interpretare la
musica del periodo.
Nel secondo paragrafo tratto un’applicazione più pratica degli stessi concetti attraverso le
opere didattiche di Geminiani. Queste opere, che ho trovato abbastanza complesse
nell’interpretare l’intento educativo da parte dell’autore, costituiscono un ottimo esempio pratico
di applicazione degli schemi estetici alla partitura. Il paragrafo trova un suo ‘coronamento’
attraverso la dissertazione finale sull’opera didattica più incisiva di Geminiani: L’Arte di
Suonare il Violino, uno dei primissimi esempi di trattato dedicato esplicitamente all’educazione
del violinista e pubblicato nel 1751.
4
Di undici anni più giovane il soggetto dell’ultimo paragrafo del secondo capitolo: la
Scuola di violino di Leopold Mozart. Questo trattato, completo ed esauriente, si proponeva
d’istruire il violinista sia dal punto di vista tecnico che da quello teorico ed estetico musicale,
anche se per ottenere il suo scopo Mozart privilegiò la tecnica al ‘gusto’, andando in
controtendenza rispetto ai suoi contemporanei. Per questo motivo costituisce un’ottima
conclusione alla parte teorica della mia tesi, rappresentando una sorta di ponte che avvicina la
prevalenza estetica nella didattica dell’antichità all’egemonia tecnica in quella della modernità.
Il terzo capitolo consiste nella descrizione delle fasi e del contesto in cui ho svolto il mio
progetto di tirocinio.
Per la realizzazione del progetto ho dovuto restringere di molto il campo d’azione in
quanto si sono dovute superare delle problematiche organizzative legate alla disponibilità degli
alunni nella scuola accogliente ed al calendario dei corsi che dovevo svolgere, riducendo il
tempo utile alle ultime due settimane di scuola prima della pausa estiva. Per questi motivi il
progetto si è rivolto ad alunni di classe seconda, che dunque avevano già risolto alcune
problematiche teoriche e tecniche, e si è ridotto allo studio della cavata del suono sul violino
considerata come l’aspetto più caratteristico dell’approccio didattico proposto in questa tesi dal
punto di vista strumentale ed estetico del periodo barocco. La messa di voce, infatti, è una
caratteristica estetica peculiare della musica antica che deriva dall’imitazione della tecnica
vocale, prerogativa iniziale della musica strumentale, e costituisce altresì un ottimo esercizio
tecnico per l’arco. Dalla sua duplice valenza, tecnica ed estetica, costituisce dunque elemento
emblematico di quel processo di confusione tra risultato estetico e tecnica necessaria per la sua
realizzazione che caratterizzava i processi didattici antichi della musica.
Per ottimizzare ulteriormente i tempi a disposizione ho ritenuto opportuno dividere il
lavoro tra un approccio più tecnico, sulla falsariga del trattato di Mozart, ed uno più estetico
rendendo così necessario anche un chiarimento terminologico: ho definito ‘messa di voce’ un
procedimento finalizzato all’acquisizione di nuove tecniche dell’arco concentrando l’allievo sul
risultato, mentre ho definito ‘cavata del suono’ lo stesso procedimento applicato al contrario,
ossia un procedimento più tecnico attraverso il quale si ottiene un risultato e nel quale la priorità
è risolvere una problematica operativa della tecnica dell’arco.
Ambedue i percorsi hanno tenuto conto dell’aspetto stilistico barocco costituendo, seppur
indirettamente, una prima esperienza basilare di prassi esecutiva su strumenti moderni attraverso
la quale gli alunni hanno avuto modo di sviluppare alcune competenze che hanno poi permesso
loro di risolvere alcune problematiche tecniche inerenti ad alcuni materiali di studio.
Il materiale che ho adottato per quest’esperienza è stato un semplice duetto di Leopold
5
Mozart tratto dalla Scuola di Violino, ripristinando così anche il duetto come materiale idoneo
all’apprendimento dell’allievo.
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CAPITOLO 1.
