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                                          INTRODUZIONE 
 
 
Con il presente lavoro mi propongo di offrire un’analisi del periodo della tratta degli schiavi 
africani verso il Nuovo Mondo, avvenuto tra XVI e il XIX secolo, e delle relative 
conseguenze.  
      Partendo da un’attenta disamina del Middle Passage
1
, tenterò di valorizzare il ruolo 
importante che hanno svolto le navi negriere nella diaspora africana e nella creazione di 
nuove forme di ibridazione culturale. Queste culture ibride, sopravvissute fino ad oggi, sono 
la fusione di elementi caratteristici provenienti dalle diverse culture, mescolate con quella 
degli schiavi della tratta africana. Infine tenterò di riallacciare il concetto della mescolanza 
culturale del Middle Passage con la teoria molto attuale del Black Atlantic
2
. 
      Black Atlantic e Black Mediterranean
3
 sono le metafore scelte nella presente ricerca, al 
fine di ricostruire un tema assai tristemente noto alla Storia moderna europea, come la tratta 
degli schiavi tra il XVI e il XIX secolo, quel fiorente mercato di esseri umani considerati 
merci, secondo una non condivisibile logica di conquista e profitto di quei paesi occidentali 
che avviavano, allora, il processo di colonizzazione dei territori aldilà dell’oceano. 
Si tratta di due prospettive coeve di lettura di uno stesso evento, replicato a distanza di 
secoli, che si perpetua, con altri protagonisti di diversa provenienza, in un comune spazio 
geo-antropologico e culturale qual è l’Africa: il “Mediterraneo Nero” dei flussi migratori 
nella postmodernità, analizzato da Alessandra Di Maio e Iain Chambers tra gli altri, e 
 
1
 Con tale termine si identifica il tratto intermedio del viaggio che le navi compivano dopo essere partite 
dall'Europa verso l’Africa con prodotti commerciali, prodotti che servivano come merce di scambio per 
l'acquisto degli schiavi in Africa da traghettare nelle Americhe. 
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   Il concetto di diaspora africana per Paul Gilroy è una dispersione di popoli che va oltre i confini nazionali e 
delinea uno spazio culturale-politico, che non è specificamente africano, americano, caraibico o britannico, 
bensì una formazione culturale ibrida. 
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  Ibridazione culturale degli emigrati dell’età contemporanea che attraversano in nave il Mar Mediterraneo, 
sulla scorta della navigazione “storica” sulle medesime rotte e degli scambi culturali da esse ingenerate.
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l’“Atlantico Nero”, secondo l’approccio di un cultural critic, Paul Gilroy, lo schiavismo del 
Sei-Settecento nelle acque dell’Atlantico. 
      Il Middle Passage e, insieme il “Triangular Trade”, riconducono a un circuito di viaggio 
senza ritorno, che iniziava in Europa verso l’Africa, poi da qui verso la terra degli Indios, le 
Americhe, e di nuovo verso l’Europa, quando le stive delle navi che avevano trasportato gli 
schiavi si erano riempite di prodotti “coloniali” che avrebbero arricchito in oltremodo i 
finanziatori e, sostiene Gilroy, avrebbero fatto “moderna” l’Europa. È l’intreccio storico per 
cui, in un tempo non troppo lontano, Cristoforo Colombo e altri esploratori e viaggiatori 
coevi entrarono a far parte di una narrazione di luoghi e imprese finanziate dalle più grandi 
potenze europee.  
      Ma questo Mediterraneo che guardava all’Atlantico stava per aprire uno scenario nuovo, 
inaugurando non un semplice mercato, bensì una vera e propria economia coloniale, le cui 
politiche governative agivano sulla base di motivazioni irrazionali, tra cui le pericolose idee 
di una presunta superiorità della razza. Spagna, Francia, Inghilterra e Paesi Bassi stavano 
costruendo gli antefatti di un imperialismo che non conoscerà più fine, neppure nella 
postmoderna società della differenza. Dal Cinquecento al Settecento si sarebbe verificata la 
deportazione di popoli di diverse etnie, come gli africani in America, e il parallelo sterminio 
degli Indios. 
      È questo circolo perverso, descritto nel primo capitolo, caratterizzato da ricchezza - 
negazione della dignità umana / prepotente imperialismo - privazione dei diritti, a celarsi 
dietro una tragedia umana che si è consumata per secoli sulle navi negriere del Middle 
Passage, in movimento per la durata di circa sei mesi, almeno fino a prima che le scoperte e 
invenzioni applicate alla tecnologia industriale del Settecento mutassero, in parte, le 
condizioni dei trasporti e dei viaggi sia sulla terraferma sia in mare. 
Una giornata trascorsa dagli schiavi tra percosse, violenze, sopraffazioni, torture, 
insomma un crescendo di dolore e morte, senza distinzione di età e sesso, in assenza di igiene 
e cure: schiavi che avrebbero poi perduto le poche energie residue in lavori disumani. Azioni 
efferate venivano compiute contro esseri deboli e donne in gravidanza, secondo la realistica 
testimonianza di, Equiano e Cugoano, due tra gli ex schiavi più noti per averci lasciato i loro
7 
 
