INTRODUZIONE 
 
Il tema della responsabilità “amministrativa” degli enti ha fatto capolino nel nostro 
ordinamento nel 2001, con l’approvazione del decreto legislativo n. 231. L’attesa 
legislazione, che ha importato anche nel nostro Paese un sistema di responsabilità dei 
soggetti collettivi per reati commessi nel loro interesse o vantaggio da soggetti in 
posizione apicale o dipendenti, costituisce un passo in avanti per responsabilizzare le 
imprese e le società, in un contesto economico dove la loro presenza nell’economia è 
sempre più importante.  
Tuttavia una legislazione così inedita nel panorama giuridico, pensata e strutturata 
per colpire direttamente i soggetti collettivi in sé – e non le persone che ne fanno parte 
e ne costituiscono l’ossatura – non poteva che far sorgere dubbi ed aprire dibattiti 
affascinanti.  
Uno dei maggiori problemi di ordine teorico ha riguardato l’esatto inquadramento 
della responsabilità degli enti all’interno della categoria della responsabilità 
amministrativa, penale o di terzo genere.  
È possibile che un soggetto giuridico non umano, come quello collettivo, sia 
chiamato a rispondere di una responsabilità autenticamente penale, oppure l’articolo 
27 della Costituzione rappresenta un ostacolo invalicabile alla configurazione di forme 
di responsabilità penale per soggetti diversi dalle persone fisiche? In poche parole: la 
responsabilità degli enti rappresenta – con un balzo coraggioso e moderno del 
legislatore italiano – un modello veramente penale o si risolve in un’ennesima (ma, a 
differenza della legge n. 689 del 1981, diretta) responsabilità di tipo amministrativo 
degli enti collettivi? La questione, tutta sintetizzata nell’espressivo brocardo – 
considerato fino a qualche decina d’anni fa “aproblematico” – societas delinquere non 
potest, ha coinvolto studiosi del calibro di Franco Bricola, ed ancora oggi è ben lungi 
dall’essere risolta in dottrina e giurisprudenza.  
È bene in via preliminare ricordare che le problematiche di ordine teorico che 
riguardano la natura della responsabilità degli enti non si risolvono affatto in dispute 
dottrinali da relegare fra le questioni di sicuro interesse scientifico, ma sterili dal punto 
di vista pratico ed operativo. Anzi, come verrà ribadito nel corso dello svolgimento, 
dirimere la questione della natura della responsabilità degli enti è di primaria
importanza per comprendere se l’apparato normativo del d.lgs. 231/2001 acceda o 
meno a tutte quelle fondamentali, inalienabili garanzie del processo penale il cui 
rilievo e la cui estensione nel modulo degli enti verrà trattato nella seconda parte dello 
svolgimento.   
Come si vedrà nel corso della tesi, son numerosi gli indicatori che ci permettono di 
desumere che quella delineata dal d.lgs. 231/01 sia una vera e propria responsabilità 
penale, ancorché concentrata su soggetti collettivi e non persone umane. Infatti 
un’interpretazione più moderna – ma non per questo forzata o anti-letterale – dell’art. 
27 della Costituzione può dare ospitalità, nel nostro ordinamento, ad una responsabilità 
penale degli enti, sancendo così una volta per tutte che societas delinquere (et puniri) 
potest.   
La disquisizione circa la natura della responsabilità degli enti e la constatazione che 
i soggetti collettivi possono rispondere di responsabilità penale apre le porte alla 
seconda parte della tesi, nel corso della quale l’attenzione è concentrata soprattutto sui 
diritti dell’ente nel suo processo.  
Una volta riconosciuto che la responsabilità del soggetto collettivo sia d’ordine 
penale, è giocoforza che nel procedimento di accertamento dell’illecito e di 
applicazione della sanzione si ritrovino pienamente espressi tutti i diritti che sono 
riconosciuti all’imputato, grazie anche al richiamo effettuato dall’art. 35 d.lgs. 231/01: 
vale a dire la presunzione di innocenza ed il diritto di difesa. Ciò che potrebbe apparire 
scontato a prima vista, però, risulta ben più problematico nella prassi e conferma 
ancora una volta che ribadire la responsabilità penale dell’ente significa rinforzare le 
garanzie nel suo processo, laddove troppo spesso prevale una visione utilitaristica e 
funzionalistica del protagonista all’interno del procedimento.  