LA MUSICA NELLA FORMAZIONE DELLA PERSONA TRA I
‘SEMINARIA NOBILIUM’ E LA SCUOLA MEDIA AD INDIRIZZO
MUSICALE
1.1 La musica nell’educazione delle corti di Ancient Regime
In seguito alla pubblicazione del Cortegiano di Baldesar Castiglione, la vita di corte
dovette regolarsi secondo i codici etici in esso contenuti che dichiaravano quali fossero i
comportamenti consoni ad uno stile di vita ritenuto ‘cortese’: nobili e cortigiani dovettero quindi
adottare stili di vita particolari, approfondire le proprie conoscenze e scandire i periodi della
giornata con rituali che identificavano e rendevano identificabile la nobiltà che li osservava
1
.
Un buon cortigiano doveva avere una vasta cultura, doveva essere abile nel parlare in
modo forbito, doveva essere competente nelle scienze del trivio e del quadrivio e doveva essere
buon musicista. L’assenza di una buona cultura musicale era ritenuta sintomo di rozzezza
intellettuale.
In particolar modo il cortigiano doveva essere in grado di cantare preferibilmente da solo,
ma non era sconveniente neppure la presenza di un accompagnamento con strumenti quali le
viole, o strumenti a tastiera in modo tale da enfatizzare il contenuto del testo, creando una sorta
di rappresentazione scenica del testo cantato.
D’altro canto il nobile doveva anch’esso avere una cultura ed una familiarità con la materia
tale da poter comprendere a fondo la qualità della rappresentazione e, all’occorrenza, poterla
criticare.
All’interno della corte la musica poteva essere presente in vari momenti scandendo le varie
fasi della giornata, e nelle più svariate occasioni quali, ad esempio, i pasti o i momenti ricreativi,
i momenti di preludio a discussioni di natura politica o culturale o addirittura per allietare il
trapasso dell’anziano nobile.
A seconda dell’occasione, pubblica o privata, il nobile poteva prendere parte in prima
persona all’esecuzione musicale oppure poteva assistervi. Nel caso delle esecuzioni pubbliche il
1 Il Cortegiano, opera di quattro libri terminata nel 1581, è motivo della fama del suo autore ed incarna
l’immagine ideale dell’uomo aristocratico del suo tempo che doveva essere dotato di valori quali generosità,
cultura superiore, intelligenza e saggezza, che uniti agli ideali di equilibrio, grazia ed elevazione spirituale,
configurò il perfetto uomo di corte rinascimentale.
Seppur parzialmente in contrasto con la spregiudicatezza politica coeva, sancita dal Principe di Machiavelli, il
Cortegiano venne accettato, dalla società del tempo, come esempio di uomo di corte da seguire ed emulare.
Cfr. Mario PAZZAGLIA, Dalle origini alla fine del cinquecento, Zanichelli, Pioltello (MI) 2000 (Gli autori della
letteratura italiana), p. RI16.
7
nobile si doveva astenere dal suonare alcun strumento per non dare l’impressione di fare della
musica una professione, circostanza che l’avrebbe declassato alla stregua di un cortigiano. In un
contesto più intimo e alla presenza di una cerchia ristretta di persone selezionate, invece, il
nobile poteva dare sfogo alla sua perizia strumentale e poteva suonare anche insieme a
professionisti della musica ritenuti degni
2
.
Un altro esempio di esecuzione riservata è quella che aveva luogo in preludio ad una
discussione aulica, che avveniva in un luogo appartato alla presenza di altri nobili
3
.
L’alternanza tra musica eseguita in pubblico e musica eseguita in privato, scandiva lo
scorrere del tempo all’interno della corte, fungendo da intermezzo tra un’attività e l’altra.
La pratica musicale del nobile però non doveva in alcun modo essere prevalente sulle altre
attività e non doveva occupare periodi di tempo eccessivi.
La musica aveva particolare importanza nei momenti di inattività durante i quali il nobile si
ritirava nelle proprie stanze e poteva ristorare la propria mente suonando uno o più strumenti.
Secondo la mentalità dell’epoca, infatti, solamente attraverso l’ozio si poteva raggiungere la
felicità ambita dall’intero consesso umano e la corte costituiva luogo eccellente per il
raggiungimento di tale condizione attraverso gli svaghi, ritenuti moralmente elevati, offerti dalle
materie letterarie e musicali
4
. Tali attività erano auspicate nel codice di comportamento del
2 Come testimoniano svariate dediche di compositori ai loro Signori cui attribuiscono anche alcuni meriti della
genesi dell’opera. Secondo costoro, in molti casi è lo stesso nobile ad aver richiesto la presenza del musicista in
contesti privati, oppure addirittura ad essersi recato a casa loro.
