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2.2.2 L’impatto dell’epidemia sulle abitudini del consumatore 
 
È chiaro che un’emergenza sanitaria globale come quella che stiamo vivendo ha 
richiesto dei provvedimenti rigidi, invasivi e per molti aspetti ostili. L’impatto che 
ha avuto e continua ad avere l’epidemia tocca numerosi ambiti nella vita del singolo 
individuo e della comunità, tra cui in particolare l’economia. Al di là dei costi diretti 
sul sistema sanitario, che possono essere molto elevati, sono i costi indiretti su altri 
settori ad essere maggiormente significativi (Smith, 2006). Tali costi indiretti sono 
influenzati non solo dalle misure restrittive applicate dalle istituzioni, che 
chiaramente impattano sugli imprenditori e sull’economia, ma anche dal sentiment 
generale orientato da una percezione pubblica del rischio di contagio. Esempi di 
questa influenza si riflettono sul crollo della domanda, in particolar modo, per quei 
settori considerati sensibili come il turismo, la distribuzione commerciale, i servizi 
di intrattenimento e tutte quelle attività che implicano un’interazione tra persone 
(Smith, 2006). Inoltre, gli effetti di un’emergenza sanitaria si ripercuotono anche 
sulla fiducia degli investitori, come testimoniato dall’impatto della SARS ad Hong 
Kong, dove gli investimenti stranieri sono crollati del 63% nel quartile di massima 
minaccia di contagio (Bloom, Canning, 2004). È evidente che un fenomeno di 
rottura improvviso, generalizzato e pervasivo si ripercuote sulla psiche 
dell’individuo che reagisce modificando i propri atteggiamenti, e di conseguenza i 
comportamenti, su un ampio ventaglio di contesti. Secondo un’analisi effettuata da 
WARC, società di analisi specializzata in business trasformation, le misure di 
contenimento hanno permesso a gran parte della popolazione di rimettere a fuoco 
alcune priorità che la frenesia della quotidianità aveva spostato in secondo piano. 
In particolare, il distanziamento sociale, che ha caratterizzato la prima e la seconda 
fase dell’emergenza, ha fatto emergere una radicata sensazione di solitudine con un 
conseguente rimpianto per le occasioni sociali e un distacco dai beni materiali non 
indispensabili. Il periodo di difficoltà vissuto fino ad oggi, perciò, ha spinto in modo 
vigoroso le persone a dare molto più peso al proprio benessere personale e alle 
connessioni di valore, condizionandone anche i consumi. Se prima dell’esplosione 
della pandemia i consumi rappresentavano un’evasione dalle difficoltà quotidiane,
24 
 
durante la pandemia, il cambio di priorità ha diminuito la voglia di fare acquisiti, 
anche on line. L’analisi condotta da WARC ha di fatto rivelato che gli acquisiti 
degli italiani si sono concentrati sempre più sui beni essenziali (pane, latte, farina, 
zucchero…), prodotti per l’igiene personale, disinfettanti, acqua e surgelati; tra le 
categorie che hanno resistito ci sono i libri, che per molti hanno rappresentato un 
bene “necessario”.  
I dati raccolti dal Consumer Panel GfK (2020) hanno invece rivelato nuove strategie 
per fare la spesa: le rilevazioni degli acquisti mostrano un’evoluzione molto rapida 
del modo in cui gli italiani hanno riorganizzato il modo di fare la spesa. Dopo la 
prima settimana di acquisti “compulsivi” ma poco organizzati e una seconda 
caratterizzata da un incremento della frequenza degli acquisti, durante la prima 
settimana di lockdown gli italiani sembrano aver elaborato nuove strategie. 
L’importo medio della spesa è cresciuto del +26% e si sono rilevati acquisti più 
attenti, per evitare di dover tornare spesso in negozio. Si sono annullate anche le 
differenze tra giorni infrasettimanali e sabato (solitamente il giorno designato per 
la spesa) inoltre è cresciuta la penetrazione del canale online (+16%). Questi dati 
evidenziano un cambiamento significativo nelle abitudini dei consumatori italiani, 
i quali hanno dovuto adattarsi al nuovo stile di vita imposto dal lock down.  
 