Quei diritti che nel processo penale delle persone fisiche sono considerate pietre 
miliari inscalfibili e frutto dell’evoluzione giuridica e processuale, nel processo de 
societate sono talora sottoposti a deroga o compressi. Occorre capire quando e se detta 
compressione risponda alle differenti esigenze di un imputato diverso dalla persona 
fisica; fino a che punto possa spingersi l’onere di collaborazione da parte dell’ente per 
adeguarsi ad un procedimento dalla spiccata connotazione preventiva anziché punitiva 
e quando invece sia auspicabile un intervento del legislatore per ristabilire l’osservanza 
degli inalienabili diritti dell’imputato nel processo penale, qualunque sia la sua forma.
Verranno presi in considerazione, in particolare, la presunzione di innocenza così 
come sancita all’interno della Costituzione italiana e nelle fonti sovranazionali 
(C.e.d.u. in particolare) e la sua estensione ed operatività all’interno del d.lgs. 231/01. 
Il principio di presunzione di non colpevolezza, inalienabile nel procedimento penale 
moderno nella sua duplice connotazione di regola di trattamento e di giudizio, sarà 
analizzato alla luce dell’attuale inversione dell’onere della prova prevista nell’art. 6 
d.lgs. 231/01, che prevede che spetti all’ente dimostrare una serie di requisiti 
cumulativi per evitare la responsabilità per reati commessi nel suo interesse o 
vantaggio dagli apicali, e si valuterà se sia possibile procedere ad una interpretazione 
costituzionalmente orientata della norma o se sia necessario un intervento del 
legislatore sul punto.  
L’analisi si sposterà poi al peculiare istituto delle condotte riparatorie nel processo 
de societate ed alla loro funzione in un processo dove la prevenzione e la riparazione 
assumono un significato particolare; bisognerà valutare se il sistema delle riparazioni 
di cui all’art. 17 d.lgs. 231/01 e quello della sospensione delle misure cautelari in 
seguito a condotte riparatorie di cui all’art. 49 del decreto siano o meno rispettosi del 
principio della presunzione di innocenza.  
In seguito, sarà necessario analizzare anche l’operatività di un altro fondamentale 
diritto che permea tutto il processo penale: il diritto di difesa dell’imputato. Bisognerà 
valutare la sua estensione in relazione al rappresentante legale ed all’ente non 
costituito in giudizio, per poi soffermarsi sulla controversa e problematica disciplina 
del diritto al silenzio del rappresentante legale, che talora è considerato testimone e 
talora invece è rivestito delle stesse garanzie rimesse all’imputato.  
Scopo dello svolgimento, nella seconda parte della tesi, è infatti quello di analizzare 
l’attuale apparato normativo del d.lgs. 231/01 e rilevare eventuali vulnus a quei diritti 
fondamentali dell’indagato e dell’imputato che non possono trovare alcuno spazio in 
un processo penale accusatorio moderno. Ci si prefigge altresì lo scopo di valutare 
questi istituti controversi alla luce delle particolarità del procedimento penale degli 
enti, per discernere se essi comportino una violazione inaccettabile dei diritti dell’ente 
sotto processo o se consistano piuttosto in una declinazione necessaria di dette 
garanzie in un contesto differente da quello del processo delle persone fisiche.
Infine si passeranno in rassegna le soluzioni rispetto alle eventuali storture della 
presunzione di innocenza e del diritto di difesa, allo scopo di valutare, sulla scorta della 
dottrina e della giurisprudenza, dove sia possibile procedere ad interpretazioni 
correttive e dove sia invece auspicabile l’intervento riparatore del legislatore per 
ripristinare, nella loro pienezza, le garanzie fondamentali dell’imputato all’interno del 
processo penale degli enti.
1 
CAPITOLO I 
 
DAL SOCIETAS DELINQUERE NON POTEST AL SOCIETAS 
DELINQUERE POTEST. 
