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Amok: per un abbandono del concetto di culture-bound syndrome

Amok in Occidente? Alcuni casi oltre oceano

Le prime interpretazioni dell’amok localizzavano tale fenomeno solo in aree di cultura malese. Successivamente alcuni autori ne studiarono casi in zone limitrofe, fino ad arrivare ad associarlo a casi di omicidi di massa in occidente. Uno di questi autori fu J. Arboleda-Florez che nel 1979 presentò un caso-studio avvenuto in Canada: il Calgary Mall Sniper. Erano le 20:40 del 16 giugno del 1977 quando J., un ragazzo di venticinque anni, uscito di casa in divisa militare, iniziò a sparare per strada, colpendo delle macchine che gli si passarono a fianco. Subito dopo si spostò nel centro commerciale al di là della strada sempre continuando a sparare. Ne riuscì ad uscire e mentre si stava dirigendo verso un campo vicino venne colpito da una raffica di colpi provenienti da punti diversi, dai quali rimase solo ferito, e venne catturato.
Il passato di J. era costellato da sentimenti di frustrazione e di irrequietezza: in casa veniva preso in giro dalle sorelle maggiori e a scuola veniva denigrato dai compagni. Tutto ciò lo portò a diventare un ragazzo solitario e asociale. La sua situazione peggiorò quando la sua famiglia lasciò la campagna per trasferirsi in città. Un giorno accadde che un compagno di gioco lo prese in giro e J. arrivò quasi ad ucciderlo. Quella reazione lo spaventò molto perchè capì che se la sua rabbia e aggressività fosse stata lasciata libera, essa non avrebbe avuto limiti. Egli si sentiva rifiutato e non rispettato dall’intera società, verso la quale iniziava a covare un profondo odio. L’unico periodo della sua vita nel quale si sentì a suo agio fu quando entrò nell’esercito. Dopo qualche anno però fu costretto a dimettersi perché accusato di aver aggredito una collega. Si rivolse quindi al corpo dei vigili del fuoco, ma fu respinto.

Come riporta Arboleda-Florez, egli «era pieno di risentimento e convinto di non avere un posto nella società » (trad. da J. Aboleda-Florez 1979:252).
Poche ore prima dell’attacco omicidiario, J. era uscito da scuola ed era andato a bere qualche birra. Mentre faceva ritorno a casa fece un piccolo incidente con la macchina. Quando arrivò la polizia volle fargli il test dell’etilometro. Egli si presentava calmo e disponibile, fino a quando i risultati del test non indicarono che aveva superato i limiti di tasso alcolemico.
Tornò a casa furioso sostenendo che i poliziotti avessero sbagliato a fare il test e perché non aveva potuto studiare per l’esame del giorno seguente. Fumò della marijuana e ripensando a tutti i suoi problemi pensò che il suicidio fosse l’unica alternativa possibile. Scrisse due lettere di addio, una agli amici e una alla madre, e si preparò per quello che poi Arboleda-Florez definì come simile ad una crisi di amok. Ciò che fece indurre lo psichiatra ad accostare tale attacco a quelli avvenuti in malesia fu la quasi totale amnesia del ragazzo dopo l’accaduto: egli ricordava solo di essere uscito e di aver sparato ai passanti che definì «his real enemies» (J. Arboleda-Florez 1979:253). La diagnosi del ragazzo determinò essere affetto da disturbi della personalità, disturbi paranoidi e schizoidi e con la tendenza ad evitare relazioni interpersonali che siano di breve o lunga durata.

Lo psichiatra trattò altri due casi avvenuti in America come casi simili all’amok malese.
Il primo avvenne ad Austin il primo agosto del 1966, quando un ragazzo di nome C. Whitman di 25 anni, dopo aver ucciso la madre e la moglie, salì sopra una torre 8 nell’Università del Texas e da una terrazza fece fuoco con un fucile sugli studenti: in novantasei minuti uccise sedici persone e ne ferì trentuno. Venne ucciso da due poliziotti che riuscirono ad arrivare alla terrazza e a coglierlo di sorpresa. C. Whitman aveva accesso alle armi perché, come il caso precedente, faceva parte del corpo militare, in questo caso dei Marines. Sempre in comune con il caso precedente, egli aveva già manifestato in episodi precedenti la difficoltà nel controllare la propria aggressività, in passato si era sentito preso di mira da altri e veniva descritto da questi come tranquillo e buono con un vita sociale ridotta.

L’ultimo caso, denominato The Memorial Day Man, avvenne nel 1972 nella Carolina del Nord, quando un ragazzo di ventidue anni entrò armato in un centro commerciale e sparò sulla folla: cinque persone morirono e sette rimasero ferite. L’assassino si sparò alla testa all’arrivo della polizia. Egli, diversamente dai due uomini sopra menzionati non era entrato nel corpo militare e non aveva avuto precedenti esperienze con le armi. Aveva avuto però problemi nel controllo della rabbia prima dell’attacco e nelle relazioni interpersonali.
Arboleda-Florez ritrovava tre fattori principali, in questi tre casi e nei casi studiati da Westermeyer: un fattore sociale, nel quale è presente «a society in transition or in the midst of change» (J. Arboleda-Florez 1979:257) e due fattori personali, uno che vede la presenza di un sentimento di alienazione e l’altro di assertività. Tali fattori possono essere riscontrati in ogni tempo e cultura. Ciò quindi si pone in netto contrasto con la definizione di D. Devereux prima citata e del concetto stesso di culture-bound syndrome. Ora vorrei esporre le differenze che a mio parere risultano essere più evidenti con i casi malesi di amok.
Nel caso di Charles Whitman è la consapevolezza delle proprie azioni e dei propri disturbi: egli era “lucido” e cosciente delle sue problematiche. In una lettera di addio ritrovata di fianco al corpo della moglie Whitman scrisse:

«Dopo molte riflessioni ho deciso di uccidere mia moglie, Kathy [...] Non riesco a trovare alcun motivo razionale per spiegare il perché di tutto questo. [...] Pagate i miei debiti. [...] Quello che avanzerà donatelo, in via anonima, a una fondazione per la salute mentale. Forse la ricerca potrà impedire ulteriori tragedie di questo tipo.» (Charles Whitman)

In nessun caso malese l’uomo era lucido a tal punto da sedersi, scrivere a macchina e spiegare ciò che aveva appena compiuto: la definizione stessa di amok lo descrive come uno scatto d’ira improvviso. Inoltre in questo caso l’assassino aveva premeditato l’attacco, munendosi di tutto il necessario per portarlo a termine, ed il punto di arrivo era già deciso dall’inizio: il suicidio. Nella maggior parte dei pengamok malesi non era presente questa volontà di autodistruzione. Lo studio di Arboleda-Florez rimane comunque importante perché ha posto le basi per una rivisitazione di tale fenomeno su scala mondiale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Amok: per un abbandono del concetto di culture-bound syndrome

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Scandolari
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Beni culturali
  Corso: Antropologia
  Relatore: Ivo Quaranta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 43

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Parole chiave

antropologia
antropologia culturale
antropologia medica
culture-bound syndrome
amok

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