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La psicologia dell’ambiente

In che città viviamo?

KOFFKA Uno dei più insigni rappresentanti della psicologia della Gestalt, berlinese, emigrato nel 1927 negli Stati Uniti, dove divenne professore alla Cornell University, nel suo “Principi di psicologia della Gestalt” si chiedeva: “Viviamo tutti nella stessa città?” ovviamente alludendo agli abitanti di uno stesso centro urbano. Possiamo rispondere in due modi, egli diceva, a seconda che ci riferiamo all’AMBIENTE IN SENSO PURAMENTE FISICO-GEOGRAFICO oppure se ci riferiamo all’AMBIENTE PSICOLOGICO intendendo con quest’ultimo quell’ambiente che è percepito e quindi rappresentato nella nostra mente attraverso il flusso dell’esperienza. Questa potrebbe essere la questione che ha ispirato il formarsi di una psicologia ambientale, diretta cioè ad analizzare le relazioni tra le caratteristiche oggettive dell’ambiente in cui viviamo e le rappresentazioni mentali che ce ne facciamo, onde poi collegarle all’insieme delle problematiche che in rapporto con l’ambiente si danno nella vita individuale e collettiva. 
La Gestalt ha mostrato leggi molto note che presiedono alla strutturazione del campo percettivo come unità che trascende la somma delle sue parti, e che si presenta quindi alla nostra esperienza come un fatto già organizzato e significativo. 
Altre ottiche presuppongono tra gli stimoli prossimali e le rappresentazioni mentali dell’ambiente l’intervento di più o meno complessi processi di elaborazione, attraverso i quali le informazioni giunte ai nostri sensi subiscono operazioni di selezione e confronto con altre presenti in memoria, integrazione in schemi più o meno articolati, e così via, sin quando pervengono ad assumere rappresentazioni significative. 
Queste due ottiche oggi presentano scambi ed integrazioni alcuni principi della Gestalt + i processi di ricostruzione (soprattutto quando dal fatto più squisitamente percettivo si voglia passare a quella sfera più ampia di significati che intervengono nel sociale). Accanto alle caratteristiche strutturali dell’ambiente che gestalticamente si danno alla nostra esperienza, hanno un ruolo possibile non solo i processi cognitivi di integrazione ed interpretazione, ma ugualmente quelli connessi con la MOTIVAZIONE e con l’ATTENZIONE questi ultimi possono incidere già sul primo momento di contatto con il mondo, portandoci a fare scelte, ad approfondire certi aspetti e non altri. 
Sarà proprio l’ottica transazionale quella che darà l’avvio allo studio psicologico dell’ambiente, e quella che ancora oggi sostiene i suoi modelli recenti. 

La psicologia ambientale nasce non come speculazione scientifica sul problema della percezione ma come risposta ad una questione pratica. Negli anni ‘50 l'Istituto Nazionale di Salute Mentale americano si era chiesto se l'assetto ambientale-spaziale-architettonico degli ospedali psichiatrici potesse influenzare la pratica medica ed il comportamento dei pazienti. 
Il gruppo dell’Università di Princeton (Cantril e Kilpatrick) studiava da tempo la percezione in OTTICA TRANSAZIONALE termine improntato a Dewey, che nell’opera “Knowing and the 
Know” lo utilizzava per indicare qualcosa di più ATTIVO della semplice interazione un rapporto tra due entità ciascuna delle quali nel rapporto stesso trova la sua definizione, come in una “transazione commerciale” “non esistono compratori e venditori che IN una transazione ed A CAUSA di una transazione in cui sono”. 
Viene mostrato il ruolo attivo che il soggetto esercita nella percezione dovuto non solo a come il soggetto si rapporta al mondo ma anche all'azione che avviene nel campo. E' questo campo formato dalla transazione tra soggetto e ambiente il vero costruttore del dato percettivo. (Ottica non lontana dalla field theory di Lewin). 
Quest’ottica, dunque, si prestava assai bene per accedere ad una psicologia dell’ambiente in relazione ad un soggetto reale, che nell’ambiente si muove, agisce, cerca punti per renderselo in qualche modo solido ed affidabile, e che può non solo adattare se stesso all’ambiente ma adattare l’ambiente a sé. 
ITTELSON ha dato una formalizzazione di questo punto di vista nel suo testo “La psicologia dell’ambiente” Considerazione dell’ambiente come un dato di ordine non solo sensoriale ma dotato di QUALITÀ SIMBOLICHE che gli sono conferite dall’ATTIVITÀ UMANA e quindi di “significati” connessi con le loro funzioni. Sono cioè “ambienti sociali, organizzati, culturali” connessi con la “trama” dei sistemi sociali in cui le persone vivono, e trovano il loro senso della misura in cui sono TOTALITÀ che comprendono aspetti fisici, aspetti simbolici, individui e gruppi. Il problema del cambiamento è importante in quanto sono proprio i fenomeni di cambiamento che fanno prendere consapevolezza delle caratteristiche specifiche dell’ambiente che solitamente non avvertiamo. D’altra parte gli ambienti “non sono punti isolati nel tempo”. Il soggetto che la psicologia ambientale di Ittelson delinea è molto simile a quello da noi tratteggiato un soggetto agente, motivato, che pensa e fa, le cui motivazioni nascono dall’interscambio costante tra bisogni e dati ambientali nonché “dalla disponibilità di oggetti-scopo appropriati”. Tutto ciò sostenuto da processi cognitivi in cui le attività di conoscenza sono integrate da inferenze, previsioni, “sogni, giudizi, immaginazioni”, ritorni al passato e proiezioni nel futuro, nonché da emozioni che valgono ad indirizzare la condotta al pari dei bisogni. 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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