Cfr.: Stefano LORENZETTI, Musica ed identità nobiliare nell’Italia del Rinascimento. Educazione, mentalità,
immaginario, Leo S. Olschki, Firenze 2003, pp. 190-198.
3 Questo aspetto è testimoniato dal Perfetto ritratto dell’huomo formato dalla man di Dio di Giovanni Pascoli nel
quale, alla terza giornata, descrive come il principe faccia accomodare «l’alta compagnia» di sei nobili nella
«stanza consueta» adibita alle discussioni in cui eseguirono con le viole il mottetto Magnus Dominus al termine
del quale cominciarono a discutere del «sommo Dio».
Cfr.: Ivi, p. 174.
Esempio suggestivo di uno dei luoghi in cui probabilmente avvenivano incontri di tal levatura ci è offerto dallo
studiolo del palazzo ducale di Urbino, luogo in cui, tra le altre cose, è ambientato il Cortegiano (lo studiolo fu
probabilmente completato nel 1476, mentre le vicende del Cortegiano sono ambientate a corte nell’estate del
1507). Lo studiolo è uno dei tanti che sorsero nei palazzi nobiliari italiani a ridosso del ’500, non raggiunge
nemmeno i sedici metri quadrati di superficie, è poco illuminato ed è interamente decorato da tarsie lignee che ne
addobbano le pareti. Le raffigurazioni rappresentano le effigi di vari pensatori antichi e moderni, svariati simboli
del potere e dei riconoscimenti concessi al duca Federico, svariati libri ed oggetti riconducibili alle discipline del
sapere, una loggia rappresentante il suo regno e svariati codici e strumenti musicali tra cui: un organo portativo,
alcuni flauti, alcuni liuti ed una lira da braccio.
Uno dei codici musicali, situato sulle tarsie della parete nord, è aperto e regge l’insegna della Giarrettiera,
massimo ordine inglese che venne conferito a Federico nel 1474 per valori e qualità morali.
L’ambiente è sicuramente intimo e raccolto, ed è adiacente al salone delle udienze da cui vi si accede.
Le tarsie rappresentano allegoricamente la personalità del duca e la sua versatilità nelle varie branche
scientifiche, ne testimoniano l’importanza e costituiscono il contesto entro il quale il duca si ritirava ad
approfondire la propria conoscenza.
Cfr.: Pier Luigi BAGATIN, Le tarsie dello studiolo di Urbino, Edizioni LINT Trieste, Pordenone 1993, pp. 7-16,
25-32.
La presenza così abbondante di strumenti ed altri elementi musicali non credo sia casuale; al contrario credo che
testimoni in qual misura la disciplina musicale fosse considerata alla corte di Montefeltro.
4 Secondo Aristotele l’ozio era segno distintivo dell’uomo libero essendo prerogativa di quest’ultimo avere i mezzi
8
nobile, in quanto si riteneva che la musica avesse la proprietà di rigenerare le menti affaticate e
di fungere da sfogo per le condizioni di stress procurate da una vita di impegni professionali,
garantendo in tal modo un buon equilibrio psicofisico a coloro i quali erano nella condizione
privilegiata di prendere parte agli svaghi
5
. Si riteneva però che l’abuso della pratica musicale
invece di rinvigorire l’animo potesse indebolirlo ed effeminarlo: siccome il potere seduttivo della
musica non è inferiore a quello catartico, per evitare controindicazioni, si doveva ricorrere alle
proprietà della musica nella giusta misura che dipendeva anche dall’età del nobile.
In particolar modo, ed in misura maggiore, l’uso della musica era gradito nei momenti di
riposo e di inquietudine dei giovani nobili per alleviare e sfogare i disagi e le pulsioni
caratteristiche dell’adolescenza
6
. Per questo motivo con l’avanzare dell’età del nobile, la quantità
di tempo dedicata agli intrattenimenti musicali era destinata a diminuire.
Il nobile doveva dunque avere una buona educazione, anche musicale.
