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Il paradosso del potere non realizzato. L'invasione sovietica dell'Afghanistan.

Potere nelle relazioni internazionali

La teoria delle relazioni internazionali che più si è dedicata allo studio del potere e alla sua distribuzione è quella realista, anche nella sua concezione neorealista. Il filone realista considera gli stati inseriti in un sistema anarchico simile allo stato di natura hobbsiano, in cui a prevalere è colui che è dotato di maggior potere, perciò si concentrano particolarmente sullo studio di questo concetto, considerando che detenerne quote maggiori è indispensabile per assicurarsi la sopravvivenza. Da tali linee di pensiero prende le mosse la teoria realista classica di Morgenthau, per il quale gli stati perseguono il potere in virtù della natura umana il cui tratto principale è la ricerca del tornaconto personale, della sicurezza e sopravvivenza.

Nel suo testo più influente, "Politics among Nations", edito per la prima volta nel 1948, Morgenthau illustra la sua teoria delle relazioni internazionali spiegando che il comportamento degli stati nell'arena internazionale dipende dalla natura umana, e descrivendo il potere come la conseguenza dello sforzo per dominare, come l'essenza stessa della politica internazionale, come scopo immediato della politica, per definirlo subito dopo come mezzo. La tensione tra potere come mezzo e come fine è una costante negli studi sul tema che già Russell aveva notato. Chi lo desidera come mezzo ha avuto in precedenza qualche altro desiderio, ed ora vuole trovarsi in condizione di poterlo soddisfare. Chi invece desidera il potere come fine a se stesso sceglierà il suo scopo soltanto alla luce delle possibilità di arrivarci. Come Raymond Aron e Kenneth Waltz, si ritiene che considerare il potere come fine lo svuoti della sua funzione. Un individuo, come una collettività, non mira ad acquisirne per se stessa ma allo scopo di attingere ad un altro fine, che nella vita internazionale può essere la sopravvivenza.

La concezione realista classica lo identifica con la detenzione di risorse: il potere di una nazione è determinato dalla quantità e dalla qualità delle risorse che possiede. Così facendo è possibile creare una gerarchia tra le nazione, al cui vertice sono situate le grande potenze, considerate gli attori principali del sistema, le cui azioni e relazioni conducono e determinano l'andamento della politica internazionale. Nel determinare tale gerarchia si ritiene che la forza militare sia l'ultima misura del potere. Il vincitori di una guerra sarà quindi l'attore dotato di maggior potere, e acquisirà prestigio dal buon uso che ne ha fatto. Affermando che il potere militare è superiore alle altre forme e che la guerra è il metro con cui se ne misura l'ammontare di uno stato, il realismo mette in campo un affermazione relazionale: il potere non si può conoscere a priori ma solamente con la verifica della guerra.
Carr, uno dei primi moderni realisti, nel suo The Twenty Year's Crisis, 1919 -1939, considera il potere degli stati in base alle risorse che possiedono, dicendo anche che la politica estera di una nazione è limitata dal proprio potere militare relazionato a quello delle altre nazioni. Perciò è importante accumulare potere, soprattutto militare, in quanto la gerarchia finale verrà definita da un confronto, da una relazione. In Aron possiamo leggere che il potere è la capacità di imporre la propria volontà, e ancora che tutte le unità politiche si sforzano di imporre alla altre la propria volontà.
Questa discrepanza è evidente nel lavoro di Waltz "Teoria della politica internazionale", dove viene considerato erroneo identificare il potere con il controllo, problema che per Waltz nasce dalla definizione americana, influenzata dalla tecnologia e che lo assimila al controllo. Per definire il potere Waltz parte dal rifiuto della definizione di Dahl, in cui è misurato dalla capacità di costringere gli altri soggetti a compiere azioni che altrimenti non avrebbero compiuto. Dare una simile definizione esclude gli effetti involontari che per forza di cose si manifestano nell'esercizio del potere, e implica che un fallimento nel tentativo di ottenere ciò che si vuole sia simbolo di debolezza. Dopo aver rifiutato la definizione relazionale considera un attore potente nella misura in cui è in grado di influenzare gli altri più di quanto questi influenzino lui, che è in tutto e per tutto una definizione di tipo relazionale.
Oltre a questa confusione, il filone realista deve difendersi anche da critiche che gli sono mosse da numerosi autori. Nye e Keohane criticano l'eccessiva enfasi che il realismo dedica al potere militare, ricordando, come fa anche Baldwin, che ne esistono anche altre che non sono da ritenersi subordinate a quello militare.
Per argomentare la loro critica Keohane e Nye sostengono che l'utilità della forza militare sta calando, in quanto il suo uso è diventato più costoso per gli stati avanzati poiché esiste il rischio di escalation nucleare, si è visto come le popolazioni di paesi più deboli tendano a resistere a interventi armati e, forse più importante, l'accrescimento dell'opposizione interna quando i costi umani diventano alti. Continuano la loro argomentazione sostenendo giustamente che eventuali attori non statuali possono trovare più facile utilizzare lo strumento militare, poiché un eventuale conflitto con una potenza avverrà sul loro territorio e l'utilizzo della violenza non incontrerà gli ostacoli morali, dovuti ai costi umani, che troverà all'interno dello stato nazionale. Tuttavia dopo aver sostenuto la diminuzione dell'importanza dello strumento militare i due studiosi riconoscono implicitamente che il potere militare è più importante delle altre forme. Per rispondere alla loro critica si può ricordare che il realismo si concentra principalmente sui rapporti tra le grandi potenze, rispecchiando quello che gli stessi stati fanno, cioè curare maggiormente le relazioni con gli attori principali del sistema, e preparandosi di conseguenza per condurre una guerra con loro e non con attori non statuali.

Il realismo, nel confrontarsi con il potere, sembra incontrare diverse difficoltà derivanti dal considerarlo come possesso di risorse che possono influenzare gli eventi, e poi definendolo in termini relazionali. Una tale contraddizione va ad aumentare la confusione che circondo il concetto di potere, poiché sembra si vada a definire il potere partendo dagli strumenti che si hanno per misurarlo. Il realismo misura il potere tramite le risorse che uno stato possiede, ma poi inconsciamente lo definisce in base ai risultati che l'attore ottiene. Come si è visto tutte le definizioni realiste da Carr a Waltz contengono un fondamento relazionale per cui, anche se considerano più potente l'attore con più risorse, eleggono al rango di protagonisti dell'arena internazionale, quelle che chiamano grandi potenze, che sono gli stessi stati che emergono vincitori da un conflitto generale, quindi gli stati che sono riusciti ad ottenere l'effetto desiderato, o a costringere un attore a compiere un azione che altrimenti non avrebbe compiuto.

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Il paradosso del potere non realizzato. L'invasione sovietica dell'Afghanistan.

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Informazioni tesi

  Autore: Gianluca Barbato
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Alessandro Colombo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 143

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