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La critica letteraria a “I Malavoglia” di Giovanni Verga: confronto tra Alberto Asor Rosa, Romano Luperini, Vitilio Masiello

Il rifiuto della speranza populista

Nel 1965, viene pubblicato il saggio di Alberto Asor Rosa Scrittori e Popolo, con il quale l'autore intende esaminare e ripercorrere la letteratura italiana dell'Ottocento per rintracciarvi le origini e le specifiche caratteristiche della letteratura populistica italiana, indicando al contempo caratteristiche ed elementi fondamentali di quello che si potrebbe definire come “populismo”, tra cui, innanzitutto, la necessità che il popolo venga considerato come un modello da contrapporre alla corruzione della società borghese, o alle ingiustizie del destino.
Asor Rosa rileva come il populismo sarebbe riscontrabile in quegli scrittori «che hanno presente un orizzonte di letteratura nazionale e si pongono, da un punto di vista o dall'altro, un problema di egemonia politica e ideologica» e che avrebbero un orientamento di stampo pedagogico e riformista, più che una reale fiducia in una potenziale autonomia dei ceti popolari. Questo orientamento avrebbe determinato, negli autori populisti dell'Ottocento italiano, due tipologie di atteggiamento: da un lato, secondo Asor Rosa, in alcuni di questi scrittori sarebbe riscontrabile un paternalismo aristocratico, in conseguenza del quale l'autore tenderebbe ad assumere un punto di vista distante rispetto a quello del popolo, seppur velato da una forma di pietà o di compassione: in altri autori, invece, andrebbe a verificarsi l'estremo opposto, ovvero una posizione di fin eccessiva vicinanza emotiva e continuità di vedute rispetto al popolo rappresentato.

La forma specifica in cui si cristallizzò l'atteggiamento populista nella letteratura italiana dell'Ottocento, dipenderebbe, secondo Asor Rosa, dal ritardo nello sviluppo del capitalismo in Italia e dal conseguente ritardo anche nella formazione di un ceto intellettuale borghese rispetto a quanto era invece avvenuto in altri Paesi europei. Questa congiuntura storica avrebbe comportato, come conseguenza, delle oggettive difficoltà di incontro tra le diverse classi sociali: di conseguenza, nelle loro descrizioni e nel modo di approcciarsi alle problematiche del popolo, gli intellettuali italiani sarebbero stati guidati più dalle loro idee che da una reale ed oggettiva conoscenza delle condizioni di vita delle classi più umili.
In altri Paesi europei, paradossalmente, lo sviluppo del capitalismo e le prime lotte di classe avrebbero invece creato maggiori possibilità di effettiva potenziale presa di coscienza delle reali condizioni di vita del popolo, da parte degli intellettuali.
Partendo da quest‟ottica, Asor Rosa ritiene che Verga non possa essere considerato come autore populista, in quanto il suo principale interesse sarebbe l‟impersonalità come scelta stilistica ed estetica, non strettamente legata ad un reale desiderio di avvicinarsi alle problematiche del popolo. A tale proposito, Asor Rosa sottolinea una sostanziale differenza di atteggiamento tra i naturalisti francesi, ed in primo luogo Zola, ed i veristi italiani, tra i quali Verga in particolare: mentre in Zola l'impersonalità sarebbe frutto di una prospettiva ideologica mirata ad una piena presa di coscienza rispetto alla realtà, nei veristi italiani il canone dell‟impersonalità non avrebbe lo stesso spessore ideologico ma sarebbe piuttosto riferibile ad una più o meno consapevole intenzione di presa di distanza del letterato rispetto alla tematica popolare.