Luoghi preposti alla formazione del giovane nobile erano i collegi in cui la pratica
musicale trovava ampio spazio come attività propedeutica necessaria allo stile di vita sociale cui
per usufruire di tempo per oziare e quindi rigenerarsi dalle fatiche, ma l’esigenza di svago non è prerogativa del
solo uomo libero. Nell’ozio quindi il nobile poteva ristorarsi dalle fatiche al fine di riprenderle successivamente
con maggiore concentrazione e, allo stesso tempo, si identificava in una condizione di privilegio, radicata sin
dalla cultura classica, che lo distingueva come nobile.
Cfr.: Stefano LORENZETTI, op. cit., p. 225.
5 Sarebbe troppo prolisso fare in questa sede una dissertazione esauriente sulle qualità più o meno benevole
attribuite alla musica. Nonostante ciò credo sia utile sinteticamente accennare al suo essere rappresentativo-
metaforico che le conferiva, da solo, un enorme potere: il solo concetto di armonia musicale poteva essere
traslato, attraverso la rappresentazione metaforica, nel concetto di armonia del creato, nel concetto di amicizia e
quindi di armonia tra individui, oppure nel concetto di armonia interiore come nel nostro caso.
6 Nel libro De Regimine principium di Egidio Colonna, scritto alla fine del Duecento per l’educazione del futuro
re di Francia Filippo il Bello, richiamando la filosofia aristotelica, si nota come la musica fosse una materia
particolarmente adatta ai giovani nobili:
«La quarta scienza liberale è la musica. Questa, secondo l’ottavo libro della Politica d’Aristotele, conviene ai
giovani, e massimamente ai figli dei liberi e dei nobili, per molte ragioni. Delle quali questa è la prima: poiché i
fanciulli non possono sostenere nessuna tristezza, è opportuno concedere loro qualche diletto, perciò è giusto
indirizzarli ad innocui trastulli. Per la qual cosa (secondo lo stesso filosofo), la musica è conforme alla natura dei
giovani che si dilettano innocentemente. La seconda cosa è la seguente: poiché la mente umana non sa stare in
ozio è buona cosa inserire, di tanto in tanto, durante il riposo, dei musicali diletti che sono leciti e innocui. Ciò è
particolarmente conveniente ai figli dei liberi e dei nobili, i quali, non essendo concesso loro di esercitare le arti
meccaniche, rimarrebbero oziosi se non studiassero le lettere e non inframezzassero gli studi con i diletti
musicali che sono leciti e onesti».
Sta in: Stefano LORENZETTI, op. Cit., p. 52.
Nel 1542 S. Fausto Da Longiano, in Dell’instruire un figlio d’un Principe dai 10 infino agli anni della
discrezione, ci dimostra come il pensiero aristotelico persistesse e ci mette in guardia sulle conseguenze di un
uso spropositato della pratica musicale:
«Non lasseremo di ricordare circa la musica, che come in etade più adulta si biasima in un principe: così
ne’fanciulli si loda: per questa sola ragione, che viene à rallegrar i spiriti turbati, a destare i sonnolenti, à
rinfrescare gl’indeboliti per studio o per altro travaglio di mente. Pure devesi ricordargli spesso: quanto ella sia
potente ad infeminire ogn’animo quantunque virile: e che assai fia ad un principe, se tempo gli avanza tal’hora
d’ascoltare suoni, o canti […]. E perché non s’avvezi in più perfetta etade à dispensare tutte l’hore in così fatto
esercitio […]».
Sta in: Ivi, p. 231.
9
i rampolli nobili si sarebbero dovuti adeguare una volta cresciuti
7
.
In tal contesto la pratica vocale e strumentale, del disegno e delle ‘arti cavalleresche’
trovavano ampio spazio nell’offerta formativa opzionale dei collegi, al fine di elevare
maggiormente ed istruire adeguatamente gli alunni al contesto sociale elitario cui appartenevano.
La pratica di queste materie opzionali veniva effettuata nei momenti di riposo in cui gli
alunni non erano impegnati in altre attività di studio regolare, essendo considerate esse stesse
attività di tipo ricreativo. Nei Capitoli dell’Accademia degli Ardenti di Bologna del 1695 venne
chiaramente espressa la finalità ornamentale «dello spirito cavalleresco» delle materie in
questione, e come l’apprendimento di tali «ornamenti» avvenisse in modo da non pregiudicare lo
«Studio» e la «spesa»
8
.