1. La responsabilità degli enti: il d.lgs. 231/01.  
 
 
L’introduzione nell’ordinamento italiano del Decreto Legislativo 231 del 2001 
sulla Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle 
società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica
1
 ha comportato un 
vero e proprio punto di svolta nella realtà giuridica del nostro Paese ed ha suscitato un 
intenso dibattito dottrinale
2
.  
                                                
1
 Così viene nominato questo modello di responsabilità nell’articolo 1 comma 1 d.lgs. 8 giugno 
2001 n. 231. Si precisa sin d’ora che, per semplicità, nel testo si utilizzerà il termine “persone 
giuridiche” per far riferimento sia alle società che alle associazioni senza personalità giuridica, 
entrambe destinatarie delle disposizioni del decreto.  
2
 «Una vera e propria rivoluzione» che impone un «nuovo e diverso paradigma punitivo», ma 
anche una svolta «traumatica»: così la definisce R. BARTOLI, in Alla ricerca di una coerenza 
perduta... o forse mai esistita. Riflessioni preliminari (a posteriori) sul «sistema 231» in 
Responsabilità da reato degli enti. Un consuntivo critico, a cura di R. BORSARI, Padova 
University Press, 2016, p. 13 s. Riforma «improcrastinabile» secondo la Relazione ministeriale 
al D. Lgs n. 231/2001, §. 1. Sul tema si veda anche A. BERNASCONI, Voce Responsabilità 
amministrativa degli enti (profili sostanziali e processuali), in Enciclopedia del diritto. Annali, 
Vol. 2, tomo II, Giuffrè, 2008, p. 957 ss.; C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato. La 
responsabilità penale delle società, Giuffrè, 2002; M. CERESA-GASTALDO, Procedura 
penale delle società, Giappichelli, 2017; T. GUERINI, Diritto penale ed enti collettivi. 
L'estensione della soggettività penale tra repressione, prevenzione e governo dell'economia, 
Giappichelli, 2018; G. MARINUCCI, La responsabilità delle persone giuridiche. Uno schizzo 
storico-dogmatico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 445 ss. Una breve riflessione sul punto 
è presente in D. MANZIONE, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: una 
soluzione opportuna o solo “di comodo”? in AA.VV., La responsabilità degli enti: un nuovo 
modello di giustizia “punitiva”, a cura di G. DE FRANCESCO, Giappichelli, 2004, p. 97 ss., 
e in F. GIUNTA, La punizione degli enti collettivi: una novità attesa, in AA.VV., La 
responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, cit., p. 35.
2 
 
Con l’adozione di questo “microcodice”
3
 anche l’Italia – seguendo la scia di diversi 
Paesi europei e non
4
 – ha preso posizione circa la necessità di sanzionare direttamente 
i soggetti collettivi, impostando una disciplina della responsabilità da reato degli enti 
con tutte le problematiche, le contraddizioni ma anche le sfide affascinanti che 
l’argomento comporta.  
Il d.lgs. 231/01 prevede un complesso di sanzioni per gli enti nella cui compagine sia 
commesso un reato-presupposto, nell’interesse o vantaggio dell’ente, da parte di un 
soggetto in posizione apicale o subordinata. Per prevenire la commissione di reati, il 
decreto suggerisce altresì l’adozione di modelli organizzativi e gestionali la cui 
implementazione può evitare la responsabilità dell’ente. 
Fonte immediata dell’attuale d.lgs. 231/01 è stata la legge delega 29 settembre 2000 
n. 300, “Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle 
persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica”, concepita tenendo conto 
anche dell’elaborazione di nuovi progetti per la riforma del Codice Penale
5
.  
Tuttavia un ruolo senza dubbio fondamentale nell’implementazione di un modello 
italiano di responsabilità delle persone giuridiche lo hanno giocato le fonti 
                                                
3
 Un vero e proprio «codice delle personnes morales» secondo E. AMODIO, Prevenzione del 
rischio penale di impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2005, 
p. 320; un «ordinamento “satellitare” autonomo» secondo G. PAOLOZZI, Vademecum per 
gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi” da reato (d.lgs. n. 231 del 2001), 
Giappichelli, 2005, p. 17; suggestivamente, lo ritiene un «angolo del bosco penale» T. 
