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La riforma delle banche popolari: analisi degli impatti

Il ruolo svolto dalle banche popolari durante la crisi finanziaria

Se dall’analisi dello stato patrimoniale e del conto economico è emerso come il settore delle banche popolari sia stato in grado di mantenere il rapporto con la propria clientela, costituita prevalentemente da piccole-medio imprese e famiglie, nonché di rispettare i dettami del regolatore centrale anticipando nella maggior parte dei casi i tempi richiesti per l’applicazione degli stessi, è stato opportuno a questo punto dell’analisi dare una dimensione di “quanto a fondo” questo settore abbia contribuito all’economia nazionale. La riforma del settore introdotta nel marzo 2015 avrà numerosi impatti, che sono stati approfonditi nella parte successiva, ma senza dubbio l’effetto principale sarà uno: verrà meno la differenza tra le principali banche popolari e le altre banche commerciali.

Una previsione ex-ante di quelli che saranno le implicazioni per l’economia del paese non riuscirebbe a cogliere la totalità degli aspetti in questione, per questo si é deciso di condurre l’analisi guardando al passato piuttosto che al futuro. È infatti del tutto pensabile che nel momento in cui verrà meno il carattere popolare di questi istituti, e avverrà la conversione in società per azioni, ci possa essere anche un cambio di rotta nelle politiche della banca dovuto al fatto che, in sede assembleare, il principio con cui si prenderanno le decisioni non seguirà più il metodo del voto capitario ma ci sarà una forte influenza degli azionisti di maggioranza. Ancora, è molto probabile che a seguito della conversione si inneschino processi di fusione con banche non popolari le quali, per loro natura, seguono storicamente politiche diverse in termini di clientela servita e presenza sul territorio.

Al fine di verificare l’impatto per il paese nel momento in cui verranno meno le principali banche italiane popolari si è posta la seguente domanda: cosa sarebbe accaduto se, durante la crisi finanziaria, il sistema bancario italiano avesse contato solo ed esclusivamente sull’apporto delle banche tradizionali? Si é ritenuto fondamentale condurre un’analisi di questo tipo perché, qualora si dovesse ripresentare una crisi finanziaria della portata di quella recentemente vissuta, non stupirebbe costatare che le banche oramai convertite in spa, e dunque non più popolari, non seguano più il trend vissuto quando erano istituti popolari ma si adegueranno a quanto fatto dalle altre banche. È stato constatato come il legame che si instaura tra la banca popolare ed il cliente medio-piccolo (che sia un’impresa o una famiglia) sia stato più forte nelle fasi recessive dell’economia. Le banche popolari sia a livello italiano che europeo, infatti, sono state destinatarie in misura decisamente marginale, quasi trascurabile, di interventi statali di sostegno a seguito di carenze di capitale derivanti dalla crisi, nonostante il loro forte e crescente ruolo nell’economia. Alcune delle principali istituzioni finanziarie, viceversa, ritenute dalle principali agenzia di rating come al di sopra di ogni sospetto (Lehman, Northern Rock e Dexia) sono state quelle che dalla crisi finanziaria hanno ricevuto la lezione più dura.

Il comportamento seguito dalle popolari, definibile “anticiclico”, non é stato casuale, bensì è stato riscontrato anche per periodi precedenti dal Fondo Monetario Internazionale e, più recentemente, dal Center For European Policy Studies che hanno costatato come negli anni precedenti la crisi (2002-2007) la crescita media annua di impieghi per le imprese di dimensione minori sia stata dell’8.5% per le banche popolari mentre per la generalità delle banche il dato è stato del 5.6%. Una delle tante lezioni che la crisi finanziaria ci ha lasciato è stata che è divenuto sempre più importante, e difficile, proteggere una delle principali risorse da sempre del nostro paese: il risparmio. Durante questa crisi infatti in molti sono stati costretti a consumare quanto accumulato con duri sacrifici nel corso degli ultimi anni per far fronte alle necessità, inderogabili della quotidianità in genere a fronte della perdita di un impiego o del travagliato mercato del lavoro. Secondo le indagini che sono state condotte dalla Banca d’Italia le condizioni economiche degli italiani sono peggiorate particolarmente tra il 2010 e il 2012 a causa, soprattutto, del forte rallentamento vissuto dal mercato immobiliare portando ad una riduzione del reddito familiare medio del 7.3% e della ricchezza media del 6.9% . In questo contesto profondamente incerto le banche popolari hanno continuato a canalizzare i loro impieghi verso la clientela di riferimento: il 75% della raccolta, infatti, è stata costantemente reinvestita nei territori di riferimento incidendo in maniera decisamente positiva sulle possibilità di sviluppo del territorio.

