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APPROFONDIMENTI

Le trame dell’educazione. Storie e personaggi in pedagogia

20/11/2006

Le trame dell’educazione. Storie e personaggi in pedagogia

Nella storia dell’educazione esistono reges e reginae degli atti educativi, figure che dettano regole, fissano mete, si qualificano per ciò che il non adulto potrà divenire. Gli eroi sono adulti che si propongono come modelli di vita o additano altri eroi. Le balie sono adulti che allevano la propria o altrui prole trasfondendo compiti genitoriali e familiari. Gli istitutori sono adulti mediatori di comunicazione tra i modelli adultistici dominanti e il non adulto. Questi sono gli adulti che non devono entrare in crisi perché l’eroe è chiamato a restare tale. Il mentore è un nobile anziano tutore di Telemaco nella casa di Ulisse. La figura dell’educatore è una condizione senza la quale l’apprendere è impossibile. Gli ingredienti dell’educatore sono i modi aristocratici, la pazienza, la costanza. L’educatore non deve essere più di tanto audace e anticonformista, ma deve garantire l’ordine e la stabilità necessari al crescere. L’antimentore è Pan, brutto, molestatore, metà uomo e metà capra, è un adulto mancato. E’ l’opposto del mentore cui affidare la prole. La figura del mentore mette in moto dinamiche psichiche necessarie alla crescita. Il mondo adulto anche se legato da amore per il mentore deve prima o poi rinnegarlo, solo così l’adultità si rende libera. L’accettazione della guida del mentore coincide con la ricerca di ciò che vogliamo essere e non siamo ancora. Vivere il mentore in modo persecutorio è un conflitto senza fine. Una componente importante dell’educazione è il cambiamento. Il rapporto tra cambiamento e l’età adulta esiste dagli albori della cultura scritta, con Omero ed Esiodo. Il cambiamento di stato è la metamorfosi;
il cambiamento di luogo coincide con le peripezie;
il cambiamento di tempo suscita trasmigrazioni;
il cambiamento di luogo genera epifanie;
ma solo nel novecento con l’autobiografia diaristica si da ragione a chi vede nel cambiamento una costante dell’adultità, si è arrivati all’accettazione dell’inevitabilità del cambiamento che per apparire ha bisogno dell’occasione relazionale, quale incontro, apparizione, ascolto. Oggetto a cui attendere e sfide a cui il soggetto può sottoporsi.

Poiesis

L’età adulta quale costruzione sociale prevede due modelli teorici: il modello stadiale di Erikson e il modello di sviluppo ricorsivo di Levinson. Erikson sostiene una visione stadiale e cumulativa della crescita, la strada della crescita individuale è prescritta. Molti cercano di convincere gli anziani di essere morti. Italo Calvino si oppose a questo con il modello a-stadiale, nella nozione di reversibilità degli stati vitali. La reversibilità dei processi psichici è in relazione alla varietà di stimolazioni socioambientali e cognitive, ossia la teoria degli stadi si oppone alla teoria degli stati. La possibilità di vivere condizioni già sperimentate e modifica i nostri modelli cognitivi è tipica della teoria della reversibilità degli stati vitali. Secondo Calvino la teoria delle attività è un allenamento mentale (diario personale per esempio) tecnica contro il decadimento cerebrale. La concezione educativa integrata deve prevedere di far vivere prima del pensionamento le esperienze utili, lavorative, culturali, istruttive per preparare la transizione alla tarda età. In vecchiaia giustamente si verifica la poiesis, fare per realizzare se stessi. Le sollecitazioni educative dovrebbero sussistere a ogni età e puntare su:

  • Reversibilità, possibilità di tornare a studiare, pensare ed educare gli altri.
  • Irreversibilità, consolidare e arricchire ciò che si sa già
  • Continuità, non interruzione del rapporto con lo studio
  • Cambiamento che introduca emozioni nuove


Metamorfosi

Non disponiamo di sufficienti ricerche empiriche per dirci dove inizi e finisca l’età adulta. La pubblicità offre agli adulti camuffamenti per ribadire l’eterna giovinezza, venendo a mancare i vincoli imposti alle diverse età, è difficile dare all’avventura un senso univoco perché mancando un centro entra in crisi il processo per raggiungerlo, ossia il senso dell’avventura. Il mito è avventura e racchiude l’idea di metamorfosi, frutto di una scelta umana e non di una bizza divina, si attua in base alla logica dell’avventura. Le emozioni riconducibili al gioco nell’immagine del don Giovanni e le emozioni riconducibili all’avventura nell’immagine del Faust si compenetrano e sono sperimentabili nella vita adulta perché dove vi è tensione si placa nel gioco e riemerge il desiderio del rischio. L’avventura è una ricerca finalizzata. La peripezia o ventura è un gioco a-finalistico, senza scopo, eccitante d’incontri, con iatture ossia disgrazie. Queste dimensioni si integrano nello schema cavalleresco medievale e nelle imprese eroiche mitologiche e omeriche. Nel Perceval l’avventura si dipana per tappe precise, nella ricerca del Graal meta spirituale dove sulla ventura prevale l’avventura come ricerca e fatica volte alla scoperta di sé. Attualmente invece l’avventura è vissuta come gioco con un intento a-finalistico e non più come ricerca di sé. Nelle Argonautiche la meta è la propria terra abbandonata alla partenza, nell’inutilità di un’impresa ideale del ritorno nel viaggio d’andata. Non c’è avventura perché il progetto viene imposto da Giasone e gli argonauti sfiorano sempre la morte che è la protagonista del romanzo. Fantozzi è un povero impiegato romano, terrorizzato dall’idea di essere bambocciate, ma lo è di più, in quanto simbolo di una generazione di adulti che se cercano l’avventura, proprio perché senza scopo, trovano la iattura, ossia il danno e la sventura.


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