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La disciplina della trasparenza bancaria in Italia e cenni della disciplina in Europa

La disciplina della trasparenza bancaria nelle regolamentazioni della comunità europea

Fino ad ora si è parlato della disciplina della trasparenza bancaria solamente all’interno dell’ordinamento italiano in quanto è questo a cui facciamo riferimento.
Ora però si deve ricordare che l’ordinamento giuridico italiano, come quelli degli altri Paesi europei (esclusi Regno Unito e Svizzera), sono sottoposti al controllo e alle normative di un ordinamento superiore di cui fanno parte, cioè quello della Comunità Europea.
La Comunità Europea si è occupata della disciplina e della regolamentazione della trasparenza bancaria con la Direttiva numero 13 del 1993, recepita in Italia nel 1996, con effetto di integrare con altri articoli la disciplina della trasparenza presente nell’articolo 1469 del Codice Civile.
L’articolo 2 della Direttiva dà la definizione di consumatore, definizione ripresa in modo identico anche dal legislatore italiano il quale indica infatti che il consumatore è colui che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale. La motivazione della definizione di consumatore nella Direttiva sulla trasparenza bancaria è chiara: la normativa è rivolta alla protezione di quella che si presume sia la parte più debole durante la stipulazione di un contratto bancario, cioè il consumatore. Infatti la maggior parte delle volte il consumatore è un soggetto privato che non è esperto delle regole che esistono nella stipulazione dei contratti bancari e quindi è il soggetto che merita più protezione.
La Direttiva, poi, si occupa di un argomento che sta molto a cuore alla giurisprudenza britannica, come si vedrà nel capitolo successivo, cioè la vessatorietà delle clausole. Purtroppo questa normativa è ambigua su questo aspetto poiché l’articolo 3 dà vita a molti problemi interpretativi: prima di tutto se la buona fede degli intermediari nel mettere le clausole deve essere considerata in senso soggettivo od oggettivo; se il non rispetto della buona fede è un concetto diverso rispetto al concetto di squilibrio tra le parti o se si può considerare identico; infine, non si riesce a capire cosa intenda la Direttiva come “squilibrio significativo” (significa eccessivo? Significa grave? Significa rilevante?).
Per quel che riguarda il primo dubbio interpretativo si è risolto (almeno in Italia) considerando la buona fede in senso oggettivo, cioè considerando il fatto che un intermediario deve sapere cosa intende per buona fede (e quindi in che momento una clausola non è vessatoria) il proprio ordinamento nazionale e quindi a questo si deve adattare. Per il secondo aspetto si è stabilito che il concetto di squilibrio tra le parti non è identico al concetto di non rispetto della buona fede poiché squilibrio tra le parti ci può anche essere nella stipulazione di un contratto, a patto che questo non sia talmente rilevante da sfociare in una mancanza di buona fede, aspetto più grave poiché causato dalla volontà di una delle parti; ciò comporta che una clausola vessatoria è ritenuta tale fino a prova contraria.
In ogni caso, tralasciando questi problemi interpretativi, la Direttiva sugli altri punti è stata molto chiara.
Il primo punto è che il fornitore di servizi finanziari può recedere da un contratto con un consumatore in modo unilaterale e senza preavviso in caso di durata indeterminata del contratto (per esempio di conto corrente) e con la presenza di un motivo valido a patto però che il cliente venga immediatamente informato di questo fatto e che gli si indichi anche la motivazione (e qui sta la trasparenza a favore del cliente).
Un altro aspetto che riguarda il fornitore di servizi finanziari è la possibilità dello stesso di modificare gli interessi riferiti al contratto in atto con il cliente senza che diventino abusivi, sempre seguendo le indicazioni della Direttiva, se: il contratto è a tempo indeterminato e, soprattutto, se il cliente viene subito informato della possibilità di recesso immediato dal contratto.
Un ulteriore aspetto da esaminare pertiene al caso di jus variandi (il diritto che hanno le banche di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali), in cui la Direttiva spiega che le clausole non vengono considerate vessatorie in un contratto a tempo indeterminato se il cliente ne viene subito informato ed ha la possibilità di recedere.
In generale la Direttiva fa in modo di rispettare tre principi: il principio di concorrenza tra gli intermediari, il principio di correttezza nel commercio e, principio che riguarda più da vicino l’argomento della mia tesi, il principio di protezione del consumatore. In Italia, nel recepire la Direttiva, si è cercato di sottolineare la protezione del consumatore, infatti il modello italiano è uno dei più garantista per quel che riguarda la protezione dei diritti dei consumatori; questo si evince dal modo in cui vengono trattate le clausole vessatorie che, per iniziare, sono sottoposte agli stessi regimi speciali con cui vengono regolamentate dalla Direttiva, inoltre, sempre in Italia, le clausole vessatorie, anche se sono state oggetto di trattativa, vengono considerate comunque tali se escludono o limitano la responsabilità del professionista e se limitano l’azione del consumatore

Questo brano è tratto dalla tesi:

La disciplina della trasparenza bancaria in Italia e cenni della disciplina in Europa

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Informazioni tesi

  Autore: Alberto Degli Agostini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Gianni Solinas
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 50

FAQ

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