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Il bias di conferma nella comunicazione scientifica: la persistenza della disinformazione rispetto al cambiamento climatico

Oggi come non mai, a causa dell'innovazione tecnologica siamo sommersi da nozioni, ed è essenziale sapersi informare autonomamente ed essere a conoscenza di quello che ci circonda, soprattutto se si tratta di messaggi che riguardano problematiche delicate, come la salute, la prevenzione o il clima. Tuttavia, la comunicazione non è un processo unidirezionale né univoco, ma implica un'interazione complessa tra due o più individui e il contesto di riferimento. "Comunicazione", infatti, deriva dal latino "com" e "munire" e significa appunto "mettere in comune" (Treccani, 2017), è infatti un processo di scambio tra due o più interlocutori che ne influenza i comportamenti futuri e gli atteggiamenti in un determinato contesto, stabilendo e modificando legami. Il processo di trasmissione, dunque, non è l'unica componente determinante nel plasmare o modificare convinzioni, atteggiamenti e comportamenti, ma vi sono una molteplicità di fattori cognitivi, emotivi e sociali che intervengono e sottopongono al vaglio le ricezioni. Sono stati eseguiti diversi studi che affrontano come le informazioni scientifiche siano sottoposte a dei filtri cognitivi ed emotivi da parte dell'ascoltatore, il quale molto spesso le seleziona in base all'autorevolezza o alla simpatia che nutre verso la fonte, a stimoli emozionali, all'esperienza passata, alle norme sociali, alle sue convinzioni già precedentemente fondate o euristiche e scorciatoie cognitive.
Tutto questo può provocare disinformazione.
L'articolo di Zhou e Shen "Confirmation Bias and the Persistence of Misinformation on climate change" (2021), tratto dalla rivista "Communication research", che in seguito analizzerò, tratta proprio del pregiudizio di conferma e della persistenza della disinformazione rispetto al cambiamento climatico. Nonostante vi siano evidenze scientifiche che l'inquinamento causato dall'uomo stia portando a cambiamenti ecologici, le opinioni del pubblico statunitense sono sempre più polarizzate tra negazionismi e non, e questa negazione non si limita solo al cambiamento climatico, ma anche ad altri argomenti come il tabagismo, l'evoluzione, i vaccini (Ballew et al. 2019). Occorre comprendere il processo per cui il bias di conferma influisca sui fattori di elaborazione e percezione delle informazioni che sono coinvolti nel creare l'influenza persuasiva della disinformazione (Zhou & Shen, 2021). Tutto ebbe inizio negli anni '70 quando il legame tra le attività dell'uomo e il surriscaldamento globale è stato messo in dubbio. Negare l'evidenza fu una strategia messa in atto dall'industria dei combustibili fossili e già utilizzata col fenomeno del tabagismo. I suoi vertici conoscevano le conseguenze delle emissioni di carbonio, e temevano infatti l'emergere di politiche ambientaliste, decisero dunque di finanziare gli stessi scienziati che avevano lavorato per le multinazionali del tabacco per mettere in discussione il cambiamento climatico e per definire prematuri gli accordi per limitare le emissioni. Il risultato è stato un inquinamento dell'informazione pubblica, sfociato nell'era internet in fare news, bufale e scetticismo. Così buco nell'ozono, effetto serra e piogge acide risultano essere per molti pure invenzioni.
Nel primo capitolo farò un inquadramento teorico ricollegandomi anche a teorie precedenti e già affrontate nel mio corso di studi per comprendere meglio le tematiche e le questioni affrontate nello studio, in modo particolare approfondirò il bias di conferma e la teoria della dissonanza cognitiva, i processi di decodifica, la disinformazione, la comunicazione del rischio e la polarizzazione dell'atteggiamento.
A seguire, nel secondo capitolo analizzerò criticamente uno studio condotto dagli autori Zhou e Shen (2021) tratto dalla rivista "Communication research" e ne farò un riassunto dettagliato, per mostrare la loro prospettiva e i risultati della loro ricerca rispetto alla disinformazione in ambito scientifico.
Nel terzo presenterò gli autori e metterò in luce la rilevanza teorica dello studio nel contesto di riferimento, i limiti che esso riporta, le eventuali questioni aperte ed i possibili sviluppi futuri.
Nel quarto e ultimo capitolo riporterò delle considerazioni e riflessioni personali su quanto analizzato e sul fenomeno della disinformazione scientifica in generale.

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Introduzione Oggi come non mai, a causa dell’innovazione tecnologica siamo sommersi da nozioni, ed è essenziale sapersi informare autonomamente ed essere a conoscenza di quello che ci circonda, soprattutto se si tratta di messaggi che riguardano problematiche delicate, come la salute, la prevenzione o il clima. Tuttavia, la comunicazione non è un processo unidirezionale né univoco, ma implica un’interazione complessa tra due o più individui e il contesto di riferimento. “Comunicazione”, infatti, deriva dal latino “com” e “munire” e significa appunto “mettere in comune” (Treccani, 2017), è infatti un processo di scambio tra due o più interlocutori che ne influenza i comportamenti futuri e gli atteggiamenti in un determinato contesto, stabilendo e modificando legami. Il processo di trasmissione, dunque, non è l’unica componente determinante nel plasmare o modificare convinzioni, atteggiamenti e comportamenti, ma vi sono una molteplicità di fattori cognitivi, emotivi e sociali che intervengono e sottopongono al vaglio le ricezioni. Sono stati eseguiti diversi studi che affrontano come le informazioni scientifiche siano sottoposte a dei filtri cognitivi ed emotivi da parte dell’ascoltatore, il quale molto spesso le seleziona in base all’autorevolezza o alla simpatia che nutre verso la fonte, a stimoli emozionali, all’esperienza passata, alle norme sociali, alle sue convinzioni già precedentemente fondate o euristiche e scorciatoie cognitive. Tutto questo può provocare disinformazione. L’articolo di Zhou e Shen “Confirmation Bias and the Persistence of Misinformation on climate change” (2021), tratto dalla rivista “Communication research”, che in seguito analizzerò, tratta proprio del pregiudizio di conferma e della persistenza della disinformazione rispetto al cambiamento climatico. Nonostante vi siano evidenze scientifiche che l’inquinamento causato dall’uomo stia portando a cambiamenti ecologici, le opinioni del pubblico statunitense sono sempre più polarizzate tra negazionismi e non, e questa negazione non si limita solo al cambiamento climatico, ma anche ad altri argomenti come il tabagismo, l’evoluzione, i vaccini (Ballew et al. 2019). Occorre comprendere il processo per cui il bias di conferma influisca sui fattori di elaborazione e percezione delle informazioni che sono coinvolti nel creare l’influenza persuasiva della disinformazione (Zhou & Shen, 2021). Tutto ebbe inizio negli anni ‘70 quando il legame tra le attività dell’uomo e il surriscaldamento globale è stato messo in dubbio. Negare l’evidenza fu una strategia messa in atto dall’industria dei combustibili fossili e già utilizzata col fenomeno del tabagismo. I suoi tesi di laurea 3

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Gerosa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore:  
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 33

FAQ

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Parole chiave

cambiamento
bias
climatico
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