In tal modo il tempo trascorso all’interno del collegio veniva riempito completamente, ed i
giovani convittori consideravano motivo di vanto scegliere tante attività opzionali quante
potessero sopportarne
9
.
7 Questo aspetto è anche indice del tipo di pedagogia adottata in queste istituzioni.
Ad esse probabilmente si riferiva Rousseau nell’Emilio quando criticava quel tipo di pedagogia troppo
preoccupata di formare il fanciullo per il suo futuro: «Che il fanciullo non faccia niente perché gli si dice: niente
è bene per lui se non ciò che egli sente esser tale. Nell’obbligarlo sempre a procedere avanti verso mete fuori
dalla sua vista, voi credete di usare la previdenza e invece ne mancate. Per armarlo di qualche vano strumento di
cui forse non farà mai uso, gli togliete lo strumento più universale dell’uomo, che è il buon senso, lo abituate a
lasciarsi sempre guidare, a non essere altro che una macchina in mani altrui. V oi volete che sia docile quando è
piccolo: significa volere che sia credulone e stupido da grande» e di seguito aggiunge: «Occorre che un uomo
sappia molte cose di cui un bambino non saprebbe comprendere l’utilità: ma bisogna ed è possibile che un
bambino impari tutto ciò che importa a un uomo di sapere? Cercate di insegnare al fanciullo tutto ciò che è utile
alla sua età, e vedrete che tutto il suo tempo sarà più che riempito. […] Un bambino sa che è fatto per diventare
uomo, tutte le idee che può avere dello stato d’uomo costituiscono occasioni d’istruzione per lui; ma circa le idee
relative a questo stato che non sono a sua portata, deve restare in un’ignoranza assoluta.
Tutto il mio libro non è che una prova continua di questo principio d’educazione».
Sta in: Jean Jacques ROUSSEAU, Emilio, Editori Laterza, Bari 2008, pp. 152-153.
8 «La coltura dello spirito cavalleresco ha nell’Accademia tutto quel beninteso possa immaginarsi per
compitamente adornarlo. La Scherma, il Ballo, il Dissegno, gli Essercizi di Cavalletto, di Bandiera, di Picca tutti
hanno à vicenda i loro giorni distribuiti. Il Maneggio de’Cavalli per i più grandi, oltre le lezioni arbitrarie di
Suono, di Lingua Francese, di Geografia, di Pittura, & altro, non pregiudicando alcuno di questi impieghi allo
Studio, per essere compartiti in hore di ricreatione, & in giorni Festivi. V’è un maestro che insegna a scrivere, un
altro aritmetica, e tutti questi Cavallereschi ornamenti si hanno, parte dall’Accademia e parte dal proprio genio
con vantaggio di spesa».
Citazione del Ristretto et informazione de’requisiti e cose più necessarie a Giovani Cavalieri nel loro ingresso in
Accademia de’Signori Ardenti di Bologna.
Sta in: art. di Stefano LORENZETTI, “Per animare agli esercizi nobili”. Esperienza musicale e identità nobiliare
nei collegi di educazione, «Quaderni storici», XXXII (1997), Il Mulino, Bologna, vol. 95, pp. 435-460 (versione
pdf acquistato online il 12 novembre 2009 scaricato da:
http//www.mulino.it/rivisteweb/download/cfd65511d660bb6f35d9faf34923ab5f/05954_5.pdf), pp. 437-438.
9 Anche a proposito dei tempi ricreativi utilizzati in tal maniera Rousseau si pronunciò implicitamente
negativamente dando una grande importanza alle attività ludiche del fanciullo:
«[...] Vi allarmate vedendolo [il fanciullo] consumare i suoi primi anni a non far niente. Come! Non è niente
esser felice? Non è niente saltare, giocare, correre tutta la giornata? In tutta la sua vita non sarà così occupato.
Platone nella sua Repubblica, che si crede così austera, non educa i bimbi che a mezzo di feste, giochi, canzoni,
passatempi; si direbbe che egli ha fatto tutto, quando ha loro insegnato bene a divertirsi; e Seneca, parlando
dell’antica giovinezza romana: essa era, dice, sempre in piedi; non le si insegnava nulla che dovesse apprendere
seduta. [...]».
Sta in: J.J. ROUSSEAU, op. cit., p. 114.
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