2.3 Le crisi economiche  
 
Il dizionario di economia e finanza Treccani propone come definizione di crisi 
economica: “stato patologico dell’economia che, oltre alla stagnazione (assenza di 
crescita) o alla recessione (diminuzione) del Prodotto Interno Lordo (PIL), può 
presentare una varietà di altri fenomeni negativi, con una durata variabile, ma 
generalmente non inferiore a un anno, quali caduta dei consumi, aumento 
persistente di disoccupazione, perdita di capacità produttiva etc.” Nel corso 
dell’ultimo secolo troviamo alcuni esempi di crisi quali la Grande Depressione del 
’29, la crisi degli anni ’70, che dopo un lungo periodo di crescita post-bellica vide 
un arresto fragoroso conseguente alla brusca carenza di petrolio e la Grande 
Recessione del 2007, i cui effetti perdurano tutt’ora (Kotz, 2009). Questi
25 
 
avvenimenti sono tutti esempi di crisi sistemiche, ovvero fenomeni di disfunzione 
intrinseci al sistema economico stesso che si manifestano dopo periodi più o meno 
lunghi generando una rottura che richiede un intervento di riorganizzazione 
complessiva. Dunque, partendo dai criteri di durata e gravità possono essere distinti 
fenomeni di crisi economica grave, ossia tutti quegli eventi caratterizzati da lunghi 
periodi di flessione degli affari e disoccupazione; e crisi acute che, solitamente 
preceduta o seguita da una durevole depressione economica, sono contraddistinti 
da crolli economici improvvisi che provocano un’immediata bancarotta per molte 
famiglie e perdite ingenti di capitali, come nei casi di iperinflazioni, crolli della 
borsa, o le cadute dei prezzi di terreni e immobili (Ferrari, Venini e Ferrari 2006). 
Il repentino dilagare della pandemia da Covid-19 e le conseguenti misure di 
contenimento hanno generato una crisi economica acuta, turbando l’equilibrio 
mentale ed emotivo della popolazione influenzando a sua volta le abitudini di 
consumo. Di fatto è necessario guardare all’emergenza Covid come uno dei grandi 
momenti di cesura, tra quello che era prima e quello che verrà dopo. La reazione 
allo shock emotivo dato dalle implicazioni del fenomeno ha cambiato 
profondamente le abitudini di vita degli individui, mutando inevitabilmente quello 
che è il modo di interpretare uno dei bisogni fondamentali nella natura dell’uomo: 
la sicurezza.  
Proprio come l’11 settembre 2001, con il crollo delle torri gemelle di New York, 
un evento entrato nella memoria collettiva e nei libri di storia, la minaccia che al 
tempo minava la sicurezza fisica delle persone, legate alla presenza di terroristi, 
oggi si è trasformata in una minaccia diversa ma che si è altrettanto trascinata nella 
nostra vita cambiando anche in questo caso le regole del gioco. Prima del crollo 
delle torri gemelle viaggiare era meno complicato, si aveva molta più libertà, 
banalmente era possibile imbarcare liquidi in una confezione, i livelli di sicurezza 
erano molto più bassi. Quell’evento ha reso la possibilità di una terrificante guerra 
molto più vivida e reale. Riorientando il bisogno di sicurezza e ridefinendo nuove 
logiche di approccio alla socialità. Molti sono stati, negli ultimi 20 anni, gli eventi 
critici che hanno ridefinito nuove logiche di comprensione e azione del mondo 
circostante: l’immigrazione clandestina, la crisi finanziaria del 2008, la crisi
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europea con il quasi fallimento della Grecia, la minaccia della corea di scatenare un 
conflitto globale. Tutti questi sono pezzi di una narrativa di cronaca che insieme 
alle prime grandi pandemie alimentari come la mucca pazza, l’aviaria e l’influenza 
suina, hanno dato vita ad un’attenzione ambientale satura di angoscia e insicurezza 
rispetto al sentiment dei consumatori, al loro futuro economico e al loro benessere.  
2.3.1 L’ICS per misurare gli effetti della crisi sui consumatori  
 