Per tornare all’obiettivo prefissato all’inizio del paragrafo é stato opportuno, a questo punto, entrare nel vivo dell’analisi volta a realizzare un confronto tra l’operatività della banche popolari e delle banche tradizionali durante la crisi finanziaria. Il campione su cui é stata condotta l’analisi é stato composto come segue.

Per le banche popolari:
* Banco Popolare;
* UBI;
* Banco Popolare dell’Emilia Romagna;
* Banco Popolare di Milano;
* Banca Popolare di Vicenza.

Per le banche tradizionali:
* Unicredit;
* Intesa Sanpaolo;
* Monte dei Paschi di Siena;
* BNL;
* Mediobanca.

La composizione del campione non è stata casuale. Si sono confrontati i primi 5 istituti popolari per totale attivo con i primi 5 istituti bancari tradizionali per totale attivo. L’analisi é stata condotta sulla base dei dati di bilancio disponibili per gli istituti presi in considerazione ed ha avuto, come orizzonte temporale di riferimento, il periodo 2008 – 2014. L’intento é stato quello di condurre l’analisi su un periodo sufficientemente grande al fine di poter considerare gli anni in cui la crisi finanziaria ha mostrato il suo volto peggiore. È stato importante evidenziare non tanto i valori assoluti desumibili dalle relazioni annuali, piuttosto gli andamenti delle principali voci di bilancio e le variazioni registrate nel periodo preso in considerazione per ogni settore.

Com’é stato sottolineato la prima conseguenza, e forse anche la più pesante, che la crisi finanziaria ha portato è stata relativa ad un forte razionamento dei crediti concessi dalle banche (credit crunch). La necessità di relazionarsi con una clientela che abbia determinati requisiti in termini di solidità, in primo luogo finanziaria, è divenuta una conditio sine qua non per le banche europee. È stato opportuno, dunque, studiare sulla base del campione preso in considerazione come sono variati gli impieghi posti in essere, in primo luogo in termini di crediti alla clientela. Successivamente è stato opportuno passare ad un altro aspetto che tendenzialmente determina il grado di presenza del territorio, e quindi la capacità di soddisfare le esigenze finanziarie della clientela servita, ossia la raccolta diretta.

A seguito dell’analisi che é stata condotta é risultato opportuno soffermarsi soprattutto su quelle che sono state le variazioni percentuali che sono state fate registrare nel periodo preso in considerazione. I risultati hanno lasciato ben poco spazio ad interpretazioni: la crisi finanziaria ha avuto un impatto decisamente maggiore sulle banche tradizionali considerate nel campione piuttosto che sulle banche popolari. Il dato più significativo probabilmente é stato registrato alla voce “Crediti verso la clientela”. Il timore principale che la crisi ha portato con se, relativo al già citato fenomeno del credit crunch, è stato un qualcosa di decisamente lontano dalla realtà delle banche popolari che, infatti, non solo sono riuscite a mantenere il livello di crediti alla clientela pre-crisi ma sono riuscite anzi ad aumentare nel complesso questi importi del 9.61% (+23,526 miliardi). L’analisi che é stata condotta nel paragrafo precedente, inoltre, ha dimostrato come tali impieghi siano stati per il campione preso in considerazione relativi in misura decisamente maggiore a crediti verso piccole medio-imprese e famiglie, a riprova del fatto che le banche popolari sono riuscite a mantenere il loro status di “Banca del territorio” anche in periodi di congiuntura economica decisamente negativi. Situazione radicalmente opposta è stata vissuta dalle banche tradizionali prese in considerazione per le quali la crisi finanziaria, in base all’analisi condotta, ha avuto ripercussioni decisamente più gravi.

Al fronte del già citato aumento dei crediti verso clientela concesso dalle banche popolari, le banche tradizionali hanno segnato nello stesso periodo di riferimento una riduzione notevole del 18.52% (-233,676 miliardi) causando una situazione di forte instabilità per l’economia del paese dalla quale ancora oggi si si sta facendo fatica ad uscire. La situazione per le banche tradizionali non è migliorata nel momento in cui si è analizzato l’andamento della raccolta diretta costituita da “Debiti verso clientela”, “Titoli in circolazione” e “Passività finanziarie valutate al fair value”. Ancora una volta per le banche popolari più che un periodo di crisi finanziaria è sembrato che quello preso in considerazione sia stato un periodo particolarmente florido. La raccolta è infatti aumentata dal 2008 al 2014 del 12.95% (+33,607 miliardi) a fronte della riduzione di 108,362 miliardi registrata dal campione costituito dalle banche tradizionali. Ad incidere in maniera maggiore sono stati i titoli in circolazione e le passività finanziarie valutate al fair value che si sono ridotti, in media, rispettivamente del 33.81% e del 38.27% a fronte di un aumento medio del 37.80% dei debiti verso la clientela.

