ABSTRACT
Il presente elaborato si colloca all’interno del progetto LIFEDOP , finanziato 
dall’Unione Europea e volto ad individuare ed applicare modelli sostenibili ed 
innovativi all’interno della filiera Grana Padano e Parmigiano Reggiano nella 
provincia di Mantova. Nel dettaglio il progetto applicherà tecniche di agricoltura 
conservativa per la produzione di foraggio dei marchi sopracitati; le pratiche 
gestionali confrontate saranno l’uso di digestato in sostituzione alla 
fertilizzazione minerale, la minima lavorazione e l’impiego di cover crop, per una 
gestione sostenibile della nutrizione vegetale e dello stock di carbonio del suolo 
in due differenti appezzamenti (G e Z) dell’Oltrepo mantovano con simile 
composizione ma derivanti da differenti sistemi di gestione. I dati analitici di 
questo elaborato si riferiscono al tempo zero della sperimentazione e mirano a 
valutare le caratteristiche di base nonché l’omogeneità delle parcelle su cui 
saranno condotte le differenti pratiche sperimentali e che saranno riesaminate 
nel 2021 al termine del progetto. Tra le varie misure si sono presi in 
considerazione la determinazione dei fosfolipidi (PLFA) e della respirazione della 
microflora del suolo, parametri in grado di fornire indicazioni quali-quantitative 
della comunità e della sua potenziale attività.
Le respirazioni medie dei due siti sono state di 1,95 ± 0,38 mgCO
2
/g ss, e di 3,27 ± 
0,62 mgCO
2
/g ss per il campo G e Z rispettivamente. 
I PLFA hanno fornito dati nettamente diversi tra i due campi, con un valore di 
PLFA=1540 µ
g
/g s.s. e di PLFA=a 115 µ
g
/g s.s per il campo G e Z rispettivamente.
L’analisi dei fosfolipidi viene considerata una misura della biomassa viva del suolo 
e, grazie alla loro specificità biologica, può fornire informazioni qualitative della 
comunità microbica. Pur essendo come analisi ancora limitata da una scarsa 
risoluzione tassonomica, la crescente letteratura sull’argomento sta rendendo i 
PLFA uno strumento di supporto sempre più ampio nel monitoraggio dello stato di 
salute del biota del suolo e delle sue proprietà funzionali. 
I dati analitici delle parcelle costituenti le future tesi (3 parcelle per 5 tesi per il 
campo Z e 3 parcelle per 3 tesi per il campo G) sono state sottoposte ad analisi 
ANOVA che ha confermato un’elevata omogeneità, risultando un’ottima premessa 
per la valutazione delle differenti pratiche agronomiche che saranno applicate.
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PREMESSA
Negli ultimi anni il tema della sostenibilità si è imposto come prioritario in ogni 
ambito di ricerca sulle attività umane e in ogni contesto di discussione circa il 
loro progresso. Stiamo vivendo come specie un momento di trasformazione, 
causato dalla presa di consapevolezza che esistono dei limiti allo sviluppo. Questi 
limiti sono determinati dal nostro essere collocati all’interno di un sistema finito 
il cui funzionamento è necessario e indispensabile ai fini della nostra 
sopravvivenza (Meadows et al., 1972).
