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La letteratura postcoloniale italiana. ''Regina di fiori e di perle'': impegno civile e ''contro-memorie'' collettive nel romanzo di Gabriella Ghermandi

Verità storica e finzione narrativa

Uno dei tratti caratteristici della letteratura postcoloniale è l'intrecciarsi continuo di realtà e finzione, per cui se da una parte la dimensione reale (frutto della propria esperienza personale e/o della ricerca storica) è la base imprescindibile da cui partono i romanzi, dall'altra gli autori non rinunciano mai all'invenzione che condiziona le strutture narrative a ogni livello, attraverso una duplice dimensione reale e fantastica in cui storie, personaggi, spazio e tempo oscillano continuamente. Tale duplice dimensione è spiegata da Silvia Albertazzi, che precisa nel suo studio come la rappresentazione del reale nelle letterature postcoloniali non possa mai prescindere dalla trasfigurazione fantastica:

Del resto, anche gli autori che scelgono di restare più vicini al realismo classico, se ne distaccano poi, regolarmente, nel tentativo di proporre una narrazione che si ponga in primo luogo come testimonianza delle loro società, una testimonianza che oggi non può più essere contenuta in una mera imitazione del reale. La fantasia è un mezzo per conciliare il mito con il racconto, l'eco delle sacre scritture con la banalità del quotidiano, la realtà magica dell'immaginario postcoloniale con gli orrori della cronaca.

In tal senso l'utilizzo del fantastico, lungi dal rappresentare una fuga dalla realtà, serve allo scrittore postcoloniale per darne invece visioni altre e scoprire ogni volta qualcosa di nuovo, assolvendo così la sua «funzione politica» attraverso l'affermazione della propria «differenza e la propria libertà d'espressione». Come spiega anche Salman Rushdie: «L'irrealtà è l'unica arma con cui la realtà possa essere distrutta, per poterla poi ricostruire»; posizione non molto lontana da quello che è considerato il più grande scrittore del cosiddetto “realismo magico”, Gabriel Garcia Marquez: «Credo che l'immaginazione non sia nient’altro che uno strumento per elaborare la realtà. E che la fantasia, o l'invenzione pura e semplice – come in Walt Disney, senza il benché minimo contatto con la realtà – sia la cosa più detestabile possibile». Si capisce allora come la scrittura frammentata, ibrida e spesso antirealistica della letteratura postcoloniale consista in realtà in una preciso intento ideologico che mira a ricreare “altre” storie e “altre” realtà.

Un esempio di tale ibridismo tra storia e finzione può essere rintracciato nella letteratura postcoloniale italiana nell'incrocio tra materiale storico, offerto per lo più da interviste, e invenzione fantastica, che ritroviamo nelle opere di Erminia Dell'Oro, in cui storie familiari e memorie personali si intrecciano sullo sfondo della storia dell'Eritrea durante il periodo coloniale attraverso il ricorso alla saga epica. Daniele Comberiati parla di «mito di fondazione» per spiegare il carattere epico di questi testi e si sofferma in particolare sull'incipit del primo romanzo Asmara addio, in cui assistiamo alla creazione di Modok, l'isola degli uccelli, e alla nascita della protagonista e voce narrante Milena la cui storia è seguita fin dalle vicende del nonno e prosegue per un secolo attraversando due generazioni:

Quando Dio creò Modok, l'isola degli uccelli, era in uno stato di eccitazione. Guardò il Mar Rosso, che era uno dei suoi capolavori, ed esaltato dalla bellezza di quei colori allungò la mano sull'acqua, accarezzandola.
Sbadigliando pigramente ed allungandosi in una strana forma di polvere di corallo Modok aprì gli occhi al sole. E subito migliaia di uccelli la scossero con il loro richiamo dicendole che era nata e le onde rosa e viola l'abbracciarono donandole conchiglie lucenti, poi si ritrassero perché rimanesse per qualche attimo da sola e si abituasse alla vita. Allora io, turbata da tanta bellezza, chiesi a Dio di farmi nascere. Possibilmente vicino a Modok. [] Dio decise di farmi nascere sull'altopiano, non lontano da Modok come gli avevo chiesto e fu così che fra le tante storie che disegnava qua e là sulla terra tracciò anche la mia, minuscolo, fragile disegno che avrebbe goduto di un respiro del tempo.


Come nella maggior parte delle opere di Erminia Dell'Oro, l'atmosfera mitica è favorita anche dalla frequenza con cui spesso le figure principali sono rappresentate da bambini o adolescenti nel cui sguardo, curioso e innocente allo stesso tempo, immaginazione e realtà, vita quotidiana e grande Storia si intrecciano continuamente, come sottolinea ancora Silvia Albertazzi:

L'innocenza dei protagonisti contrasta con la violenza del mondo che li circonda; l'innata curiosità e l'assenza di pregiudizi ideologici consentono loro di raccontare nella maniera più magica – e perciò, paradossalmente, più oggettiva possibile. Del resto, per l'adulto il bambino è il luogo del paradosso, cui non sa opporre che una calcolata indifferenza. “Invisibile” agli occhi dei grandi, il bambino si trova nella stessa situazione del soggetto coloniale, luogo del mistero, per i colonizzatori, e perciò rivestito di una particolare invisibilità. Narrare il mondo attraverso gli occhi di un “invisibile” assume allora una particolare valenza politica […].

La presenza di bambini e adolescenti fra i personaggi, inoltre, consente a Erminia Dell'Oro di rappresentare anche la contrapposizione del punto di vista dei ragazzi rispetto a quello degli adulti, come avviene per esempio nel romanzo L'abbandono, basato principalmente sul rapporto spesso oppositivo tra Marianna e la madre Sellas. Il rapporto contrastato madre-figlia, infatti, conferisce una duplice prospettiva alla narrazione. Inoltre, lo sguardo straniato dei più giovani è sempre contraddistinto da «uno stile che si serve del fiabesco e di toni lirici» che si collegano così alla tradizione orale dell'Eritrea, come già visto nella mitica fondazione di Modok, in Asmara addio.