La riduzione degli importi segnati alla voce “Titoli in circolazione” é stata la conseguenza, come già é stato accennato nel paragrafo precedente, di una progressiva rinuncia da parte della clientela tradizionale nella sottoscrizione di titoli di natura obbligazionaria giustificata dalle crescenti perplessità in merito al rendimento di tali titoli e relativamente alla loro forte volatilità. Le banche popolari nonostante abbiano vissuto loro stesse questo tipo di difficoltà sono state in grado di reagire fornendo alla clientela la possibilità di sottoscrivere titoli aventi caratteristiche diverse dai classici titoli obbligazionari; si è trattato dei cosiddetti “Social Bond” che, oltre a corrispondere come è tipicamente previsto la remunerazione ad un determinato tasso di interesse, prevedono la possibilità in capo alla Banca emittente di destinare una parte del ricavato allo sviluppo di progetti con un forte impatto sociale.

Il rapporto crediti verso clientela su raccolta diretta è un indicatore che rappresenta la percentuale di raccolta, appunto di tipo diretta, che viene destinata alla clientela sotto varie forme. Tale indicatore, seppure abbia segnato un andamento negativo per entrambi i campioni, ha confermato ancora una volta come per le banche tradizionali si sia avuta una difficoltà ancora maggiore. Il campione costituito da banche tradizionali all’inizio dello scoppio della crisi finanziaria destinava il 99.13% della propria raccolta al finanziamento, sotto varia forme, della propria clientela ed ha registrato, alla fine del 2014, una riduzione del 10.94% a fronte della riduzione, già presa in considerazione, dei crediti verso la clientela e della raccolta. Per le banche popolari, nonostante sia stata registrata una diminuzione, si è trattato di una variazione decisamente più contenuta (-2.95%) che non ha influenzato la capacità di dette banche di finanziare la propria clientela utilizzando prevalentemente la raccolta diretta sul territorio.

La capacità per le banche popolari di giocare ottenere risultati così diversi è stata indissolubilmente legata ai molteplici punti di forza che questi istituti da sempre hanno posseduto, connessi alla forma cooperativa, alla capillare presenza sul territorio costruita nel corso degli anni, agli assetti proprietari che sono stati in grado di riflettere le componenti economiche e professionali dell’area in cui tali banche si sono insediate. Il ruolo svolto, soprattutto a cavallo di questi anni di forte crisi finanziaria, da parte delle banche popolari a supporto della stabilità del sistema bancario italiano è stato inoltre sottolineato dal governatore della BCE Mario Draghi in occasione dell’intervento alla giornata mondiale del risparmio.

In quest’occasione fu dato atto a questi istituti di come durante la crisi “sono stati cruciali la loro visione di lungo termine ed il loro ancoraggio al territorio, fattori propulsivi dello sviluppo locale, regionale, del paese tutto. Quando altri attori, come numerosi fondi di investimento, fino al giorno prima della corsi sono stati così rumorosi nel chiedere aumenti di efficienza e cambi di management, si volatilizzavano, spesso per sempre, erano le banche popolari a sottoscrivere ripetuti aumenti di capitale che consentivano di attraversare indenni la tempesta”. In base all’analisi condotta é emerso, in conclusione, come la semplice presenza, anche qualora si vogliano trascurare i risultati decisamente positivi ottenuti, di detti istituti sia stato un fattore stabilizzante per l’economia. In un paese come quello in cui viviamo dove, per tradizione, vi è una forte propensione al risparmio da parte delle famiglie e dove la maggior parte delle aziende sono di piccola-medio dimensione, la presenza di questa tipologia di istituti ha assicurato ad una grossa fetta della popolazione la possibilità di contare, nel momento in cui la maggior parte delle banche scappavano da questo tipo di clientela, su istituti che hanno fatto di loro il target principale di clientela da servire.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La riforma delle banche popolari: analisi degli impatti

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Informazioni tesi

  Autore: Mauro Varchetta
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Economia
  Corso: Finanza
  Relatore: Franco Tutino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 135

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