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Situazione sociopolitica dell’ultimo ventennio sudafricano

Il destino degli afrikaner

Questa “neoborghesia nera” ha così conquistato il potere politico e lo ha incardinato nell’egemonia incontrastata dell’ANC, mezzo abbandonato dai progressisti bianchi che avevano creduto in Mandela. Quindi nella Nazione Arcobaleno il razzismo non è scomparso: la situazione però si è invertita, si assiste cioè ad un razzismo neri versus bianchi, per cui si fatica a riconoscere come “africano” il boero, che pure da sempre si considera tale, ossia africano vero e proprio. Oggi gli afrikaner non hanno più un partito identitario; certo l’ANC vanta un rilevante parco d’elettori bianchi, ma in pochi anni sono stati oltre un milione quelli che hanno abbandonato il Paese, destinazione America o Europa. Senza dubbio i boeri (ridotti di numero a causa dell’insicurezza locale, dell’emigrazione crescente e della crisi economica) possiedono ancora buona parte del potere economico e chiaramente è grazie a loro se il Sudafrica si è inserito nel tempo nel circuito occidentale, pur mantenendone le caratteristiche più genuinamente africane. Ciononostante, sta aumentando il rischio che dal “Paese Arcobaleno” scompaia del tutto il colore "afrikaner", il colore bianco di quegli ‘africani a tutti gli effetti’. Questo anche perché alcune frange politiche attuali vorrebbero prendere d’esempio il vicino Zimbabwe del dittatore Robert Mugabe. Tuttavia lì, insieme ai bianchi, sono stati cacciati la prosperità (se non la ricchezza) e anche la sicurezza e i diritti umani; e le violenze, oltre che genericamente sui ‘bianchi’, si sono abbattute, terribili, sui ‘neri’ rivali.

Tradotto in geopolitica: l’Africa appartiene ai neri. Punto. Tale essenzialismo pigmentario equivale nel caso sudafricano a negare l’africanità dei boeri, se non a negare l’esistenza di africani bianchi. La stessa classificazione dei gruppi di popolazione secondo il censimento del Sudafrica post-apartheid richiama gli schemi segregazionisti, salvo la sostituzione del termine dispregiativo “black” con il positivo “African”. L’omologia fra nero e africano autocondanna neri e africani alla minorità. Per poi diramarsi in sotto-razzismi fra etnie nere. In Sudafrica, ad esempio, zulu versus xhosa. Su queste basi risulta improbabile radicare una democrazia o comunque uno Stato che non sia proprietà del big man di turno. Tanto meno disegnare architetture pan-africane.

Progressivamente, già a partire dalla metà degli anni ’90, alle differenze basate sull’elemento razziale si sostituiscono quelle – più classiche – fondate sul censo. Come detto, il problema è che solo una piccola parte di sudafricani neri beneficia della spartizione della ricchezza; larga parte del corpo sociale rimane esclusa e ai margini. Ai poveri di colore che restano tali o che, paradossalmente diventano ancora più poveri, si aggiungono i derelitti afrikaner, esito di una specie di apartheid al contrario:

In pochi anni molti dei bianchi che avevano creduto nell’ANC, e in parte vi erano affluiti, sono passati dalla speranza alla disillusione alla rabbia sempre meno repressa. Colpiti nel rango, nel portafoglio e nell’orgoglio dalla “discriminazione positiva” a favore dei neri, spaventati dalle minacce delle frange più vendicative dell’ANC – almeno millecinquecento farmers sono stati uccisi dal 1994 ad oggi – non vengono facilmente a patti con l’idea di aver perso insieme Stato e patria politica (il National Party). Nel dopo-apartheid già un milione di bianchi ha abbandonato il Sudafrica. Fra i restanti, molti si chiedono se prima o poi la diaspora non sarà anche il loro destino.

La strage dei boeri si aggira intorno ai due delitti alla settimana con la compiacenza del governo; a Petersburg, nelle province settentrionali si trova una collinetta disseminata di croci bianche una per ogni agricoltore bianco ucciso dal 1994 da quando la «rivoluzione colorata» incominciò a cambiare il volto del Paese. Se dunque l’apartheid era ignobile, non è da meno il silenzio che circonda il clima di violenza e soprusi sofferto dagli agricoltori boeri; i plaasmoorde - gli assassini di fattoria come li chiamano i boeri - colpiscono ormai al ritmo di un paio di casi a settimana.

Il 69enne Nigel Ralf, come ogni giorno da 50 anni, sta mungendo le vacche della sua fattoria di Doornkop nel mezzo del KwaZulu-Natal. Quando quei quattro ragazzotti neri gli si piantano davanti e gli chiedono del latte, Nigel manco alza la testa. «Non vendo al dettaglio» risponde. Un attimo dopo è a terra con un proiettile nel collo e uno nel braccio. Poi i quattro gli sono addosso, lo fanno rialzare, lo colpiscono con il calcio della pistola, lo spingono fuori dalle stalle. Stordito e confuso Nigel si ricorda di sua moglie. Mezz’ora prima l’ha lasciata dentro la fattoria con i tre nipotini. «Lynette, Lynette chiudi la porta, barricati dentro». Lei lo sente, ma non intuisce. S’affaccia, cerca di capire meglio. La risposta sono tre proiettili al petto. La poveretta s’accascia, cade sul letto, agonizza tra le braccia insanguinate di Nigel mentre i bambini urlano terrorizzati e i tre tagliagole fuggono portandosi dietro una vecchia pistola, un telefono e un paio di binocoli. Bazzecole, banalità quotidiane.

Altro esempio significativo è l’omicidio del politico bianco Eugène Terreblanche, avvenuto il 3 aprile 2010, a pochi mesi dai mondiali di calcio organizzati proprio in Sudafrica. L’aggressione ha visto come protagonisti due dei suoi dipendenti (di etnia Xhosa), che l’hanno ucciso a bastonate e colpi di machete nella sua azienda agricola situata nel nord-ovest del Paese, per il mancato pagamento dello stipendio mensile. Terreblanche fu un grande sostenitore dell’apartheid oltre che leader dell’estrema destra boera, e negli ultimi anni era il portavoce di una frustrazione da tempo presente tra i bianchi, specie afrikaner, piú volte sul punto di sfociare nell’estremismo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Situazione sociopolitica dell’ultimo ventennio sudafricano

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Informazioni tesi

  Autore: Fabrizio Altea
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Nicola Melis
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 32

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afrikaner
sudafrica
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