PADOVANI, Il nome dei principi e il principio dei nomi: la responsabilità “amministrativa” 
delle persone giuridiche, in La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia 
“punitiva”, cit., p. 13. 
4
 Si veda R. GUERRINI, Le sanzioni a carico degli enti nel d.lgs. 231/01, in La responsabilità 
degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, cit., p. 49. Per un’analisi approfondita 
dei vari sistemi di accertamento della responsabilità in Europa e negli Stati Uniti, si veda C. 
DE MAGLIE, L’etica, cit., p. 12 ss.  
5
 Ci si riferisce al Progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione Grosso, 
in www.giustizia.it, il quale ha preso esplicitamente in considerazione il problema della 
responsabilità delle persone giuridiche (senza peraltro toccare il tema della natura di detta 
responsabilità); non a caso il Progetto in questione è citato anche nella Relazione Ministeriale, 
§ 1. Sull’impatto del progetto Grosso circa la disciplina della responsabilità degli enti, si veda 
C. DE MAGLIE, L’etica, cit., p. 326 ss.
3 
sovranazionali
6
, prime di tutte la Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 (c.d. 
Convenzione Pif) e la Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla 
corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali
7
 
che il nostro ordinamento ha inteso recepire con la legge delega. 
Si è compiuta così l’erosione del principio
8
 societas delinquere non potest, che il 
d.lgs. 231/01 ha superato evidenziandolo in tutta la sua inadeguatezza, lasciando però 
ben altre gravi problematiche aperte.  
In realtà, la validità del principio in questione era già oggetto di fervida discussione 
da decenni; anzi, come è stato detto, le sue origini si disperdono nel «passato remoto 
dell’esperienza giuridica»
9
, a partire dagli autorevoli studi di Franco Bricola che 
evidenziò l’insostenibilità (ed i costi) del principio societas delinquere non potest nel 
panorama societario italiano
10
. 
                                                
6
 Per un’analisi del percorso europeo ed italiano, si veda S. DI PINTO, La responsabilità 
amministrativa da reato degli enti. Profili penali sostanziali e ricadute sul piano civilistico, 
Giappichelli, 2003, p. 6 ss.  
7
 Fra l’altro la Convenzione OCSE, all’articolo 2 rubricato “Responsabilità delle persone 
giuridiche”, si limitava a stabilire che «Ciascuna Parte deve adottare le misure necessarie, 
secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche in 
caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero». Il d.lgs. 231/01 è stato altresì adottato 
in conformità ad altre fonti di derivazione europea: per una loro disanima più puntuale e per 
l’impatto avuto dalle fonti sovranazionali sull’introduzione di nuovi reati-presupposto, si veda 
A. BERNASCONI, Le fonti, in A. PRESUTTI-A. BERNASCONI, Manuale della 
Responsabilità degli enti, Giuffrè, 2013, p. 17 ss. La legge delega 300/2000 sarebbe peraltro 
una «scelta europeista coatta», secondo G. PAOLOZZI, Vademecum, cit., p. 18 ss., mentre 
del tutto autonoma è stata la scelta del legislatore italiano di attribuire un nomen, una precisa 
qualificazione giuridica, alla natura della responsabilità in questione: cfr. G. PAOLOZZI, 
Vademecum, p. 20 ss. ed anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia: reati 
societari e reati in materia di mercato finanziario, Giuffrè, 2015, p. 57. Si confronti però sul 
tema la Relazione ministeriale al D.lgs. n. 231/2001, § 1, la quale sottolinea che le «istanze 
che premono per l'introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi appaiono infatti 
ancora più consistenti di quelle legate ad una pur condivisibile esigenza di omogeneità e di 
razionalizzazione delle risposte sanzionatorie tra Stati», lasciando intendere che l’adozione 
della disciplina de quo non sia frutto solo della spinta europea.  