frammenti personali di “autobiografie dell’Atlantico nero”
4
. 
Una prima vera ricostruzione documentaria delle navi negriere basata su fonti è quella 
elaborata da Marcus Rediker. Essa prende in esame appunti di viaggio e diari di bordo scritti 
per mano di capitani e marinai, sulla base di referti medici che accompagnavano il viaggio 
per controllare le condizioni sanitarie e ambientali, non certo per rispetto della salute di 
uomini considerati bestie. 
      Da un punto di vista socio-antropologico, iniziò ad affermarsi una coscienza culturale   
proprio intorno ai primi decenni del XX secolo, orientata alla  rilettura dei significati e 
connotazioni  di ciò  che questo traffico umano significò per  popolazioni afroamericane 
delle generazioni successive, dalla sfera politica, a quella artistica, e religiosa, passando 
attraverso il più efficace  veicolo dei mutamenti socioculturali: la lingua, anzi, le “lingue”, 
nate dalle contaminazioni dei diversi idiomi.  
      Nel secondo capitolo si è investigato come proprio in quel contesto storico-culturale in 
cui le popolazioni africane iniziavano, a seguito dell’abolizione della tratta, ad acquistare  
consapevolezza, il Middle Passage si sviluppò come genere letterario. Le popolazioni 
africane deportate avviarono un percorso di ricerca delle proprie radici, di recupero 
dell’originaria singolarità identitaria, lacerata dalla necessità di coesistenza con altre etnie. 
Tale recupero avvenne, come suggerisce Paul Gilroy, non attraverso l’oblio della memoria, 
bensì con il recupero della stessa, elaborato attraverso un processo di “rememory”, una 
“doppia coscienza”. Sulle orme dell’interpretazione di W.E.B: DuBois,  essa diventa il punto 
di forza della liberazione dalla vera schiavitù socio-culturale dei neri, come anche delle 
popolazioni indigene d’America: occorre leggere l’unità del molteplice come ricchezza e 
non come qualche forma di perdita. 
      In conclusione, nel terzo capitolo si è analizzato il concetto che una nuova koinè 
linguistica afro-americana si è sviluppata proprio intorno all’interazione  sulla nave negriera, 
come superamento della differenza, per dare vita a forme di meticciato culturale, generative 
di ibridazioni di stili cognitivi e di pratiche di vita nuove, grazie a un pluralismo espressivo-
linguistico che sopravviveva sulle navi e nelle piantagioni, pur se vissute come spazi di vita-
 
4
 Si tratta di autobiografie di ex schiavi ed ex schiave che attraversarono l’Oceano  Atlantico  nel periodo 
della tratta. In esse gli autori narrano  la loro esperienza  da schiavi durante il Middle Passage; fra queste 
possiamo ricordare le autobiografie di  Equiano Olaudad e Cugoano Ottobah.
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morte. In questi luoghi in cui il Portoghese veniva adottato come codice linguistico comune, 
imposto dai colonizzatori per fini comunicativi, altri codici autoctoni sopravvivevano, grazie 
ai quali ha preso corpo la cultura afroamericana.   
 
 
 
 
 
                                           CAPITOLO PRIMO   
 
IL MIDDLE PASSAGE: IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI E LA 
DEPORTAZIONE DEGLI SCHIAVI YORUBA 
 
 
1. 1  Il Middle Passage e il contesto storico-sociale della “tratta degli 
schiavi” 
 
