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L'ermeneutica dialettica di Fredric Jameson

Forma, contenuto, interpretazione: l’erotica dell’arte di Susan Sontag

Secondo Susan Sontag l’interpretazione rappresenta per il mondo contemporaneo qualcosa di più che una pratica testuale, o una disciplina confinata nelle stanze dei dipartimenti di Humanities.

Essa è anche qualcosa di diverso da un tributo che la mediocrità (di un eventuale lettore) dovrebbe pagare al genio artistico (lo scrittore); è, al contrario, “the modern way of understanding something, and is applied to works of every quality”.

Si tratta, per Sontag, di una “malattia storica”, di un vizio della nostra cultura. L’attacco all’interpretazione coinvolge anche altri concetti che ci interessano da vicino, in quanto essa è valutata come ciò che sostiene, nella nostra epoca, l’antica idea di una dicotomia interna all’opera d’arte tra forma e contenuto.

Secondo Sontag, fin dall’apparire della prima “teoria dell’arte”, quella platonica della mimesis, l’arte fu coinvolta, suo malgrado, in una dinamica giustificativa, per cui le varie teorie sull’arte in un modo o nell’altro si sono sempre trovate a dover rispondere a domande circa la funzione dell’arte, la sua necessità, bontà o negatività; e al contempo

it is this defense of art which gives birth to the odd vision by which something we have learned to call form is separated off from something we have learned to call content, and to the well intentioned move which makes content essential and form accessory. (AI, p. 2)

E non importa, in realtà, che si rimanga o no all’interno di una teoria della mimesis, perché anche se l’opera d’arte, anziché essere concepita come una rappresentazione del mondo esterno, realistica o impressionistica, viene invece concepita come espressione, come è stato fatto a partire dall’espressionismo o anche dall’astrattismo, in realtà l’idea del contenuto viene sempre riaffermata nell’innocente quanto diffusa convinzione che l’arte, in ogni caso, “dica qualcosa”.

L’arte contemporanea (quella della seconda metà del XX secolo, diciamo), si muove verso un sempre più accentuato rifiuto del contenuto; e però questa idea viene tenuta in vita dal modo stesso in cui, oggi, ci avviciniamo all’arte:

Though the actual developments in many arts may seem to be leading us away from the idea that a work of art is primarily its content, the idea still exerts an extraordinary egemony. I want to suggest that this is because the idea is now perpetuated in the guise of a certain way of encountering works of art […]. What the overemphasis on the idea of content entails is the perennial, never consummated project of interpretation. And, conversely, it is the habit of approaching works of art in order to interpret them that sustains the fancy that there really is such a thing as the content of a work of art. (AI, p. 5)

In verità, le riserve di Sontag sull’interpretazione hanno meno a che fare con l’interpretazione in generale che con una sua particolare versione storica e con un particolare contesto storico. L’ermeneutica come disciplina interpretativa nasce, scrive Sontag, come tentativo di riappropriazione storica di testi del passato che, pur non potendo essere abbandonati, erano bisognosi di “aggiornamento” per poter essere ancora riconosciuti come vincolanti e/o fondativi.

È questo ad esempio il caso dell’ermeneutica patristica, od anche dell’interpretazione stoica di Omero (cfr. AI, p. 6). Nonostante ella dica, a proposito di questa ermeneutica antica, il cui principio e fine sono di “conservare” un testo “by revamping it”, che

“the interpreter, without actually erasing or rewriting the text, is altering it”, nondimeno accorda a questo tipo di ermeneutica una “delicatezza” che non è disposta ad accordare all’ “interpretation in our time”: the old style of interpretation was insistent, but respectful; it erected another meaning on top of literal one. The modern style of interpretation excavates, and as it excavates, destroys; it digs “behind” the text, to find a sub-text which is the true one. The most celebrated and influential modern doctrines, those of Marx and Freud, actually amount to elaborate systems of hermeneutics, aggressive and impious theories of interpretation. (AI, p. 6- 7)

Ciò che è qui in questione è la differenza tra due modelli ermeneutici. Il primo è rappresentato dall’ermeneutica classica e soprattutto patristica, costruita come una sequenza di livelli e in cui ogni livello genera il successivo: nel sistema medievale il livello “letterale” viene lasciato sussistere, poiché è la sua “insufficienza semantica” (per l’interprete), non la sua “falsità”, a generare il secondo livello “morale”; il quale a sua volta, sempre tramite lo stesso meccanismo, genera l’“allegorico”, dal quale scaturisce l’ “anagogico” alla stessa maniera.

Così una ermeneutica di questo tipo funziona come una lente prismatica multi-prospettica, e consente una estrapolazione progressiva in cui il significato ulteriore non si sostituisce al primo quanto piuttosto vi si sovrappone o affianca.

L’altro modello ermeneutico è quello di una ermeneutica negativa (la definizione è di Ricoeur) che crea una distinzione tra testo e sub-testo, equiparando il primo a una apparenza falsa da demistificare. Sontag è molto chiara: questo tipo di interpretazione è “reactionary, impertinent, stifling” (AI, p. 7); ed è questo il caso delle “moderne” tecniche interpretative del marxismo e del freudismo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'ermeneutica dialettica di Fredric Jameson

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Pippa
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Alfonso Iacono
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 201

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