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APPROFONDIMENTI

Verso la sopravvivenza sociale. Il dissidio irrisolto.

21/11/2005

Verso la sopravvivenza sociale. Il dissidio irrisolto.

I posteri che seguirono al Petrarca si applicarono a lungo al problema fondamentale di cui egli aveva sentito ed espresso i termini senza posa: come salvaguardare l’umano ed il terreno dalla condanna religiosa e dal senso della loro caducità. I miti della gloria e della bellezza vennero coltivati con una costante e quasi ostinata volontà di ritenerli validi e non contrastanti con le strutture spirituali cristiane.
La conciliazione sperata tramite il mito della bellezza si rivela effimera. Il senso della corruttibilità del transeunte, la sfiducia in ciò che è puramente umano finisce per avere il sopravvento in Michelangelo, come due secoli prima nel Petrarca. L’idea della morte s’interpone fra lo slancio dell’artista e l’oggetto amato. La maggior parte degli umanisti estese assai di rado il merito di sopravvivere al di là delle attività letterarie e degli atteggiamenti ad esse favorevoli. Uno degli aspetti più diffusi e banali della loro mentalità fu di ritenere che l’immortalità delle gesta altrui derivasse dalla menzione che essi soli erano capaci di farne.
Si può affermare in generale che nel Trecento, se permane vivo l’interesse per la problematica religiosa, si assiste tuttavia ad una progressiva secolarizzazione della cultura. Di contro all’intellettualismo rigoroso dell’età precedente si sviluppa un gusto del particolare, del concreto, dell’individuale.
La vita del Petrarca fu tormentata da un dissidio che egli non riuscì mai a comporre stabilmente fra gli ideali della vita cristiana e quelli dell’amore, della gloria, della sopravvivenza presso i posteri, della fama poetica, intensamente bramati, come miraggio di felicità assoluta e avvertiti nel contempo labili e caduchi.
Egli si tenne lontano dalla politica attiva, cercando il rifugio dove isolarsi nel colloquio con i grandi del passato e con se stesso, nell’ansia di superare un presente avvertito di irreparabile decadenza. La vita terrena gli appariva continuamente insidiata dalla morte e soprattutto da quella “morte” nella vita che era l’incapacità, sempre latente nell’uomo, di attingere una sicura fermezza nel concepire e conseguire i propri ideali: Dal sentimento ossessivo della fuga del tempo e della vita, egli cercava approdo e tentava di risollevarsi verso i valori cristiani che non deludono, verso una promessa d’eternità; ma l’eternità che egli sognava era in realtà quella del tempo, l’attuazione e la persistenza dei valori umani ( la gloria, l’amore, la poesia) che gli si rivelavano affascinanti e precari al contempo.
Da qui il dissidio irrisolto. In tal modo egli scopriva lo spazio ed il tempo umani come significati d’illusione, come dimensione dell’attesa e del disinganno, della ricerca che non conosce fine, la certezza del cammino incessante verso la gloria eterna, la sopravvivenza sociale, il riscatto presso i posteri, la rivincita sulla morte.
Per superare l’illusione subentra la tensione verso i beni veri, che non deludono, ossia la virtù e Dio. Sarebbe questa, secondo il Petrarca, la via che conduce alla pace dell’anima, alla felicità vera, ma il Poeta non sa decisamente intraprenderla: troppo vive sono nel suo cuore le seduzioni mondane, quegli ideali d’amore, di bellezza, di gloria, di poesia che egli non sa rassegnarsi a sentire caduchi e inconsistenti, proprio perché continuamente insidiati dal tempo e dalla morte, ma nel contempo li ama fervidamente come espressione di vita eletta.
La dignità del Petrarca sta in questa ricerca di comprensione integrale del proprio “io”, superando i piccoli compromessi meschini che tanto spesso aduggiano la vita: Agostino gli aveva insegnato che la verità è nell’intimo della coscienza;. Egli ricercava, attraverso un continuo e difficile dialogo con se stesso, la luce che illuminasse la sua vita. Scavando in se stesso ritrovava l’uomo, ne viveva e soffriva, cercando di comprendere l’intimo dissidio: il contrasto tra il destino limitato e l’esigenza di riscattarlo e “sublimarlo” nella creazione, spesso ardua, sempre incompiuta, di valori più alti, oltre la morte, per sopravvivere al tempo.
Il Secretum era concepito come diario personale, come specchio privato dell’autore, per un’analisi interiore dell’anima (o meglio autoanalisi), un confronto con i propri conflitti ideali. Agostino e Francesco non rappresentano in realtà due punti di vista opposti, ma due aspetti diversi e tra loro intrecciati della coscienza del Poeta: Agostino incarna le sue certezze ideologiche ed i suoi positivi ideali morali e religiosi, Francesco rappresenta il suo comportamento reale, la sua difficoltà di realizzare quei valori nell’esistenza quotidiana ed il suo resistente attaccamento al fascino delle cose terrene. Il dialogo assume così un carattere particolare, diventando esame di coscienza, in cui il conflitto rimane inesorabilmente aperto.


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