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Storia, struttura e problematiche dell'industria fonografica - Dalle origini al “Value Gap”

Definizione di “Peer-to-Peer” e “User Uploaded Content”

La guerra fra l’industria fonografica e la pirateria musicale trae le proprie origini dalla nascita di supporti che permettevano la duplicazione di contenuti musicali. Se prima la ragione del conflitto era la diffusione illegale di dispositivi fisici (è il caso delle cassette e dei CD), con l’inizio del nuovo millennio il campo di battaglia ha assunto le sembianze della più grande rete digitale al mondo: Internet. Nel 1999, il diciassettenne Shawn Fanning e suo zio John resero pubblica la più famosa e controversa piattaforma di file sharing al mondo, Napster. Essa permetteva la condivisione a livello globale di contenuti online, sfruttando il modello informatico definito “Peer-to-Peer” (letteralmente pari-a-pari), divenendo il primo sistema di massa ad utilizzare questo tipo di modello. La funzione principale di Napster era quella di rendere liberamente scambiabili file musicali in formato Mp3, permettendo agli utenti di accedere ai contenuti musicali memorizzati nei computer di altri utenti, generando un’apertura totale senza confini. Napster, quindi, si configurava come una piattaforma “neutrale” il cui unico obiettivo era quello di collegare una moltitudine di utenti fra loro. In questo modo era possibile per chiunque vi accedesse di avere accesso ad un catalogo musicale completo, associato ai computer di tutto il mondo. Il ruolo di Napster, quindi, differiva da quello tipico di un sito Internet, il quale immagazzinava e forniva agli utenti i propri contenuti. Esso, infatti, sfruttava le proprietà del modello “Peer-to-Peer”.

Le differenze tra un modello del genere e il tradizionale modello utilizzato dalla maggioranza dei siti, denominato “client/server”, sono rilevanti. In ambito informatico un modello client/server è un modello in cui tutti i moduli (peers) al suo interno svolgono unicamente il ruolo di server o client. Il client ha un ruolo attivo e avvia una sessione di comunicazione inviando una richiesta al server. Il server svolge invece un ruolo passivo, e risponde ai suoi client fornendo ad ogni loro richiesta i risultati cercati. I client possono comunicare esclusivamente con i server, i quali possono supportare diversi client contemporaneamente. Il Peer-to-Peer (P2P), invece, è un modello di rete alternativo a quello fornito dalla tradizionale architettura client/server. Nel modello P2P ogni peer svolge contemporaneamente il ruolo di client e server, inviando richieste ad altri peers e allo stesso tempo rispondendo a quelle in arrivo da altri moduli della rete.
Si differenzia quindi dal classico modello client/server nel quale un client può solo inviare richieste al server e attendere quindi una sua risposta.

In un modello client/server, le prestazioni dei server diminuiscono all’aumentare dei client ad essi collegati. Tuttavia, con un modello P2P le performance complessive della rete aumentano all’aumentare dei peers che vi accedono. Questi peers possono organizzarsi in gruppi ad-hoc così da collaborare e comunicare fra loro, al fine di soddisfare ogni richiesta. Ogni peer può eseguire upload e download allo stesso tempo, e in un processo come questo l’eventuale abbandono di un peer non genera complicazioni all’utente, dato che un altro peer è subito pronto a prendere il suo posto. Questa caratteristica del modello P2P prende il nome di “tolleranza ai guasti” (in inglese fault-tolerance). In un modello tradizionale client/server la tolleranza ai guasti è limitata, dato che la comunicazione cesserebbe nell’istante in cui un server smettesse di funzionare.

La procedura per accedere alla piattaforma prevedeva l’iscrizione al software, il consenso a non violare alcuna legge sul copyright e la scelta (non obbligatoria) di condividere file presenti sul proprio PC. Così, una volta svolti questi passaggi, l’utente poteva tranquillamente digitare il nome di una canzone, di un album o di un’artista, e in un attimo il server di Napster lo indirizzava al risultato più simile. Il sito non immagazzinava alcun tipo di file, e questo lo rendeva pressoché inattaccabile dalle industrie discografiche, o da chiunque avesse voluto ostacolarne l’ascesa. La velocità con cui Napster di diffuse a livello globale fu elevatissima: nata nel 1999, nel 2001 contava più di 80 milioni di utenti attivi nel mondo. Considerando che il numero di persone nel mondo che nel 2001 disponeva di un accesso a Internet era circa 483 milioni, quasi il 17% della popolazione mondiale in quell’anno utilizzava il software creato dai Fanning. Fu proprio nel 2001 che Napster, messa sotto processo dalla Recording Industry Association of America e dai Metallica, che incolparono la piattaforma del rilascio del loro brano “I Disappear” prima ancora della data ufficiale, dovette arrendersi alla pressione mediatica che aveva attirato su di sé, chiudendo definitivamente i battenti. L’accusa rivolta alla piattaforma di condivisione era quella di violare i diritti d’autore dei brani scambiati in rete; Napster, dal canto suo, provò a scagionarsi enfatizzando il ruolo di promotore culturale che aveva giocato, affermando che grazie ai suoi servizi rese più agevole la diffusione della musica. La difesa non resse, e nel Luglio del 2001 Napster bloccò ufficialmente l’accesso al sito.

