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Dall’alienismo alla risocializzazione: il trattamento del folle reo tra riforme parziali e criticità oggettive

Pericolosità sociale e misure di sicurezza: un criterio applicativo in crisi

La necessità di rivedere il sistema di applicazione delle misure di sicurezza basato sulle presunzioni di pericolosità sociale si fa evidente quando, con l’apporto dell’antipsichiatria si assesta un duro colpo al parallelismo tra malato di mente equivalente ad incapace di intendere e volere, sostituendo a questo un nuovo concetto di malattia. Per quanto orientato a posizioni estremistiche, negando l’esistenza stessa della malattia e ritenendo il malato sempre imputabile per le proprie azioni, il movimento antipsichiatrico permette di scoprire come gli autori di reato non siano da ritenersi inimputabili sulla base della loro malattia mentale, poiché l’infermità non è sempre causa di certi comportamenti.

Da qui la necessità di accertare nel caso concreto, la misura in cui una la malattia abbia inciso nella commissione di quel determinato reato. Bisogna ossia trovare il nesso eziologico tra l’anomalia del reo, presente al momento del fatto, e il fatto reato generato dalla condotta del soggetto che risulta essere criminale poiché da essa invalidata. Un accertamento della pericolosità che guardi a entrambi i versanti è proprio del metodo psicopatologico normativo seguito dal nostro ordinamento, il che rende la pericolosità non più insita nella connotazione stessa di malattia, in funzione della quale era disposto obbligatoriamente il ricovero in OPG, ma diventa una caratteristica solo eventuale e non necessaria del reo folle, per la quale è del tutto lecito che trascorso il periodo minimo il giudice ne riesamini la condizione in termini di effettiva sussistenza.

L’impianto originario del codice Rocco, dunque, disciplina l’introduzione delle misure di sicurezza utilizzando come criterio applicativo l’istituto della pericolosità sociale. Questa deve essere accertata mediante una valutazione che guardi alla probabilità, per il reo, di commettere ulteriori reati. Tuttavia vengono delineate alcune circostanze in cui tale accertamento non è necessario, in quanto che la «qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge».

Siamo, in realtà, dinnanzi ad una duplice di presunzioni: da un lato di pretende di desumere, assumendo come base una serie di congetture totalmente ascientifiche, il futuro comportamento dell’individuo, utilizzando questa inconcretezza per stabilirne il trattamento sanzionatorio; al contempo, poi, si presume che il reo, considerato pericoloso al momento del fatto reato, continui ad esserlo nel momento di applicazione delle misure di sicurezza, negando - nel caso di vizio di mente - ogni possibile evoluzione della malattia, snaturandola. Il sistema presuntivo esprime tutto il suo rigore disciplinando come «le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose». Il secondo comma del medesimo articolo, poi, afferma come il giudice sia privo del potere di revoca prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

Per accertare la condizione di cessata pericolosità era dunque necessario provvedere ad una rivalutazione della stessa che tuttavia non poteva essere richiesta se non dopo un periodo di tempo minimo – 2 anni – durante i quali si rischia che il soggetto, incapace di intendere e volere al momento del fatto e ritenuto pericoloso per l’elevata probabilità di recidiva garantita dalla malattia, diventi vittima di un sistema che lo condanna a scontare una misura di sicurezza anche laddove non sia più presente il suo presupposto d’applicazione.

Quelli appena descritti rappresentano alcuni dei punti più controversi della legislazione Rocco, su cui si è a lungo discusso in termini di costituzionalità. Il bisogno di superare in sistema delle presunzioni rispetto all’applicazione delle misure di sicurezza è stato chiaramente espresso dalla Sentenza Costituzionale n.139 dell’1982, che ne avvia il processo di superamento. Quest’ultimo, pur non implicando l’abolizione della pericolosità come presupposto applicativo, per lo meno la circoscrive ad un accertamento concreto, reso necessario dai principi contenuti nella nuova carta costituzionale, rispetto alla quale il sistema presuntivo apparve anacronistico e contrario.