L’effetto di tali eventi si sostanzia attraverso indicatori oggettivi quali ad esempio 
il Pil. Difatti, con l’evoluzione in cui vediamo esserci una recessione - ovvero una 
diminuzione della crescita economica del paese - il consumatore reagisce con un 
indicatore di confidenza, cioè di fiducia, rispetto al suo benessere economico futuro 
in maniera più che esponenziale. Anche a fronte di un momento di recupero parziale 
il consumatore vive un’ansia molto maggiore. Ciò significa che i consumatori, in 
una prospettiva di insicurezza dei redditi futuri, saranno sicuramente meno disposti 
a comprare prodotti e a sostenere l’economia con le proprie spese. Uno strumento 
utile per la comprensione e la previsione in tal senso dei comportamenti d’acquisto 
è l’ICS (Index of Consumer Sentiment) il quale, come esposto nel precedente 
capitolo, ci fornisce una fotografia del clima generale e della conseguente 
intenzione di fare acquisti e spese (Lozza, Bonanomi, Castiglioni, Bosio, 2015). In 
particolare, durante i periodi di crisi, l’ICS si è dimostrato efficace nella variazione 
percentuale degli acquisti, piuttosto che sui valori assoluti in sé, dunque nel 
rappresentare i cambiamenti tra uno specifico trimestre e l’altro. Ancora, oltre che 
della quantità di acquisti, l’ICS fornisce preziose informazioni sulla qualità degli 
stessi, aprendo la possibilità di riflettere non solo sui volumi, ma anche sulle 
strategie d’acquisto messe in atto dai consumatori in situazioni incerte e particolari 
(Lozza, Bonanomi, Castiglioni, Bosio, 2016). 
Nel tentativo di comprendere meglio il sentiment del consumatore in riferimento ad 
eventi non economici, come nel caso di un’emergenza sanitaria epidemica, è utile 
riportare uno studio del 2006 realizzato da Bosio, Graffigna e Lozza, dove si indaga 
l’effetto di eventi terroristici sui climi di consumo. Le conclusioni evidenziate e più
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consone, per essere traslate ad altri eventi di natura non terroristica, sono l’impatto 
che tali eccezionali situazioni possono avere sulla percezione di sicurezza sociale 
dei cittadini, a sua volta fattore che influenza il sentiment sui comportamenti 
d’acquisto. Si intende con sicurezza sociale non solo la sicurezza fisica, ma anche 
quella relativa alla stabilità del lavoro e dei risparmi, percezioni che si traducono in 
potenziali cambiamenti nelle intenzioni d’acquisto (Bosio, Graffigna, Lozza, 2006). 
Altro aspetto da sottolineare, sulle informazioni che fornisce l’utilizzo di questo 
strumento, riguarda gli effetti della crisi sul clima di consumo in quanto questi si 
rilevano due o tre mesi dopo l’effettiva data degli eventi considerati, suggerendo un 
periodo di “elaborazione” prima che si palesino le conseguenze.  
 
2.3.2 Le crisi economiche secondo un modello psico-sociale  
 
Il periodo di rielaborazione che intercorre tra l’evento critico e le rilevazioni 
dell’impatto sui consumatori è stato riscontrato anche dagli studi di L. Ferrari e G. 
Venini (2006) i quali si sono approcciati allo studio delle crisi economiche da una 
prospettiva psico-sociale. Gli autori hanno individuando due macro-fasi: lo 
sfaldamento dei legami sociali e la loro ricomposizione. La prima fase si distingue 
per un panico conseguente al momento di shock, questo momento è generalizzabile 
a tutti gli eventi di crisi. Successivamente si assiste ad un periodo di anomia e di 
sospensione morale, causato dal panico iniziale e caratterizzato da comportamenti 
antisociali che nei casi più gravi possono sbocciare in saccheggi, assalti alle banche, 
ai negozi e ai supermercati, determinando un forte aumento della criminalità. 
Durante le prime due fasi si accumula una grande quantità di frustrazione e rabbia, 
che sfocia nella ricerca del colpevole, con la caccia all’identificazione dei 
responsabili della situazione. Questa si declina solitamente in due modi, anche 
simultanei: la ricerca del colpevole interno, solitamente declinata verso la classe 
dirigente e politica, e la ricerca esterna, verso gli organi internazionali e gli altri 
stati stranieri (Ferrari, Venini e Ferrari, 2006). Quella della rabbia e della ricerca 
del colpevole è un tentativo di razionalizzazione sociale del disastro, in forma di 
designazione collettiva delle cause e dei colpevoli. Questo processo non risponde
28 
 