Da oltre due secoli pensatori ed esponenti della comunità scientifica (G.P . Marsh, 
C. Darwin, A. Humbolt, T . Malthus, J. Lovelock e molti altri) hanno posto 
l’accento sull’interdipendenza che collega tutti gli elementi della complessa 
biosfera terrestre, uomo incluso, e sui rischi derivanti da uno stravolgimento di 
questi equilibri dinamici. Tuttavia, fino alla fine del secolo scorso, la fiducia 
incondizionata nel progresso ha fatto si che tali denunce ambientali non venissero 
prese seriamente in considerazione (Angelini e Pizzuto, 2007) e che non avvenisse 
una riflessione critica, un ripensamento ed una riprogettazione del modello di 
sviluppo. Solo in tempi recenti, a fronte dell’evidente situazione di criticità in cui 
versano le risorse naturali e a fronte di una popolazione mondiale che raggiungerà 
i 10 miliardi nel 2050, è stata riconosciuta l’oggettività dei problemi ambientali, 
e si è delineata nelle politiche di sviluppo l’urgenza e la necessità di ripensare 
alle attività antropiche nella direzione di una presenza umana maggiormente 
sostenibile. Stiamo assistendo al lento e difficile tramonto di un paradigma che 
vedeva l’uomo usare la propria intelligenza, la propria conoscenza dei 
meccanismi di funzionamento della natura, per modificarla e renderla capace di 
rispondere unicamente ai suoi bisogni; questo modello oggi è insufficiente per 
due ragioni: la prima è che questo approccio, se non accompagnato da una 
comprensione profonda della natura che vada oltre l’esigenza contingente, porta 
a generare esternalità negative; la seconda è che, considerate le attuali 
dimensioni della società umana e la pressione ecologica che ne deriva, appare 
evidente come non sia più possibile trascurare l’impatto ambientale di tali 
esternalità, come spesso è potuto avvenire in un passato caratterizzato da una 
pressione antropica minore (Malucchi, 2011).
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Oggi l’intera collettività deve affrontare la grande difficoltà di trovare un 
equilibrio tra le esigenze umane e l’ambiente (Pisante, 2013); questo equilibrio è 
la sostenibilità, intesa come obiettivo, come modello a cui tendere, raggiungibile 
tramite la valutazione e l’impiego di innovazioni tecnologico-gestionali atte a 
conciliare il soddisfacimento di queste esigenze con il mantenimento delle risorse 
naturali, che costituiscono la base del processo produttivo e dal cui stato di 
salute dipende fortemente il nostro.
Parallelamente al tramonto dei vecchi paradigmi, insostenibili, si assiste alla 
sempre maggiore e diffusa consapevolezza che l’uomo, seppur sia un essere 
intelligente e capace di trasformare il volto del pianeta, è parte di un sistema-
natura altamente intelligente dotato di fini meccanismi di auto-regolazione 
(Lovelock, 1979) la cui comprensione e il cui mantenimento devono essere 
obiettivi prioritari per garantirne l’abitabilità e la produttività a lungo termine.
In questo processo di adattamento dell’uomo da specie parassita a organismo 
simbiotico, la ricerca ha il ruolo fondamentale di precedere ed illuminare il 
cammino, ampliando la comprensione dei fenomeni e, tramite un’imparziale e 
scrupolosa validazione delle ipotesi, fornire dati ed evidenze scientifiche che 
permettano un’informazione libera e una scelta consapevole.
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1. INTRODUZIONE
1.1 Sostenibilità e Agricoltura
In ambito agrario il tema della sostenibilità ha una doppia valenza poiché 
l’agricoltura, oltre ad essere di per sé un settore produttivo, è quel settore che 
vede maggiormente l’uomo lavorare a stretto contatto con la natura, plasmarne 
le forme e modificarne il paesaggio.
Bonciarelli (1997) ha definito la “sostenibilità del sistema agricolo” come “la 
capacità di mantenere costante nel tempo l’equilibrio, si da soddisfare le 
esigenze, delle generazioni future non meno di quella attuale, di essere 
approvvigionate di alimenti adeguati, sani e salubri e di vivere in un ambiente 
non degradato; si tratta quindi di sostenibilità economica e sociale non meno che 
ecologica”. Nel tempo sono state proposte numerose definizioni di “agricoltura 
sostenibile”, la maggior parte di queste insiste fondamentalmente sui due pilastri 
evidenziati dal Bonciarelli: sostenibilità economico-sociale e sostenibilità 
ecologico-ambientale. Il focus economico-sociale insiste su come, per essere 
definita sostenibile, l’agricoltura debba essere in grado di sostenere le esigenze 
umane di beni primari (quali alimenti, fibre, energia e materiali) come di beni 
secondari, quali lavoro, redditività, accessibilità alimentare, equità e benessere 
sociale. Tutto questo nel contesto di una popolazione mondiale e di una domanda 
alimentare in crescita esponenziale. L’approccio ecologico-ambientale pone 
