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APPROFONDIMENTI

Il bullismo mediato

24/01/2007

Il bullismo mediato

Negli ultimi tempi si sente molto parlare di bullismo: trasmissioni televisive, dibattiti, scambi di opinione che hanno come obiettivo quello di informare il pubblico sulla complessa tipologia di cui si compone il fenomeno delle prepotenze scolastiche. Spesso, però, creano allarmismo negli ascoltatori, impedendo, nella maggior parte dei casi una sana informazione. Ma dov’è l’errore (se di errore si può parlare), il bullismo è sempre esistito e siamo noi ad esserci accorti solo oggi della sua presenza o forse il punto di vista dal quale lo osserviamo non ci permette di vedere tutte le sue sfaccettature? Partiamo da una certezza: il bullismo esiste e si manifesta oggi, in forme e tipologie che ben si adattano all’evoluzione della moderna società tecnologica. Ed è proprio questo lo spunto per analizzare il fenomeno in una prospettiva diversa che considera ad ampio raggio proprio il cambiamento delle prepotenze scolastiche. Il bullismo viene definito come un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da una persona – o da un gruppo di persone- più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole. Mentre i primi studi avevano evidenziato la presenza del fenomeno nelle scuole elementari e medie, ragazzi con un’età compresa tra i 6 ed i 13 anni, oggi, studi recenti evidenziano la diffusione del bullismo anche nella fase adolescenziale coinvolgendo così anche i ragazzi che frequentano le scuole superiori Questo termine, tradotto dall’inglese bullying, si riferisce ad una situazione in cui c’è contemporaneamente qualcuno che prevarica e qualcun altro che è prevaricato. Non si tratta perciò di una situazione statica, ma di un processo dinamico in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti ed agiscono in un preciso contesto, ove anche altre persone (adulti e coetanei) giocano un ruolo significativo. Non stiamo parlando, quindi, semplicemente di un “atto aggressivo”, ma di una tipologia ben più complessa che presenta delle caratteristiche distintive, che sono: l’intenzionalità, la persistenza nel tempo e l’asimmetria della relazione.
Si intuisce subito come queste forme di prevaricazione non siano dettate da un istinto momentaneo; il bullo agisce con l’intenzione e lo scopo preciso di dominare l’altra persona, di offenderla e di causarle danni e disagi. A questo si uniscono le caratteristiche di continuità e perseveranza nel tempo. È essenziale sottolineare l’aspetto della frequenza: anche se un singolo episodio di grave prevaricazione può essere catalogato come una forma di bullismo, la letteratura fa generalmente riferimento ad atti di prepotenza che si ripetono nel tempo e con una certa frequenza, nei confronti di bersagli pressoché costanti. Con questa accezione è possibile escludere le offese sporadiche e non gravi ed evidenziare invece l’aspetto di continuità ed intenzionalità, la volontà di ferire e danneggiare colui che assume il ruolo di bersaglio. Per quanto riguarda la relazione bullo/vittima è evidente la disuguaglianza di forze e di potere per cui uno dei due sempre prevarica e l’altro sempre subisce senza riuscire a difendersi. La relazione che si instaura è essenzialmente asimmetrica, questo significa che il bambino assunto come bersaglio ha difficoltà a difendersi e si trova quindi in una posizione di impotenza. Ciò vale in termini di squilibrio di potere, ma anche di forza fisica vera e propria: il bullo è generalmente più grande del suo bersaglio oppure, se coetaneo, risulta più forte rispetto alla media dei ragazzi della sua età e in particolare rispetto alla vittima. Ma il bullismo coinvolge anche altri attori ed è frequente il caso in cui a mettere in atto le prepotenze sia un gruppetto di due o tre persone ai danni di una sola vittima [1] .
