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APPROFONDIMENTI

Breve introduzione alla lettura del Mio Carso di Scipio Slataper

29/07/2010

Breve introduzione alla lettura del Mio Carso di Scipio Slataper

Scipio Slataper non ha mai goduto di costante attenzione da parte della critica ed è inoltre stato scarsamente oggetto di esaustive indagini. Diversa e più felice risulta invece la situazione delle indagini su un altro vociano di spicco, Giovanni Boine, per il quale gli studi sulla lingua e sull’opera sono stati abbastanza precoci, soprattutto grazie all’interessamento di Gianfranco Contini già nel 1939.

Il mio Carso, pur nella miriade di ristampe prodotte per tutto il Novecento e sino ai giorni nostri, non ha ricevuto un’attenzione appropriata. Emerge anzitutto un’asistematicità filologica: soltanto a partire dal 2006 si comincia un proficuo studio sui materiali d’autore ed è auspicabile un’edizione critica, oltre che una riedizione di tutti gli scritti.
Slataper si definisce «slavo – tedesco – italiano», si considera più rozzo e tagliente rispetto agli amici della «Voce», dice di possedere una «brutalità fresca» che gli altri vociani non possiedono.

Com’è noto, nel Mio Carso realizza un’autobiografia lirica frammentaria, tramite giustapposizioni di evocazioni, narrazioni, momenti lirici. La visione d’insieme risulta soltanto alla conclusione della lettura. Le modalità di composizione e la genesi del testo confermano quest’idea di romanzo come mosaico instabile e spezzato. Pubblicato infatti nel maggio 1912, il romanzo è frutto di materiali d’autore preesistenti: la Calata e la Salita, i due intermezzi, provengono da due articoli lirici pubblicati già nel 1910 sulla «Voce»; Slataper attinge inoltre a stesure già del 1909, riplasmate in funzione del romanzo.

Lo stile del Mio Carso conferma le tendenze antiretoriche, antiletterarie ed eversive della prosa del primo ‘900. Slataper costruisce un prodotto mediano in cui convivono prosa e poesia: la prosa è infatti troppo ricca di echi per dirsi semplicemente prosa. Notiamo inoltre una tendenza espressionistica che si manifesta nell’alterazione delle normali strutture sintattiche, nella creazione di neologismi, nella dilatazione semantica e nella deformazione di termini già esistenti, nell’uso del dialetto.

Il dialetto alle volte si colloca su questa linea espressiva, altre volte ha il fine di inserire il lettore nell’atmosfera evocata. Lo stile oscilla pertanto tra una prosa fortemente ritmata e un linguaggio aderente al parlare comune: troviamo sintagmi latini in un contesto colloquiale; l’aggettivazione si fa improvvisamente preziosa; non mancano onomatopee, metafore e sinestesie, espedienti tipici della poesia.


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