     Il “Middle Passage” (letteralmente passaggio di mezzo) è il tratto intermedio del viaggio 
che le navi negriere compivano, tra il XVI e il XIX secolo, dall'Europa verso l’Africa, da qui 
alle Americhe, e ritorno, comunemente indicato come “The Triangular Trade”.  
Il periodo della tratta degli schiavi coincide con quello cosidetto post-coloniale europeo, 
cominciato nel XVI secolo e conclusosi, nella seconda metà del XX, con l’affermazione 
dei movimenti anti-colonialisti contro il dominio di alcuni Paesi europei sui territori 
extraeuropee. 
      Le navi partivano dall’Europa cariche di prodotti commerciali, come stoffe, liquori, 
tabacco, pietre preziose, armi da fuoco, per fare scalo in Africa, ove i prodotti venivano 
venduti in cambio degli schiavi; dall’Africa, le navi ripartivano per deportare gli schiavi 
nelle Americhe, quindi approdare definitivamente in Europa con le materie prime, chiudendo 
così il “triangolo”.  
Le potenze europee come Portogallo, Regno Unito, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Danimarca,
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Svezia e il Brandeburgo, così come i mercanti provenienti dal Brasile e dal Nord America, 
presero parte a questo infame scambio di merci e persone. 
      Nella tratta degli schiavi, le coste centrali dell'Africa – in qualche modo più vicine alle 
Americhe – furono quelle maggiormente coinvolte; si tratta di aree che identifichiamo con 
gli stati odierni quali, Senegal, Gambia, Benin, Sudan Occidentale, Costa d'Oro (Ghana), 
Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria. Al contrario, le regioni situate nel cuore del 
continente africano, cioè Uganda, Rwanda e Burundi, così come le regioni a oriente del 
Camerun e del Sudafrica, non vennero in alcun modo toccate dal fenomeno
5
.  
       Nel tratto intermedio del Middle Passage, cioè nella traversata vera e propria dall’Africa 
alle Americhe, il viaggio poteva durare da uno a sei mesi, in relazione alle condizioni 
climatiche. Nel corso dei secoli, i tempi e l’organizzazione del viaggio migliorarono, 
soprattutto, grazie alle innovazioni tecnologiche che determinarono una notevole riduzione 
dei tempi del viaggio stesso: difatti, se nel corso del XVI secolo, si impiegava quasi un anno 
per arrivare nel Nuovo Mondo, nel XIX, il viaggio durava meno di sei mesi
6
. 
      Il motivo di questa evoluzione organizzativa era la continua richiesta di manodopera dal 
Nuovo Mondo, da utilizzare nelle piantagioni, la cui la raccolta di cotone, gomma, zucchero 
di canna, tabacco, riso, indaco per l’esportazione era divenuta una delle attività più redditizie 
del XVIII secolo. Gli schiavisti, per aumentare i propri profitti, aumentarono la quantità delle 
merci e degli schiavi da trasportare e resero più veloci le navi. Il sovraffollamento delle navi 
causava, però, l’aumento del contagio e la diffusione rapida di malattie tra gli schiavi, 
patologie, queste, che se  mal curate portavano alla morte. Tuttavia, era necessario far 
arrivare gli schiavi sani e salvi nel Nuovo Mondo: essi rappresentavano la nuova fonte, 
gomma,di ricchezza di una utilitaristica e inumana politica economica degli stati europei e 
dei commercianti, favorita, proprio nel Settecento, dagli esiti delle scoperte scientifiche 
sperimentate nella medicina. 
      Durante la traversata, gli schiavi, considerati solo un mezzo attraverso cui procacciare 
affari e conseguire lauti guadagni, erano costretti a subire punizioni e torture, per mano dei  
marinai che qualsiasi strumento, senza distinzione alcuna per donne in gravidanza e bambini: 
le prime non ricevano le cure e  attenzioni di cui avevano bisogno e spesso perdevano i 
nascituri, mentre i loro bambini correvano il rischio di venire uccisi appena nati, o strappati 
 
5
 http://geostoria.weebly.com/la -tratta-degli-schiavi.html ( consultato il 12-07-16).  
6
 Cfr. Marcus Rediker, The Slaves Ship: A Human History, John Murray, London, 2007, pp.41-71.
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all’affetto e cure materne, poiché una schiava gravida o con figli, secondo loro avrebbe 
lavorato meno
7
.  
      Neanche i marinai  avevano vita facile, perché venivano maltrattati dai capitani e dagli 
ufficiali delle navi; infatti, molti erano stati costretti a imbarcarsi per ricatto e mancanza di 
altre prospettive di lavoro, addirittura alcuni erano persino “indentured”, quasi schiavi pure 
loro, mentre altri si trovavano sulla nave contro la loro volontà (in tanti, poi, sapevano della 
tratta degli schiavi e delle navi negriere e ritenevano tali pratiche spregevoli). All’epoca, nei 
porti delle città, tra i proprietari delle taverne e dei locali c’era l’abitudine ad incoraggiare 
gli uomini a ubriacarsi e indebitarsi, costringendoli a firmare contratti di lavoro con le navi 
negriere. Tali contratti erano spesso fondati sul prestito di una somma in cambio del lavoro 
e dello sfruttamento a bordo, pena l’arresto e reclusione, in caso di rifiuto
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. 
Un'altra categoria di marinai era quella degli ex prigionieri, gente che incontrava serie 
difficoltà a trovare lavoro, a reinserirsi nella società a causa dei pregiudizi nei loro confronti. 
Dunque, per molti ex carcerati l’unica strada percorribile per sopravvivere era quella di 
imbarcarsi per lavorare sulle navi negriere. 
     Gli europei trassero dal commercio e dalla colonizzazione del mondo grandi vantaggi 
economici, supportati dall'errata convinzione di essere superiori a ogni altra etnia. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
7
 Cfr. ivi, pp.14-40. 
8
 Cfr. ivi, pp.132-145.