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Value investing; aspetti teorici ed applicazioni pratiche

Terzo Step: Decisione d’investimento e margine di sicurezza

L’ultima fase del processo riguarda la decisione di investimento. Nell’ottica Value assume un importanza fondamentale il concetto di Margine di sicurezza.
Come già esposto precedentemente, l’investitore che segue tale metodo acquisterà uno stock solamente se questo sarà negoziato ad un prezzo sensibilmente inferiore al suo valore intrinseco.
Mentre Benjamin Graham, uno dei primi autori ad esporre tale concetto, considerava una differenza di almeno il 50%, nel tempo questa soglia si è ridotta ad un 20%.
Tali valori risultano essere delle linee-guida; chiaramente sarà anche la capacità individuale nel tollerare possibili errori di valutazione oppure la volatilità dei mercati che porterà il Value investor a rivedere queste percentuali al rialzo o al ribasso.
Ad ogni modo, ipotizzando la ricerca di un margine del 20%, ciò starebbe a significare che uno stock avente un valore intrinseco pari a 100 $ sarà preso in considerazione da un Value investor se negoziato ad un valore che non supera gli 80 $.
Questo margine viene ricercato per due motivi: rendimento potenziale e protezione.
Il primo è relativo al riallineamento atteso al valore intrinseco, che consentirà un guadagno tanto maggiore quanto più ampia è la differenza tra il prezzo e il valore intrinseco del titolo al momento dell’acquisto.
Il secondo riguarda la consapevolezza circa l’impossibilità di poter avere delle stime esatte riguardo all’andamento futuro del mercato azionario; in tal senso acquistare un titolo con un forte sconto sul valore intrinseco aiuta a proteggersi da eventuali errori di valutazione che potrebbero emergere in seguito.

L’esempio fornito da Brandes (2004), aiuta a capire il concetto di margine di sicurezza; la prima linea orizzontale partendo dall’alto della figura rappresenta il valore intrinseco dell’azione. La seconda il valore al di sotto del quale il Value investor sarà propenso ad acquistare il titolo. Lo spazio che intercorre tra queste due linee rappresenta il Margine di sicurezza che il Value investor cerca nelle operazioni di acquisto di titoli.
Questi utilizzerà tale metodo per acquistare quando il prezzo dell’azione scenderà al di sotto della seconda linea orizzontale e, al contrario, vendere quando tale prezzo supererà il valore intrinseco della società.
Questo perché, riprendendo il concetto di mercato efficiente, il Value investor è consapevole che un titolo fortemente sottovalutato potrà subire un successivo apprezzamento, dal momento in cui il mercato riconoscerà l’errato pricing.
Contrariamente ai principi cardine della EMT (paragrafo 1.3) però, questo riallineamento non sarà istantaneo e consentirà quindi al Value investor di poter acquistare il titolo con un forte sconto rispetto al valore intrinseco. Nel processo di riallineamento verso l’intrinsic Value il margine di sicurezza diventerà sempre più esiguo fino a scomparire quando il prezzo, eventualmente, supererà il valore intrinseco del titolo.
Qualora la crescita del prezzo del titolo superasse ampiamente il valore intrinseco, inizierebbe a materializzarsi il rischio di una sopravvalutazione del mercato; in tal caso, data la filosofia sottostante il metodo di investimento Value, il Value investor preferirà con tutta probabilità vendere il titolo.
Un esempio relativo ai rischi dell’acquisto di un titolo in mancanza di un sufficiente margine di sicurezza può essere esposto prendendo come riferimento la bolla tecnologica degli anni 2000.
Nel 1999 quasi la meta delle Initial Public Offering (IPO, in italiano Offerta Pubblica Iniziale) erano riconducibili a società Dot-Com che guadagnavano, in media, il 147% nel primo giorno di contrattazione.