8
 Lo chiama «dogma», quasi a sottolinearne quella che ne era la supposta intangibilità, C. DE 
MAGLIE, L’etica, cit., p. 303.  
9
 Così G. DE SIMONE, Persone giuridiche e responsabilità da reato. Profili storici, 
dogmatici e comparatistici, Edizioni ETS, 2012, p. 19, che nel testo effettua una dettagliata 
analisi storica e comparata del tema della responsabilità̀ penale delle persone giuridiche. Sulla 
natura “non relativa od ontologica” del principio societas delinquere non potest si veda anche 
T. GUERINI, Diritto penale ed enti collettivi, cit., p. 20 ss.  
10
 F. BRICOLA, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale 
dimensione del fenomeno societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, p. 951 ss. In un contesto
4 
La scelta del legislatore di nominare la responsabilità degli enti come “amministrativa” 
è stata foriera di dubbi dottrinali e di problematiche pratiche che tormentano ancora la 
dottrina italiana. Ad oggi la letteratura è divisa fra chi ritiene che la responsabilità degli 
enti sia effettivamente di natura amministrativa
11
, come precisato dal legislatore nel 
nome della legge, chi crede che la natura sia sostanzialmente penale
12
, e chi ancora 
aderisce all’idea di un tertium genus
13
 o addirittura di un quartum genus
14
.  
L’idea di accettare un nuovo paradigma punitivo penale che chiami a rispondere gli 
enti per i reati commessi da soggetti in posizione apicale o da subordinati nel suo 
interesse o vantaggio
15
 ha incontrato (ed incontra tuttora) non poche resistenze 
                                                
nel quale il tema della “responsabilità penale delle società” era liquidato come questione 
aproblematica, nel suo famoso saggio Franco Bricola rileva alcune delle questioni spinose che 
rendevano assai meno pacifica l’esclusione di una responsabilità degli enti, in primis ponendo 
l’accento sulla commissione dei reati come sintomo di una politica d’impresa, in secondo 
luogo segnalando l’irrazionalità dell’allora pacifica applicazione delle misure di sicurezza alle 
società senza prendere in considerazione che anch’esse postulavano una lettura sub art. 27 
Cost., ma anche evidenziando l’irrazionalità del fatto che gli atti compiuti dagli amministratori 
della società venivano imputati alla responsabilità di quest’ultima solo dal punto di vista 
civilistico e non anche dal punto di vista penalistico.  
11
 Fra i sostenitori della tesi della natura amministrativa, G. MARINUCCI, «Societas puniri 
potest»: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, in Riv. it. dir. e proc. 
pen., 2002, p. 1193; G. COCCO, L’illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei 
modelli di prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen. 2004, p. 116 ss.; M. ROMANO, La 
responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni: profili generali, in Riv. soc. 
2002, p. 398.  
12
 A favore di una responsabilità penale, E. MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità 
tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir. e Giust., Giuffrè, 2001, n. 23, p. 8; G. DE 
VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Giuffrè, 2008 (il quale però non 
crede che le sanzioni siano penali in senso stretto, escludendo la funzione rieducativa delle 
stesse in relazione all’ente); T. PADOVANI, Il nome dei principi, cit.; G. AMARELLI, La 
natura giuridica della responsabilità degli enti, in Studi di diritto penale. Parte generale a 
cura di R. GIOVAGNOLI, Giuffrè, 2008. 
13
 Di tertium genus parla esplicitamente la Relazione ministeriale al D.lgs. n. 231/2001, § 1.1, 
e in giurisprudenza Cass., Sez. VI, 9 luglio 2009, in CED Cass. n. 244256. In dottrina la teoria 
del terzo genere ha ispirato D. PULITANÒ, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri 
d’imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 417 e sostanzialmente, dato che parla di 
responsabilità integrata, anche E. AMODIO, Prevenzione del rischio penale, cit., p. 322.  
14
 Di quartum genus di responsabilità parla S. VINCIGUERRA Quale specie di illecito? in S. 
VINCIGUERRA-M. CERESA-GASTALDO-A. ROSSI, La responsabilità dell’ente per il 
reato commesso nel suo interesse, CEDAM, 2004, p. 212.  