invece l’evidenza su come, per potersi definire sostenibili, le attività agrarie 
debbano essere perpetuate con modalità tali da non andare a degradare 
l’ambiente e le risorse naturali, poiché dalla loro compromissione dipende il 
potenziale produttivo dell’agricoltura del prossimo futuro (Pisante, 2013) come 
dal loro stato di salute dipende fortemente il nostro. Questi due aspetti della 
sostenibilità, sebbene afferenti ad aree nettamente diverse, sono entrambi 
fondamentali in quanto non sarebbe sostenibile né un modello produttivo a basso 
impatto ambientale ma non in grado di assicurare le rese agricole di cui la società 
odierna necessita e necessiterà, né quantomeno un’agricoltura altamente 
produttiva che abbia ripercussioni negative sull’ambiente e sulle risorse naturali 
in cui si contestualizza e da cui dipende. L’agricoltura, nella sua storia millenaria, 
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si è sempre misurata con entrambe le facce della sostenibilità; tuttavia negli 
ultimi 200 anni questo settore, analogamente a quanto accaduto all’intera 
società, ha vissuto radicali trasformazioni che molto spesso ne hanno peggiorato il 
livello di sostenibilità. In Europa occidentale si sono susseguiti tre diversi sistemi 
di coltivazione: il sistema a rotazione (open fields) dell’era medievale e moderna; 
l’agricoltura mista, che sostituì il sistema a rotazione in gran parte dell’Europa 
occidentale tra il XVII e il XX secolo; e l’agricoltura chimica (o anche detta 
industriale) dell’età contemporanea, che era già presente alla metà del XIX 
secolo ma che ha sostituito completamente l'agricoltura mista solo a partire dagli 
anni ’50 (Grigg, 1992). L’agricoltura mista, seppur poco produttiva se confrontata 
all’agricoltura contemporanea, è un esempio funzionale di quella che oggi viene 
definita “economia circolare” poiché era un sistema economico pianificato per 
riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli 
sprechi (Croce, 2019): i residui colturali, i foraggi e i pascoli costituivano 
l’alimentazione per i bovini; questi fornivano latte, carne ed energia per le 
lavorazioni dei suoli; il siero del latte ed altre tipologie di scarti delle 
trasformazioni, come anche i rifiuti organici dell’alimentazione umana, venivano 
reimpiegati per l’alimentazione di suini, avicoli ed altre specie minori; infine le 
deiezioni animali rifornivano di sostanza organica e nutrienti i campi, 
sostenendone la fertilità. Questo era possibile poiché l’agricoltura era 
caratterizzata da una grande multifunzionalità e spesso all’interno di una singola 
realtà produttiva era possibile ritrovare tutte queste attività (Jolanta, 2017). Nel 
secolo scorso la competitività dei mercati globali ha imposto alle aziende agricole 
la specializzazione delle attività produttive, intensificando le produzioni per 
sfruttare al meglio le innovazioni e le economie di scala per riuscire a rimanere 
competitivi. Questo ha portato il sistema agricolo ad una compartimentazione, a 
livello aziendale quanto su scala macroterritoriale, che spesso ha compromesso 
quella capacità di reimpiegare e valorizzare i materiali in successivi cicli 
produttivi; ad esempio, nel caso dei reflui zootecnici, la divisione territoriale in 
aree marcatamente zootecniche ha qui causato problematiche di surplus e 
smaltimento quando al contrario altri areali di produzione (es. territori vocati alle 
coltivazioni arboree) hanno spesso contratto il problema opposto: carenza e 
difficoltà nel reperire ammendanti e/o fertilizzanti organici che, a causa del loro 
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basso valore volumetrico, non conviene trasportare sulla lunga distanza. Il 
modello agricolo diffuso dalla Green Revolution che ha dato forma all’agricoltura 
contemporanea, ha da un lato consentito di ottenere rese fino a 10 volte superiori 
ai livelli pre-industriali (Grigg, 1992), contribuendo alla crescita della popolazione 
mondiale e scongiurando le previsioni di Malthus (Pisante, 2013), dall’altro ha 
compromesso la circolarità e la sostenibilità del sistema poiché si basa 
sull’impiego di input non rinnovabili, sull’esternalizzazione dei costi di produzione 
e sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali (Kaur et al., 2005; Jolanda, 
2017). Come osserva Pisante (2013), questo modello di produzione [… ] spesso ha 
avuto l’obiettivo principale di surrogare il capitale naturale. Ad esempio: i 
fertilizzanti inorganici si sostituivano alla qualità del suolo; gli erbicidi 
fornivano un’alternativa alla rotazione delle colture come mezzo per controllare 
la flora infestante; gli insetticidi e gli antiparassitari avrebbero risolto il 
problema della fragilità e della suscettibilità di agroecosistemi scarsamente. 