solo ad un bisogno di sfogare la rabbia accumulata, ma anche alla necessità di dare 
senso agli eventi che, come spesso accade nell’economia, appaiono inspiegabili e 
arbitrari. Si tratta di una fase carica di tensioni, che tuttavia costituisce l’apripista 
per il quarto e ultimo stadio, in cui avviene un processo di ritorno dell’ordine e di 
riparazione dei danni psicologici, economici e sociali. La riparazione dei danni 
psicologici significa operare una ristrutturazione cognitiva ed emotiva del presente, 
con cambiamenti nel linguaggio e attribuendo nuovi significati a ciò che succede.  
 
2.4 La percezione del rischio 
Il rischio percepito rappresenta una variabile importante nell’analisi psicologica 
dell’individuo, in particolar modo se in relazione ad un evento di crisi. Innanzitutto, 
è necessario fare una distinzione tra due tipologie di rischio: il rischio oggettivo e 
il rischio soggettivo. Diversi studi (Mertz, Slovic e Purchase, 1998; Slovic, 2000) 
hanno dimostrato che gli individui, essendo immersi in un sistema complesso, 
raramente riescono a concepire il rischio come qualcosa di oggettivo e misurabile, 
poiché l’aspetto emotivo e caratteriale influenza notevolmente le sue capacità di 
valutazione. Intercorre dunque, una sostanziale differenza tra quelli che sono i rischi 
oggettivi, ovvero la probabilità statistica che un determinato evento si verifichi, e 
quelli che sono i rischi soggettivi percepiti da ogni individuo (Oltedal, Moen, 
Klempe, Rundmo, 2004). La psicologia si è dedicata a questo tema con grande 
attenzione, inizialmente accorpandolo al modello dei tratti di personalità, 
inquadrandolo come costrutto dipendente (Zuckerman, 1974), e successivamente 
considerandolo frutto del processo di apprendimento (Bandura, 1977). Un 
approccio più integrato e sistemico alla percezione del rischio, nell’ambito della 
psicologia della salute, è rappresentato dall’Health Belief Model, proposto da 
Rosenstock (1974) e modificato da Becker e Maiman (1975). L’assunto di base del 
modello è che il comportamento delle persone è espressione e funzione delle loro 
credenze, in particolare della percezione che si ha della minacciosità del problema 
e dell’attribuzione di valore assegnato alle possibili azioni per ridurre tale rischio. 
Nello specifico, le variabili preponderanti dell’Health Belief Model sono: il grado 
percepito di rilevanza personale della minaccia, ovverosia quanto il problema è
29 
 