Le modalità attraverso le quali si possono manifestare episodi di bullismo sono diverse; più o meno esplicite, più o meno evidenti. Nel caso di un’aggressione fisica con pugni, botte, calci, percosse di varia natura ed intensità è evidente il verificarsi di un contatto fisico tra il bullo e la vittima. La stessa violenza, tuttavia, può essere diretta non esclusivamente alla persona, ma anche ai suoi oggetti. Non è raro il caso in cui alcuni oggetti di proprietà della vittima vengono sfregiati, rotti o rubati. Oltre all’aggressione fisica, il bullo spesso ferisce con le parole, minacciando, insultando, ingiuriando, deridendo la vittima. Spesso, il linguaggio offensivo è accompagnato da gesti di scherno o da posture che mettono in ridicolo l’altro. Generalmente, le prepotenze perpetrate attraverso mezzi fisici o verbali vengono definite dirette, trattandosi di attacchi manifesti compiuti direttamente nei confronti della vittima. Gli esempi sopra riportati si riferiscono per lo più a questa modalità di prevaricazione. Il bullismo indiretto, invece, è caratterizzato da modalità meno cruente ma non per questo meno lesive: si tratta essenzialmente di forme di isolamento sociale, allontanamento o esclusione dal gruppo, diffusione di pettegolezzi o dicerie; in tutti questi casi viene evitato un contatto diretto con la vittima e sono utilizzate forme di prepotenza indirette. Le modalità di prevaricazione, seppur molto diverse tra loro, si inscrivono tutte nell’ambito di un più ampio processo di comunicazione ed evidenziano, come condizioni generali, l’intenzionalità di arrecare danno, la sistematicità e un chiaro squilibrio di potere. Le diverse modalità rispecchiano anche le differenze sessuali tra i bulli in quanto le prepotenze indirette (dicerie, pettegolezzi, etc.) vengono agite maggiormente dall’emisfero femminile rispetto a alle prepotenze fisiche dell’emisfero maschile. Un ultimo elemento che, in questa premessa generale è interessante evidenziare, riguarda i luoghi dove possono avvenire questi episodi di bullismo. I contesti sono gli ambienti scolastici: le aule, i corridoi, il cortile, i bagni ed in genere i luoghi isolati o poco sorvegliati, come per esempio gli spogliatoi della palestra o i laboratori. Inoltre, generalmente i bulli e le vittime fanno parte della stessa classe, per cui è facile che questa diventi il luogo privilegiato in cui si manifestano le prevaricazioni.
Ma non soltanto. I bulli oggi utilizzano la tecnologia, riprendono con il telefonino le angherie perpetuate, insultano la vittima con un sms e tra i più grandi si sta diffondendo anche l’uso di internet. Non ci sono studi sull’argomento ma è necessario soffermarsi su questa evoluzione e soprattutto iniziare ad interrogarsi sulle possibili vie percorribili per affrontare questa difficile problematica. La Media education può essere una valida cornice entro la quale inserire questa riflessione. Educare ai media, attraverso i media e per i media, questa la prospettiva della Media education che guarda ad essi come ambienti di educazione e socializzazione. Il termine Media education indica, infatti, sia l’educazione con i media, considerati come strumenti da utilizzare nei processi didattici e come parte dell'esperienza formativa dei ragazzi, sia l’educazione ai media, che si riferisce piuttosto alla comprensione critica dei testi e del sistema mediale, intesi non solo come strumento ma linguaggio e cultura, sia infine, la prospettiva di una didattica realizzata attraverso l’utilizzo pratico del mezzo mediale.
In ritardo rispetto a quanto avvenuto negli altri paesi europei, oggi anche in Italia la Media education sta acquisendo diritto di cittadinanza. E’ solo agli inizi degli anni settanta che, nel nostro paese, l’istituzione scolastica inizia ad interrogarsi sull’importanza dell’educazione all’audiovisivo e ai media. L’idea, sperimentale, per affrontare in maniera diversa il difficile tema del bullismo in classe, è proprio quella di coniugare l’attività didattica con problematiche sociali, vissute direttamente dai ragazzi, e da loro stessi analizzate. L’orientamento scelto predilige la formazione personale attuando una forma di educazione che contribuisce effettivamente al processo di personalizzazione, attraverso il quale si giunge a definire un individuo come persona competente, unica, specifica e soprattutto autonoma. In pratica, promuovere laboratori scolastici con i media che permettono al ragazzo non solo di sviluppare una conoscenza critica del mezzo ma anche di promuovere una cultura del dialogo in grado di favorire una riflessione di gruppo sulle problematiche affrontate. In breve, utilizzare i media, in accordo con l’attività didattica, per aprire uno spiraglio nella difficile lotta al bullismo considerando il bambino, non più come un soggetto in divenire verso uno standard di adultità ma bensì come un attore, un protagonista attivo nel presente.

Note:
1. D. Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze, 1996.


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