Infatti riunendo insieme le ordinanze di ben 22 giudizi, la corte sottolinea l’illegittimità costituzionale di alcuni importanti articoli disciplinanti l’applicazione delle misure di sicurezza.

Le presunzioni di pericolosità e, dunque, il suo mancato accertamento concreto, attribuiscono al soggetto lo status di presunto criminale, contrastando in tal senso con l’art.27 della Costituzione che delinea la responsabilità penale come personale, principio cui, “stante alla loro natura di sanzioni penali” dovrebbe riferirsi anche alle misure di sicurezza.

La presunzione di pericolosità poi, appare inconciliabile con il diritto alla difesa, nella misura in cui l’art.222 c.p. disciplina, in caso di proscioglimento per infermità psichica, sempre il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni. Tale formulazione risulta primariamente contraria all’art.3 della Costituzione, prevedendo l’applicazione della stessa misura di sicurezza per due soggetti differenti: vengono destinati al ricovero in OPG sia i prosciolti per vizio di mente pericolosi, sia quelli ritenuti privi di questa qualità. Inoltre, dovendo il ricovero assolvere ad una funzione non solo di controllo ma anche terapeutica, si evince come, applicando la misura di sicurezza in modo obbligatorio si rischia di trasformarla in una vera e propria sanzione allorquando colpisce coloro che presentano notevoli migliorie, nelle loro condizioni psichiche, rispetto all’epoca di compimento del fatto, incidendo in tal modo negativamente sulla salute mentale del soggetto, violando altresì l’art.32 della costituzione.

Applicando una misura di sicurezza ad un soggetto dall’incerta pericolosità, poi, viene meno anche la funzione rieducativa che la sanzione dovrebbe svolgere secondo quanto sancito dall’art.27, attendando all’equilibrio bio psichico dell’individuo per fini di difesa sociale. Infatti la rieducazione ed il reinserimento sociale implicano la guarigione della malattia, che è all’origine della pericolosità sociale del soggetto, sicché solo quando l’ospedale psichiatrico giudiziario eserciterà un’azione di cura nei confronti dell’internato si avrà un sistema penale capace di tutelarne la dignità. La risocializzazione del soggetto è poi minacciata nella misura in sui i prosciolti per vizio di mente devono sempre essere ricoverati in OPG, anche qualora fosse consigliabile una cura ambulatoriale che non lo estirpi dal proprio contesto sociale. In tal senso alcuni hanno sottolineato la possibilità di sostituire questa misura di sicurezza con quella della libertà vigilata, ritenuta in grado di conciliare il contenimento della pericolosità, mediante l’azione di “libero” controllo, e le esigente rieducative cui le misure di sicurezza dovrebbero tendere.

Con le considerazioni della Corte, l’istituto della presunta pericolosità è mutato nella misura in cui, sebbene questa resti legata alla commissione del reato scaturito dall’infermità psichica, il giudice «potrà revocare la sentenza anche prima che sia decorso il Tempo corrispondente alla durata minima» dichiarando incostituzionale l’obbligo del ricovero in OPG al quale, tuttavia, non si è fatto susseguire nessuna indicazione rispetto all’obbligo di accertare la pericolosità nel momento in cui si è chiamati effettivamente a scontare la misura.

Per la reale superazione della pericolosità sociale dunque si dovrà attendere il 1986 quando con la L. Gozzini le fattispecie presuntive assumono solo carattere indiziante. Abrogando l’art.204 c.p. sulle suddette presunzioni viene così stabilito il necessario accertamento concreto della pericolosità da parte del magistrato di sorveglianza, ovvero nel momento previo all’esecuzione delle misure di sicurezza.

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Informazioni tesi

  Autore: Samuela De Luca
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Scienze Politiche e Sociali
  Corso: Scienze delle Politiche e dei Servizi sociali
  Relatore: G. M. Patrizia  Surace
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 157

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Parole chiave

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