Asor Rosa osserva inoltre come, in Verga, il verismo fosse declinato principalmente nella dimensione di attenta osservazione e descrizione, alla maniera naturalista, ma come, al tempo stesso, Verga rilevasse la necessità, da parte dello scrittore, di adeguare il proprio stile ed il proprio registro linguistico ai diversi aspetti della realtà: «ogni milieu richiede un approccio diverso da parte dell‟artista, e di conseguenza una soluzione stilistica ed espressiva assolutamente specifica», impostazione che non era in linea con l'ideologia dei naturalisti francesi, i quali non ritenevano che ambiti sociali differenti potessero richiedere scelte espressive differenti, tendendo piuttosto ad adottare uno stesso registro stilistico per ogni ambiente descritto. Asor Rosa sottolinea la particolarità e l'ambiguità del rapporto tra Verga ed il verismo: «capire Verga senza il verismo non si può, ma neanche si può capire Verga riducendolo al verismo», proprio in conseguenza di questa inclinazione dell'autore a sfuggire da modalità espressive prefissate e prestabilite, rilanciando la responsabilità individuale dell'artista, il quale sarebbe unico giudice della soluzione stilistica maggiormente adeguata a riproporre la realtà sociale oggetto dell'opera letteraria.
Nell'analisi critica della produzione verghiana, anche Asor Rosa, come Luperini, si trova quindi a confrontarsi con elementi contradditori ed apparentemente incoerenti, e a tale riguardo sottolinea l‟estrema singolarità del cammino percorso da Verga: «l'immagine che rende di più il modo di procedere del Verga è la spina di pesce. Il Verga va avanti, senza dubbio, ma non appena ha raggiunto un risultato, si fa indietro, torna sulla linea mediana dei convincimenti generici (il concetto di verità…), si butta sull'altro versante della ricerca, torna poi indietro… e così via, senza che l‟intero processo della sua attività si chiarisca mai compiutamente». L'evoluzione artistica di Verga sarebbe quindi molto differente sia da quella di autori come Montale, che sembrano progredire con un arricchimento costante nella misura in cui ogni produzione letteraria sembra andare a moltiplicare i risultati raggiunti nelle opere precedenti, sia da quella di autori come Balzac e Zola, che sembrano porsi al centro di un immaginario cerchio, e descrivono il mondo attorno a loro mantenendo una prospettiva costante.

Asor Rosa si pone il problema di comprendere e cercare di inquadrare la prospettiva verghiana, che non può definire populista in quanto non è possibile scorgevi alcuna traccia di reale ammirazione per le classi più umili: il critico riscontra come il popolo non assuma una posizione centrale nella prospettiva verghiana, ma possa piuttosto essere considerato come un aspetto di un quadro più ampio, «una visione di carattere più metafisico che storico, un atteggiamento morale più ontologico che terreno, un‟indignazione ed un pessimismo più universali che umani», così come confermato dalla stessa idea verghiana di un “ciclo dei vinti”, che, nelle intenzioni dello stesso Verga, non si sarebbe limitato solo alla descrizione delle classi più umili ma avrebbe abbracciato un panorama sociale più ampio, dimostrando così la trasversalità ed universalità degli assunti dell'autore.
Nell‟esame dell‟atteggiamento verghiano, Asor Rosa prende in considerazione la concezione verghiana del progresso: a prima vista, Verga sembrerebbe condividere la visione evoluzionistica della storia, tipica della prospettiva culturale a lui contemporanea, ma all'interno di questa visione apparentemente positivistica si potrebbero riscontrare degli elementi contraddittori e delle ambiguità tendenti a modificare il significato profondo di questa stessa prospettiva. Asor Rosa rileva come, nella Introduzione a I Malavoglia, Verga abbia definito il progresso come fatale, febbrile e faticoso, evidenziando come una visione d'insieme, da lontano, consentirebbe di rilevarne l'aspetto positivo, mentre una visione più di dettaglio porterebbe invece a cogliere figure di vinti, di persone sconfitte e travolte da quella incessante fiumana che sarebbe il progresso. Verga, inoltre, «vuole dimostrare quanto sia difficile e periglioso per chiunque trasformarsi in un vincitore, perché ogni vincitore è destinato a trasformarsi in vinto, anzi, porta in sé l'ineluttabile destino del vinto».