vissuto come vicino; la gravità percepita della minaccia, ossia il livello di 
preoccupazione rispetto alle conseguenze della malattia; i fattori motivazionali 
insieme al sistema caratteriale dell’individuo che riorientano la percezione in 
maniera soggettiva (Becker, Maiman, 1975).  Sebbene tale modello abbia 
considerato numerosi fattori, tra le principali critiche si sottolinea la forte 
focalizzazione sul piano individuale, che porta all’esclusione di fattori e variabili 
economiche, sociali e culturali. Su queste basi inizialmente Fishbein e Ajzen 
delineano la Teoria dell’azione pianificata (1975), e successivamente la sua 
evoluzione nell’Integrative Model of Behavioural Prediction (Fishbein, 2009). In 
particolare, quest’ultima evoluzione del modello riconfigura l’outcome 
comportamentale come frutto sia delle credenze sul comportamento stesso sia 
dell’intenzione, ossia credenze che concorrono all’intenzione di agire che, se i limiti 
ambientali e le capacità individuali non lo impediscono, andrà a determinare la 
messa in atto del comportamento (Fishbein, 2009). Le determinanti dell’intenzione 
sono: l’autoefficacia (self-efficacy) che l’individuo si attribuisce nel mettere in atto 
un comportamento; l’atteggiamento verso un determinato comportamento, in cui 
rientra la variabile del rischio percepito e la percezione delle norme, che estende il 
focus alle credenze che l’individuo ha circa atteggiamenti e credenze che le persone 
attorno a lui hanno relativamente al determinato comportamento. Chiaramente 
l’aspetto relativo alle norme è stato di particolare rilevanza nel corso 
dell’evoluzione pandemica, specialmente per la prima e seconda fase durante le 
quali sono state adottate misure di contenimento specifiche per fronteggiare 
l’emergenza epidemiologia (d.l. 25 marzo 2020, n.19). È stata limitata la 
circolazione delle persone, condizionando la libertà di spostamento entro uno 
specifico spazio e tempo; è stata imposta l’adozione di protocolli sanitari come 
l’uso della mascherina, guanti e un distanziamento interpersonale di almeno un 
metro; sono state sospese attività ludiche, ricreative, sportive e motorie svolte 
all’aperto o in luoghi aperti al pubblico. Queste, che sono solo alcune delle misure 
imposte dal governo per limitare la diffusione della pandemia, sono state veicolate 
attraverso canali multimediali per ingaggiare la popolazione nazionale al fine di
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incentivare i cittadini nella “lotta” contro la pandemia, sviluppando una percezione 
di autoefficacia nell’adozione dei comportamenti preventivi.  
2.4.1 Il ruolo dell’engagement nella gestione e prevenzione dell’epidemia 
 
Rispetto al tema dell’engagement un modello di particolare rilevanza per l’analisi 
dei cittadini/consumatori in riferimento all’emergenza Covid-19 è il People Health 
Engagement Model (Graffigna & Barello, 2018). Tale modello viene utilizzato per 
valutare il grado con cui gli individui si sentono coinvolti in prima persona nella 
gestione e prevenzione dell’epidemia. Questo fenomeno, che in letteratura 
scientifica è definito engagement, viene stimato ed operazionalizzato con la scala 
di misura PHE-Scale che, nella situazione di emergenza, è stato utilizzato per 
descrive tre posizioni incrementali di engagement, correlate a diversi livelli di 
partecipazione della persona nella gestione della salute e nei comportamenti 
preventivi (Savarese et al., 2020). La prima posizione, nominata di “allerta”, ha 
considerato i non ingaggiati, ovvero tutti coloro che hanno comunicato paura e 
disorientamento, manifestando comportamenti disorganizzati nell’applicazione 
delle misure sanitarie imposte. La posizione di “accettazione” ha compreso invece 
tutti coloro che, posti in una condizione intermedia di engagement, non hanno 
elaborato lo stato di preoccupazione adottando le prescrizioni terapeutiche. 
Tuttavia, si tratta di persone che non riescono ancora ad essere del tutto razionali 
ed efficaci nelle scelte comportamentali relative al rischio di salute. Infine, la 
posizione di “equilibrio” è una condizione di pieno engagement, rientrano in questo 
profilo tutti coloro che sono riusciti ad accettare e adattarsi alla situazione critica 
vissuta, sforzandosi di trovare nuove forme di normalità.  
La ricerca mette in luce come la dimensione dell’Engagement influenzi la capacità 
dell’individuo nell’articolare forme diverse di risposta all’emergenza da Covid-19. 
Infatti, chi nella popolazione è in stato di equilibrio (16%) appare agire in modo 
sinergico con il sistema sanitario e con le prescrizioni per ridurre il rischio di 
contagio, mentre chi è in stato di allerta psicologica (23%) risulta in difficoltà ad 
elaborare adeguate strategie in risposta alla diffusione del Covid-19 (Savarese et al, 
2020).