La chiusura di Napster non sancì la fine dei problemi legati al mercato musicale, bensì l’inizio: con il suo operato non aveva solo arrecato un danno enorme ai ricavi dell’industria discografica, permettendo al condivisione illegale di materiale protetto da copyright, ma aveva ispirato la nascita di altri siti che, forti dell’accoglienza che gli utenti di tutto il mondo riservarono al sito dei Fanning, svilupparono piattaforme basate sullo stesso meccanismo, tra cui Gnutella, eMule e BitTorrent. Inoltre, ben presto sarebbero comparsi i già citati siti User Uploaded Content (siti UUC) che, seppur in maniera diversa, ancora oggi arrecano danni ingenti all’industria musicale.
Quando si parla di siti UUC, si ci riferisce all’insieme di siti il cui contenuto è scelto e prodotto dagli utenti. Questi, infatti, possono condividere qualsiasi tipologia di materiale digitale e interagire attivamente con altri utenti nella rete; i proprietari dei siti si limitano alla sola gestione strutturale, grafica e amministrativa della piattaforma. La differenza tra i siti P2P e UUC, quindi, risiede nel ruolo che questi svolgono nella gestione dei contenuti. Con il P2P il sito svolge il compito di collegare gli utenti (Figura 3.1), non gestendo quindi i contenuti condivisi al suo interno. Con l’UUC, invece, il sito non funge più da mero intermediario, ma assume la fisionomia di un “contenitore” in cui sono gli utenti a sceglierne il contenuto, mediante la condivisione di materiale multimediale. Esistono diverse tipologie di siti UUC che differiscono fra loro in base al tipo di contenuti e alla finalità preposta:

- Forum online: in questa tipologia di siti gli utenti discutono attivamente su argomenti diversi, definiti topics; è permessa l’interazione degli utenti attraverso l’ausilio di testi o immagini.
- Wikis: fanno parte di questa categoria siti come Wikipedia o Wikia. Gli utenti, anche in forma anonima, possono contribuire alla definizione dei contenuti che, nella maggior parte dei casi, coincidono con materiale storico o informativo;
- Social Network: i più famosi sono Facebook, Twitter e Instragram. Gli utenti possono interagire fra loro in vari modi, sfruttando le funzionalità di messaggistica istantanea e di condivisione privata o pubblica di foto, video o testi;
- Media Hosting: siti che permettono la pubblicazione di contenuti multimediali online. Tra questi vi sono Vimeo, Youtube e Dailymotion.

La problematica principale legata a questi siti non riguarda direttamente la finalità perseguita. La possibilità di rendere interagibili fra loro le persone, attraverso l’ausilio di contenuti digitali è, di per sé, un nobile obiettivo, spendibile come visto in contesti del tutto eterogenei. Quando però la mole di contenuti risulta essere spropositata, vi è il rischio reale che parte del materiale condiviso violi norme e diritti altrui. Il più famoso sito UUC è Youtube, piattaforma di condivisione online di video, acquistata nel 2006 dal colosso Google per circa 1,65 miliardi di dollari. Secondo una classifica stilata da Alexa (di proprietà di Amazon.com), Youtube.com è il secondo sito più visitato al mondo, dietro solo a Google.com. In media ogni visitatore spende 9 minuti del suo tempo quotidiano su Youtube. Nel 2015, la media di video caricati quotidianamente superava le 13 milioni di unità, per un totale di un miliardo di visualizzazioni al giorno. Nel 2018 il numero di visitatori registrati alla piattaforma era più di un 1,8 miliardi. Il clip musicale “Despacito” di Luis Fonsi è il video più visto nella storia del sito, con 5,22 miliardi di visualizzazioni, seguito da “See you again” di Wiz Khalifa con 3,61 miliardi e “Shape of you” di Ed Sheeran, con 3,56 miliardi di visualizzazioni totali.

Ma quanti, tra coloro che condividono i video presenti sulla piattaforma, remunerano i detentori dei diritti a essi associati? E quanti, invece, violano la legge sul copyright? L’obiettivo del prossimo paragrafo è quello di analizzare, attraverso la comparazione dei dati relativi al payout delle diverse piattaforme che offrono la fruizione di musica online, quanto e in che modo i siti UUC influenzino i ricavi del mercato musicale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Storia, struttura e problematiche dell'industria fonografica - Dalle origini al “Value Gap”

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Informazioni tesi

  Autore: Giovanni Siracusa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Emanuele Taufer
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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