15
 Cfr. art. 5 d.lgs. 231/01.
5 
culturali e dottrinali
16
, basate spesso su una pretesa incompatibilità della disciplina 
penale (senza dubbio strutturata avendo a riferimento l’uomo
17
) laddove applicata ad 
una «finzione» quali erano ritenute le persone giuridiche
18
. Più in generale, la 
discussione sulla possibilità di ammettere una responsabilità penale degli enti si gioca 
anche sulla concezione del diritto penale in sé, ad oggi divisa fra una «tradizione 
dogmatica» in veste di «antagonista delle nuove scelte legislative»
19
 ed una più elastica 
e possibilista nell’accogliere i mutamenti del diritto penale che corrispondono ai 
cambiamenti della realtà sociale ed economica
20
.  
Del resto ragionare sulla “possibilità” di una responsabilità penale riferita agli enti 
significa confrontarsi con i dogmi fondamentali del diritto penale
21
, quali la personalità 
della responsabilità, la concezione della colpevolezza e la funzione rieducativa della 
pena, e valutare se sia possibile ritagliarli ed adattarli sulla base del nuovo imputato: 
l’ente. La vexata quaestio sulla responsabilità penale o meno dell’ente è in buona parte 
motivata dalla diversità ontologica fra la persona fisica e il soggetto collettivo, 
diversità dalla quale non si può ovviamente prescindere ma dalla quale invece partire 
per studiare limiti e prospettive di un diritto penale degli enti. Se di per sé la dottrina 
                                                
16
 Riflette sulla spaccatura della dottrina post d.lgs. 231/01, fra chi avverte nella nuova 
disciplina una opportunità di modernizzazione del diritto penale e chi invece ne desume una 
«disgregazione di quell’idea di diritto penale “carnale” che è stata il terreno di coltura delle 
nostre categorie penalistiche», F. GIUNTA, La punizione degli enti collettivi: una novità 
attesa in La responsabilità degli enti, cit., p. 36 s.  
17
 Di «struttura antropomorfica del diritto penale» parla S. DI PINTO, La responsabilità 
amministrativa da reato, cit., p. 17 ss. 
18
 Sul concetto di persona giuridica come finzione si veda F. BRICOLA, Il costo, cit., p. 955 
e C. DE MAGLIE, L’etica, cit., p. 305.  
19
 Così F. GIUNTA, La punizione degli enti collettivi: una novità attesa in La responsabilità 
degli enti, cit., p. 37, dove l’Autore vede l’introduzione del d.lgs. 231/01 come una di quelle 
tappe che hanno costellato (e tuttora costellano) il diritto penale in evoluzione, toccandone 
punti fondamentali (l’autore parla ad esempio del «superamento del primato dell’imputazione 
dolosa» e del passaggio dalla «colpevolezza morale al rimprovero fondato sull’evitabilità del 
fatto»). O, per dirla con le parole di Pulitanò, si tratta della tensione fra l’esigenza di «una 
“legittimazione metalegislativa” e il vincolo “assoluto” di fedeltà al testo della legge»; D. 
PULITANÒ, La responsabilità “da reato”, cit., p. 415.   
20
 Per tutti si veda l’opera di G. DE VERO, La responsabilità, cit., e C. DE MAGLIE, L’etica, 
cit.  
21
 O crearne di nuovi (ovviamente, in via legislativa): così G. AMARELLI, La natura 
giuridica, cit., p. 309 s.
6 
convergeva, a fronte del complesso quadro della criminalità economica d’impresa, 
circa la necessità di impostare un modello di responsabilità degli enti, il vero grande 
dibattito ha riguardato e riguarda l’ammissibilità di una responsabilità veramente 
penale. In esso si sono cimentati studiosi di grande calibro, finendo per sostenere «tutto 
e il contrario di tutto»
22
.  