Ovviamente i prezzi di molte di queste società superarono di gran lunga il valore intrinseco ad esse associabile, e divennero protagoniste di una crescita che, di li a breve, si sarebbe rivelata insostenibile.
Quando nel Marzo del 2000 questo rischio si concretizzò e si verificò lo scoppio della bolla speculativa la quasi-totalità delle Dot-Com non offrivano alcun margine di sicurezza, dal momento che erano state acquistate ad un prezzo ampiamente al di sopra del loro valore intrinseco. Con il conseguente crollo dei prezzi delle azioni, l’attenzione si spostò nuovamente verso quelle azioni che rispettavano requisiti relativi all’analisi fondamentale.
La bolla tecnologica degli anni 2000 rappresenta un eccellente esempio per differenziare il Value investor dal resto degli investitori; le azioni Growth che sono collassate in seguito allo scoppio hanno infatti dimostrato andamenti guidati esclusivamente da aspettative future prive di una qualsiasi relazione con i valori fondamentali.
Brandes (2004) sottolinea tuttavia come sia necessario separare la teoria dalla pratica; di fatto l’approccio mostrato in figura, e quindi la decisione di investimento guidata dal Margine di sicurezza, risulta logica e persino semplice da applicare. Nella realtà le decisioni di investimento sono spesso offuscate dalla componente emotiva. Essa può giocare un ruolo estremamente negativo, specialmente su coloro che focalizzano la propria attenzione esclusivamente sui prezzi, perdendo spesso di vista i fondamentali che invece dovrebbero guidare la decisione di investimento.
Ed è proprio la parte irrazionale dell’investitore che spesso lo spinge a non rispettare i principi appena elencati; è in particolare nei periodi di forte sopravvalutazione che perseguire la disciplina del margine di sicurezza risulta complesso.
In tali situazioni, spesso, sia gli investitori istituzionali che quelli individuali sono portati ad acquistare senza considerare la possibilità di ottenere un margine. I primi, solitamente, spinti dal convincimento che essere fully invested sia sempre la miglior soluzione. I secondi, guidati essenzialmente dall’eccessiva confidenza nei trend al rialzo.

È esattamente in questi momenti e, più in generale, nelle fasi in cui il Value investor non può assicurarsi un soddisfacente margine di sicurezza derivante dall’acquisto, che questo tipo di investitore deve avere la disciplina e la pazienza per perseguire tali metodiche e, se necessario, sospendere l’acquisto di azioni:

“La sfida più grande per i Value investors è quella di mantenere la disciplina necessaria. Essere un Value investor di solito significa allontanarsi dalla folla, sfidando il giudizio convenzionale ed opponendosi ai trend d'investimento prevalenti”.

Questo tipo di atteggiamento rispetto ai periodi di sopravvalutazione, concernente quindi la decisione di investimento guidata esclusivamente dal margine di sicurezza, nell’idea di Klarman (1991) porta i suoi risultati nelle fasi di recessione o, in generale, di inversione del ciclo economico. Questa risulta essere la fase nella quale una strategia di investimento può essere testata.
I Growth stock provenienti da periodi di ottime performance e spesso acquistati in tali fasi e senza un sufficiente margine di sicurezza, infatti, risultano essere i primi a contraddire le elevate aspettative formatesi su di essi non appena l’economia rallenta o subisce una recessione.
Alcune particolari tipologie di titoli Growth, denominati “torpedo stocks”, devono la maggior parte della loro rapida crescita all’aumentare delle aspettative di crescita di speculatori che ragionano in mancanza di grandezze fondamentali che ne giustifichino l’aumento di valore.
Al contrario, gli stock sottovalutati ed acquistati dai Value investors non risentono in maniera così evidente delle fasi negative del mercato, poiché il loro maggior valore non è riflesso esclusivamente negli andamenti recenti bensì in una maggiore solidità passata e attesa.
La motivazione principale che li porta ad essere sottovalutati risiede nel fatto che, essendo incomparabili in termini di crescita ai Growth stocks, vengono semplicemente trascurate dalla maggioranza del pubblico degli investitori.

Quindi, tornando nuovamente alla EMT, il Value investor deve saper riconoscere il momento di mercato e:

“Se, da un lato, i titoli saranno sottovalutati o sopravvalutati, cosa che ritengo incontestabilmente vera, i Value investors prospereranno. Se, d'altra parte, tutti i titoli ad una certa data futura diverranno equi ed efficienti, i Value investors non avranno nulla da fare”.