Nell'opera di Erminia Dell'Oro, quindi, l'atmosfera magica che caratterizza le letterature postcoloniali si fa particolarmente evidente nelle descrizioni spaziali, in cui è spesso la memoria che, con la sua azione trasfiguratrice, crea luoghi reali e mitici allo stesso tempo. Un altro esempio emblematico di quest'atmosfera mitica resa attraverso lo sguardo trasognato dei ricordi è presente anche nella descrizione della «dolce Tripoli» ricordata dagli italiani nell'opera di Luciana Capretti:

Tripoli era dolce, per gli italiani. Dolce come i datteri che maturano lì, nel caldo torrido, e diventano vischiosi di zucchero, morbidi di abbandono, odorano di deserto, mare, Africa. Dolce come le banane che dall'alto profumano la città, che la incorniciano, corone gialle, spruzzate qui e là, sotto i ricami sospesi delle foglie. Che sfidano i ragazzini ad arrampicarsi su insieme alle scimmie, con il coraggio degli uccelli, per sfamarsi con la crema della terra.

In particolare, nel testo di Luciana Capretti la descrizione di Tripoli assume un ruolo talmente importante nella narrazione, tanto che la critica ha ipotizzato che la capitale libica possa essere considerata come un altro personaggio del romanzo o addirittura, come afferma Daniele Comberiati, la protagonista, la cui identità varia e molteplice ê ricostruita dall’autrice attraverso la rievocazione dei luoghi diversi della città. Cosi i vari punti di Tripoli: il quartiere ebraico, Hara, La Medina, il quartiere coloniale di Città Giardino, i negozi dei commercianti, la gelateria siciliana, sono descritti concretamente ma tenuti insieme dall’«alone immaginario» dei ricordi che avvolge la città di Tripoli, città reale e immaginaria allo stesso tempo.

Anche nella prosa di Erminia Dell'Oro, come abbiamo già individuato nel romanzo Asmara addio, la dimensione mitica caratterizza fortemente la narrazione coinvolgendo la descrizione dei luoghi che sono collocati così in una dimensione magica, perdendo spesso la propria oggettività per assumere valori allegorici, attraverso «una nuova geografia della spazio evocato». Un secondo esempio di questa descrizione mitica e allegorica dei luoghi nell’opera di Erminia Dell’Oro ci è dato dall'incipit dell’altro romanzo L'abbandono, in cui mediante una prosa estremamente lirica, la scrittrice presenta la figura dell'arcobaleno, «ponte luminoso» tra tempi e luoghi lontani:

L'universo, accendendo i suoi soli e le stelle negli spazi infiniti, vibrò per l'incanto che gli era toccato, ma capì che era solo, e per sempre. Fu allora che pianse. Un volo d'angeli attraversò i cieli illuminati dai molteplici soli, le ali screziate brillarono riflettendo la luce e disparvero; in quell'attimo l'universo si distese in un ampio respiro, le sue lacrime si cristallizzarono in altri mondi che serbarono il sogno, o il ricordo, delle ali illuminate dai soli.

La metafora del “ponte” che unisce mondi lontani in cui, tempo, luoghi e culture si congiungono, è espressa in toni altrettanto lirici e delicati nell'opera di Shirin Ramzanali Fazel, in cui si delinea la concezione di «spazio orizzontale» tipica delle letterature postcoloniali, concezione in cui vengono sovvertiti i concetti di centro/periferia e l'idea stessa di “confine”, come emerge dalla figura del bimbo Michele, nell’autobiografia romanzata Lontano da Mogadiscio:

I bambini come Michele sono tanti nel mondo, e se li lasciassimo parlare ci direbbero: “Azzurri sono gli occhi che mi hanno sorriso, scuro il seno che mi ha nutrito, bianca la mano che mi ha guidato, nero il ventre che mi ha dato la vita. Bianco o nero, io non distinguo i colori. Sono cresciuto con amore e senza pregiudizi. Passavo da un idioma all'altro con naturalezza, sono il ponte che unisce due mondi. Molti mi temono, conosco il loro animo. Sono un camaleonte; bianco-nero, nero-bianco; sono quello che gli altri non possono diventare. Fondo le due culture. Sono libero, il mondo è la mia casa ed i miei orizzonti sono infiniti.

Toni epici, allegoria, ibridazione caratterizzano quindi la scrittura postcoloniale in cui realtà e immaginazione si intrecciano continuamente per raccontare, come sostiene il noto scrittore marocchino Ben Jelloun: «storie magari inverosimili per cercare di capire una scheggia di realtà». Il trasporto del reale in una dimensione fantastica non coinvolge però solo le strutture narrative ma si riflette anche nella forma, che a sua volta si contraddistingue per il suo essere fuori dagli schemi dominanti e lontana da un tipo di lingua informativa, standard e lineare. Anche le forme linguistiche, infatti, concorrono alla rappresentazione di “altre” realtà attraverso la resa di un linguaggio ibrido, immaginario e metaforico al fine di «[...] Non riprodurre la realtà, ma di aggiungervi qualcosa».

Questo brano è tratto dalla tesi:

La letteratura postcoloniale italiana. ''Regina di fiori e di perle'': impegno civile e ''contro-memorie'' collettive nel romanzo di Gabriella Ghermandi

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Informazioni tesi

  Autore: Maria Mollo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Filologia Moderna
  Relatore: Maria Caterina Paino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 152

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