Anche ammesso che questa diatriba dottrinale sia dovuta al fatto che non si è 
operata in modo adeguato (o forse per nulla) una riflessione antecedente 
all’introduzione del d.lgs. 231/01 in grado di preparare i giuristi ad affrontare questa 
scottante tematica
23
, ciò non fa altro che confermare che la discussione sulla natura 
della responsabilità dell’ente non si risolve in una mera disquisizione teorica, ma 
piuttosto è la fase prodromica e necessaria allo studio ed alla valutazione degli istituti, 
delle garanzie (e dei correttivi, se necessario) che possono (ed anzi, laddove la 
responsabilità risulti davvero penale debbono) essere applicati alla normativa vigente.  
Il d.lgs. 231/01 ha senz’altro messo la dottrina italiana di fronte alla realtà che 
societas delinquere potest, non facendo altro che raccogliere quella che da decenni era 
una realtà evidente: la criminalità economica d’impresa esiste e può avere un impatto 
enorme nella società
24
, e appare sempre meno come la condotta di un singolo 
amplificata dalla compagine sociale
25
, sembrando piuttosto virare prepotentemente 
verso una concezione dell’illecito sempre più riferita all’ente in quanto tale.  
                                                
22
 G. DE SIMONE, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 20.  
23
 Come sostiene R. BARTOLI, in Alla ricerca di una coerenza perduta…, in cit., p. 13 s., il 
quale ritiene che mancasse una «riflessione scientifica “corale”» antecedente all’introduzione 
del decreto, il che ha comportato «enormi difficoltà nel confrontarsi con un sistema basato per 
l’appunto su un nuovo paradigma, ma con strumenti concettuali “vecchi”».  
24
 Non solo non si tratta di una delinquenza «meno criminale» di quella comune, come denota 
C. DE MAGLIE in L’etica, cit., p. 263, ma come ben rileva R. S. GRUNER in Corporate 
Crime and sentencing, Michie, 1997, p. 8, «when corporations act illegally they can inflict 
injuries on an equally gargantuan scale».  
25
 Sul fattore criminogeno insito nella struttura dell’ente e i suoi riflessi sull’agire individuale 
(sempre nell’ottica di una disamina della soggettività dell’ente), si veda G. DE VERO, La 
responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 19 ss.; nonché la riflessione sul fatto 
che nella criminalità d’impresa «non occupa più una posizione centrale il reato commesso 
dall’agente individuale», G. DE VERO, La responsabilità penale, p. 8. Sul punto parla di 
illecito riferito a «precise scelte della politica d’impresa» rispetto alle quali l’incriminazione 
della sola persona fisica renderebbe quest’ultima un «capro espiatorio», G. FIANDACA-E. 
MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, 2014, p. 161 ss.
7 
Possiamo quindi sostenere che l’introduzione del d.lgs. 231/01 dedicato alla 
responsabilità “amministrativa” da reato degli enti ha senz’altro incrinato l’idea di una 
ontologica impossibilità a delinquere degli enti, o almeno ne ha mostrato 
l’inadeguatezza, ma ha aperto delle altre profonde spaccature che si sono tradotte in 
possibili (e talora esplicite) lacune in termini di garanzie processuali.  
Prima di valutare però quale sia la reale natura della responsabilità degli enti, al di 
là del nomen juris attribuito dal legislatore, è necessario capire per quale motivo è 
davvero importante giungere ad una definizione della natura di detta responsabilità; 
comprendere perché, in sostanza, l’attività in questione non si risolva in un mero 
esercizio accademico ma in uno studio necessario per stabilire la compatibilità 
dell’attuale modello di responsabilità degli enti con i principi e le garanzie che sono 
costituzionalmente previsti per una responsabilità che abbia una certa natura: penale, 
amministrativa o altra.  
2. Le ragioni concrete di una definizione della natura della 
responsabilità. 
 
La questione della natura della responsabilità degli enti potrebbe apparire, prima 
facie, una mera querelle nominalistica
26
. Un dibattito, s’intende, senz’altro 
interessante, ma privo di sfaccettature davvero utili all’analisi ed alla critica del 
modello processuale effettivamente adottato per l’accertamento dell’illecito e 
l’applicazione della sanzione.  