Dalla frase emerge chiaramente la necessità di avere un ferreo rispetto dei requisiti necessari per l’acquisto di azioni mediante la tecnica del Value investing; qualora in un certo momento non dovesse esserci nessuna possibilità di poter acquistare rispettando tali principi, secondo la visione di Klarman (1991), astenersi da acquisti forzati è di gran lunga la miglior soluzione.
Il concetto di margine di sicurezza, quindi, rappresenta il pensiero che guida l’ultima fase nel processo di Value investing, ovvero la decisione d’investimento. Ricapitolando, quindi, tale processo è composto delle seguenti fasi:

- Selezione di un pool di stock e suddivisione di questi mediante multipli di borsa (P/E,P/BV ecc.)

- Valutazione approfondita gli stock che hanno superato la prima fase, ovvero che sono identificabili con la definizione di Value stock; un titolo sottovalutato dal mercato rispetto ai valori fondamentali. Eseguire quindi un analisi volta a determinare se esiste effettivamente una discrepanza positiva tra valore intrinseco e prezzo di mercato. Per farlo, abbiamo visto l’importanza dei valori contabili, della natura delle società selezionate ed, in ultima analisi, dei differenti metodi utili per determinare le differenze di valore e di rendimento sia per piccoli che per grandi campioni di dati. Nel primo caso la determinazione del valore intrinseco mediante il modello del DDM; nel secondo, l’analisi frequentemente eseguita con l’ausilio di software statistici , volta a determinare le differenze esistenti in un pool di stock precedentemente selezionati, in particolar modo sotto il profilo del rendimento.

- Effettuare la decisione di investimento rispetto al pool di stock che hanno superato le due fasi precedenti ed acquistare solo quelle che rispettano un certo margine di sicurezza che, come già detto, non assume la forma di una cifra o percentuale esatta ma può essere determinato dall’investitore stesso in base alle proprie attitudini.

Evidentemente il confronto tra valore intrinseco e valore di mercato può essere fatto se nella seconda fase del processo è stato utilizzato un modello come il DDM, che consente quindi di poter determinare il valore intrinseco del titolo.
Gli output di un analisi di grandi campioni con un software statistico, come già detto in precedenza, non conducono alla determinazione del valore intrinseco del titolo; tuttavia, come sostiene Athanassakos (2013), questo metodo consente di trattare campioni di grandi dimensioni e di separare e confrontare le osservazioni relative ad azioni Value da quelle Growth.
E, come visto nel capitolo precedente, le informazioni fornite dalla suddivisione in quartili conducono ad un risultato importante; aver dimostrato la superiorità di rendimento degli stock appartenenti al primo quartile può consentire di effettuare la scelta selezionando, da quel gruppo, le azioni aventi una migliore situazione contabile in associazione ai rendimenti.
In effetti, anche se non determinati in precedenza vista la diversità del modello considerato, i valori intrinseci potrebbero essere definiti ugualmente nell’ultima fase dell’analisi di grandi campioni; se, come negli esempi proposti precedentemente, il campione aggregato iniziale è composto da un ingente numero di osservazioni, sapere che le osservazioni relative agli stock appartenenti al primo quartile superano in termini di rendimenti tutte le altre, consentirebbe di poter focalizzare l’attenzione sulla determinazione del valore intrinseco degli stock sulle società appartenenti ad esso.
Visto che la selezione verte sui rendimenti, anche nel caso dell’analisi di grandi campioni potrebbe essere necessaria un analisi così come vista nei paragrafi 2.2.1 e 2.2.2.
Evidentemente poi il valore intrinseco andrebbe comunque confrontato con il prezzo dell’azione, così da poter capire se vi sia un margine di sicurezza sufficiente per poter considerare la possibilità di investimento. In assenza di un tale metodo, l’unica via percorribile sarebbe stata quella di determinare il valore intrinseco di tutti gli stock appartenenti al campione iniziale.
Nel caso di Athanassakos (2012b) vengono considerate 90,423 osservazioni appartenenti a 8.570 società quotate su tre diversi indici azionari.
È evidente che il metodo DDM applicato a 8.570 società potrebbe risultare una pratica difficilmente perseguibile.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Value investing; aspetti teorici ed applicazioni pratiche

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Informazioni tesi

  Autore: Alessio Nencini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Siena
  Facoltà: Economia e Gestione degli Intermediari Finanziari (EGIF)
  Corso: Scienze dell'economia
  Relatore: Maurizio Pompella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 128

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