Verga vedeva pertanto, nelle condizioni di vita del popolo, la riconferma di una legge comune a tutti gli esseri viventi, una condizione di dolore ed inferiorità a cui sarebbe folle nonché inutile cercare di sottrarsi: Asor Rosa si chiede però quale fosse la motivazione che condusse Verga da un lato a dare le migliori rappresentazioni di questa prospettiva universale nei racconti e nei romanzi di ambientazione siciliana, e dall'altro lato a non riuscire a rappresentare i gradini superiori della scala sociale, così come si era prefissato nel “ciclo dei vinti”. Anche Asor Rosa, come altri critici precedenti, tende ad attribuire alla tematica siciliana il significato di un “ritorno” conseguente ad un rifiuto e ad una disillusione di Verga nei confronti della realtà del mondo borghese a lui contemporaneo. A tutti questi fattori, Asor Rosa aggiunge tuttavia un‟ulteriore considerazione, di carattere maggiormente estetico ed artistico: Verga avrebbe compreso che la descrizione del mondo popolare siciliano avrebbe potuto rappresentare un terreno fertile ed ancora sostanzialmente inesplorato dal mondo letterario, e quindi nel rappresentare proprio questa realtà avrebbe compiuto una scelta consapevole e calcolata, ritenendo che questa ambientazione avrebbe potuto sottolineare l‟originalità della sua stessa arte. Asor Rosa ricorda come, nella corrispondenza di Verga all'amico Luigi Capuana, si possano effettivamente trovare diversi richiami a queste considerazioni di carattere estetico.
La riscoperta del mondo siciliano non si andrebbe tuttavia a concretizzare solo in una considerazione stilistica, ma anche in una dimensione di viaggio a ritroso verso un mondo semplice, verso le origini del mondo e dei rapporti umani, tematica che Asor Rosa evidenzia essere centrale soprattutto nelle novelle della raccolta Vita dei Campi. Nel saggio Il primo e l’ultimo uomo del mondo, il critico pone a confronto soprattutto le figure di Jeli il Pastore e Rosso Malpelo: nella novella Jeli il Pastore, Verga avrebbe descritto una dimensione mitica simile al puro stato di natura, nel quale il singolo individuo, con la sua semplicità, si porrebbe come una polarità alternativa rispetto alla complessità della società, colta nel suo insieme e nelle sue complesse dinamiche; nella novella Rosso Malpelo, invece, sarebbero rappresentate la prospettiva del difficile rapporto tra individuo e società e la genesi dei rapporti sociali.
Il confronto tra Jeli e Rosso Malpelo va a prendere in esame anche la dimensione economica del rapporto con la natura: mentre il mondo del pastore Jeli «rappresenta il valore aurorale, per tanti versi ancora arcaico, del rapporto con la natura», in una dimensione quasi idilliaca nella quale la natura fornisce il necessario per poter vivere, nel mondo di Rosso Malpelo la struttura economica e sociale «appare ridotta al minimo, basta un nonnulla per sovvertirla», e sarebbe spesso proprio la natura a rappresentare il principale fattore di variabilità della struttura.