La scelta del nomen juris “responsabilità amministrativa” è invece, per altra 
dottrina, una palese «truffa delle etichette»
27
 dalle precise (e gravi) conseguenze in 
                                                
26
 È una questione «accademica» secondo Pulitanò, poiché il legislatore ha adottato delle 
garanzie sostanziali e processuali in «un’ottica tipicamente penalistica» così annullando, 
secondo lo studioso, le conseguenze sostanziali del dibattito; fra l’altro lo stesso autore 
suggerisce l’utilizzo del termine meno problematico di «responsabilità da reato». Si veda D. 
PULITANÒ, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, cit., p. 416 s. Si 
tratta di una questione irrilevante anche secondo M. GAMBARDELLA, Condotte economiche 
e responsabilità penale, Giappichelli, 2018, p. 70 s.  
27
 Parlano di «truffa delle etichette» C.E. PALIERO, La responsabilità penale della persona 
giuridica: profili strutturali e sistematici, in AA.VV. La lotta contro la frode agli interessi 
finanziari della Comunità Europea tra prevenzione e repressione, Giuffrè, 2000; nonché E. 
MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, cit., 
2001, n. 23, p. 8; A. MANNA, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche:
8 
materia sostanziale e processuale
28
. In una terza posizione si colloca chi ritiene che, 
più che discutere della bontà della definizione, sia opportuno valutare se 
effettivamente le garanzie innestate nel “modello 231” siano adeguate ai valori in 
gioco
29
.  
Prima di esaminare le argomentazioni proposte di coloro che ritengono la 
responsabilità degli enti di natura amministrativa, penale o d’altro genere, è bene 
quindi dirimere la questione circa la fondatezza o infondatezza del dibattito. 
Innanzitutto bisogna valutare se la responsabilità punitivo-amministrativa prevista 
nell’ordinamento italiano sia o meno improntata alle severe garanzie costituzionali che 
valgono per la materia penale
30
; laddove così fosse, evidentemente, la questione della 
natura della responsabilità passerebbe necessariamente in secondo piano, poiché – 
fosse essa amministrativa o penale – il modello processuale di cui al d.lgs. 231/01 
dovrebbe comunque conformarsi ai principi scolpiti nella Costituzione.  
Ma laddove così non fosse, vale a dire nell’ipotesi in cui i principi ai quali è ancorata 
la responsabilità punitivo-amministrativa fossero più gracili, meno poderosi rispetto a 
quelli posti a presidio della responsabilità penale, la questione assumerebbe una 
valenza sostanziale di primaria importanza
31
.  
                                                
il punto di vista del penalista, in Cass. pen. 2003, p. 1103. O comunque «l’impressione è che, 
se non ha truffato sull’etichetta, il legislatore ha comunque perpetrato un inganno sui 
contenuti», così M. CERESA-GASTALDO, Processo penale e accertamento della 
responsabilità amministrativa degli enti: una innaturale ibridazione, in Cass. pen., 2009, p. 
2234.  
28
 Una questione cruciale secondo C. DE MAGLIE, L’etica, cit., p. 327.  
29
 «Forse bisognerebbe abbandonare l’ossessione nominalistica e valutare le discipline nel loro 
impianto strutturale e nell’orientamento funzionale: le garanzie che si vorrebbero introdurre 
grazie alla qualificazione penalistica sono già ampiamente presenti nella trama della 
responsabilità in esame. Piuttosto ci sarebbe da chiedersi quale livello di garanzie, rispetto agli 
obiettivi ed al rango degli interessi in gioco, richieda la materia nessun apriorismo di chiara 
derivazione ontologica, appare proficuo e, alla fine, consentito» secondo A. ALESSANDRI, 
Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA.VV., La responsabilità amministrativa 
degli enti. D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, 2001, p. 50.  
30
 Per una disamina approfondita dei principi costituzionali operanti nel processo penale, si 
rimanda a F. R. DINACCI (a cura di), Processo penale e Costituzione, Giuffrè, 2010.  
31
 Si veda D. FALCINELLI, Gli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo, ovvero: la 
metamorfosi della “tipicità” penale in C. FIORIO (a cura di), La prova nel processo agli enti, 
Giappichelli, 2016, p. 8 s.