Inoltre, continua Pisante, è globalmente riconosciuto che i considerevoli 
incrementi della produzione agricola e della produttività sono spesso stati 
accompagnati da effetti negativi sul patrimonio delle risorse naturali, a volte 
così gravi da compromettere il potenziale produttivo dell’agricoltura del 
prossimo futuro. Tra le esternalità negative si annoverano: la degradazione dei 
suoli, la salinizzazione delle aree irrigue, l’accumulo dei fattori di resistenza dei 
parassiti e l’erosione della biodiversità.
José Graziano Da Silva, agronomo e direttore generale della FAO dal 2011 al 2015, 
durante il secondo incontro internazionale sull’agroecologia (Roma, 2018) ha 
dichiarato: “Il modello della rivoluzione verde, iniziata dopo la seconda guerra 
mondiale, è esaurito”.
“La ricerca agronomica sta affrontando ora un punto di svolta nel modo di 
rapportarsi ai problemi, in termini sia di scopi quanto di metodo. Per 
quanto riguarda gli scopi, l’incremento delle rese non è più il principale 
obiettivo. Gli aspetti produttivi, anche se rimangono importanti in un 
mondo ampiamente sotto-nutrito, devono essere integrati con altri 
obiettivi: perseguire l’eco-compatibilità, intesa come abilità di usare le 
risorse naturale senza comprometterne la durabilità; assicurare qualità e 
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sanità dei prodotti, […]. In breve, l’obiettivo è raggiungere un’agricoltura 
sostenibile […]. Per quanto riguarda i metodi, la comunità scientifica 
agronomica deve cambiare il suo approccio ai problemi: non solo ricerca 
fenomenologica, la quale non è sufficiente a comprendere l’intimità dei 
processi di crescita e produzione delle colture, ma una ricerca 
multidisciplinare integrata […] avendo cura di evitare qualunque eccesso di 
riduzionismo nell’approccio”.
(Bonciarelli, 1997)
1.2 Il progetto LIFEDOP
Le indagini analitiche riportate in questo elaborato rientrano nel progetto 
LIFEDOP a cui l’Università degli Studi di Milano partecipa nel ruolo di partner.
Il progetto LIFE DOP è stato finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del 
Programma Life 2015, volto a sostenere e finanziare azioni per la salvaguardia 
dell’ambiente e la tutela climatica. Il progetto è in corso dal 1° settembre 2016 e 
la data prevista di conclusione dei lavori è l’ 1 marzo 2021.
Il progetto coinvolge attori disseminati lungo tutta la filiera Parmigiano Reggiano 
e Grana Padano nel territorio della provincia Mantova (che ospita entrambi i 
comprensori delimitati dal corso del fiume Po) e intende realizzare un modello di 
economia circolare a basso impatto ambientale che migliori la sostenibilità delle 
attività produttive e, attraverso una certificazione di filiera, ne aumenti la 
competitività sul mercato.
Gli obiettivi di progetto sono:
• Coniugare produzione intensiva e qualità ambientale
• Definire un modello di produzione ambientalmente sostenibile per Parmigiano 
Reggiano e Grana Padano in provincia di Mantova
• Promuovere, lungo l’intera filiera produttiva, un uso efficiente e circolare delle 
risorse
• Testare buone pratiche innovative adatte al territorio e alla filiera dei bovini da 
latte
• Validare il Modello attraverso un’analisi LCA (Life Cycle Assessment) sui dati 
primari raccolti in tutte le fasi della filiera
• Verificare la sostenibilità economica del modello
• Dimostrare i numeri della sostenibilità e valorizzarla sul mercato
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