Ne I Malavoglia questa precarietà apparrebbe ancora più evidente ed accentuata, in quanto «il mare è più traditore e ribelle della terra, sia come fattore puramente naturale, sia come fattore di sostentamento economico», e sarebbe quindi nel contesto dei pescatori di Aci Trezza che la lotta per la sopravvivenza assumerebbe la connotazione più terribile e continuativa, in quanto sarebbe una lotta quotidiana. La condizione di vita della comunità di Aci Trezza sarebbe infatti condizionata dalla casualità e dagli imprevisti della natura; Asor Rosa osserva come questa condizione di simbiosi e dipendenza da eventi esterni ed apparentemente incontrollabili (la “malannata”, la carestia, la tempesta) porti all'attaccamento a dei valori elementari, come la famiglia, il sangue, la terra, sui quali questa stessa comunità si fonda. Secondo Asor Rosa, non sarebbe la vicinanza alla natura in sé a favorire il legame a questi valori e miti, quanto piuttosto l'esigenza umana di avere degli elementi ai quali potersi riferire per ogni imprevedibile evenienza.
Un secondo elemento caratteristico dell'universo di Aci Trezza sarebbe la necessità: secondo Asor Rosa, nel definire caso e necessità come principi alla base del mondo popolare, Verga avrebbe voluto implicitamente negare il principio evoluzionista di storia intesa come costante progresso e come cambiamento, contrapponendovi quegli elementi di staticità e ripetitività che sarebbero invece caratteristici del mondo popolare.
La necessità è strettamente legata al fattore economico: nella mentalità degli abitanti di Aci Trezza, il fattore economico si intreccia in modo indissolubile con ogni evento inerente alla vita ed alla morte, diventando la motivazione principale che regola cambiamenti rilevanti e scelte di vita come trasferimenti e matrimoni. Come già avevano rilevato altri critici, ne I Malavoglia la tematica economica è ancora legata alla fase dell‟accumulazione primitiva di proprietà generalmente immobili e non reinvestibili (la casa, la barca), in cui si incarna quella brama di miglioramento che, in questa forma, assume più il carattere di una difesa dalla miseria che di un vero e proprio meccanismo economico. Anche in altre opere verghiane, come la novella La roba ed il romanzo Mastro-Don Gesualdo, sarebbe la paura della fame ad agire da incentivo per la creazione di un patrimonio così grande da non poter essere in balia del caso.

E' qui possibile riscontrare una differenza tra la prospettiva critica di Asor Rosa e quella di Romano Luperini: mentre Luperini vede ne I Malavoglia una «analisi di cambiamenti in atto nella società» (Cfr. Supra Cap. 4.2), leggendo la compravendita dei lupini come il tentativo di un passaggio ad un'economia fondata sulla compravendita, Asor Rosa rileva invece come il denaro, nell'universo de I Malavoglia, non abbia un valore in sé, ma venga sempre considerato nella prospettiva dell‟acquisto di beni funzionali (le provviste per l‟inverno, la barca, la casa), «tant'è vero che, per sé, il nuovo ricco può continuare a vivere con la sobrietà e lo spirito di sacrificio di un povero».
L'acquisto di questi beni è necessario, perché il mondo de I Malavoglia è contraddistinto da “guai”: Asor Rosa nota come questa parola appaia con grande frequenza, al punto da poter definire l‟opera come un “romanzo di guai”, connotando le “disgrazie” (altro termine spesso presente nel romanzo) come una condizione normale di esistenza nell‟universo dei protagonisti de I Malavoglia. Già il critico Adriano Seroni aveva indicato “la roba” e “le disgrazie” come tematiche centrali nel romanzo verghiano (Cfr. Supra Cap. 2.3), che non sarebbe contraddistinto dal provvidenzialismo presente ne I Promessi Sposi (altro “romanzo di guai”, secondo Asor Rosa): tuttavia, anche nel mondo di Aci Trezza le disgrazie andrebbero ad assumere un significato, quello di temprare le persone e renderle più forti, aiutandole così a superare le difficoltà che si dovessero presentare successivamente. Continuando il paragone con l‟opera manzoniana, Asor Rosa sottolinea le differenze che emergono nella conclusione dei due romanzi: ne I Promessi Sposi, Renzo e Lucia si interrogano sul significato delle loro vicende, riuscendo a trovarvi un significato che richiama alla necessità di avere una fede religiosa che aiuti a superare le eventuali circostanze difficili; ai personaggi de I Malavoglia

«questo non è consentito; nel loro rimuginare scoprono solo tanta oscurità, che la luce divina non è arrivata a rischiarare: gli uomini sono stati lasciati soli a cavarsela con la moltitudine delle sventure».

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Informazioni tesi

  Autore: Claudia Elisabetta Muccinelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Cecilia Spaziani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 83

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