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L’analisi intrapsichica e quella interpersonale di Jacobs


Jacobs parte da una analisi di quelle due prospettive analitiche che sono state in contrasto per lungo tempo, ovvero La prima sostiene che nella persona vadano identificate e analizzate le sue proprie componenti personali (fantasie, immagini inconscie, ecc…) e la sua risposta interna del bambino al suo mondo oggettuale.
La seconda sottolinea invece la centralità delle relazioni con i genitori e le figure di attaccamento nelle prime fasi della vita, in quanto dei caretakers deprivanti e incapaci di “nutrire” affettivamente un bambino porteranno lo stesso ad identificarsi con questa parte deprivante e quindi anche nelle relazioni future queste “strutture” si ripresenteranno.
Borgogno, invece, continua Jacobs, utilizza entrambi i metodi di analisi, utilizzando le voci di grandi maestri quali Ferenczi e Winnicott, nel farlo richiama alla mente l’idea dei bambini che hanno subito “soul murder” (assassino dell’anima, Shengold). Questi bambini (aggrediti o cresciuti in ambienti psichicamente sterili) non sviluppano un sano nucleo di “riguardo-di-sè” e sentono di vivere in un vuoto che li pervade (con conseguente tendenza depressiva e ritiro schizoide) e hanno rappresentazioni di sè negative.
 
Borgogno tratta M sia sul piano intrapsichico che interpersonale, perchè seguendo l’idea di Ferenczi per cui i pazienti simili a M devono vivere un’esperienza riparativa, egli mette a disposizione della sua paziente se stesso come oggetto spontaneo e autentico oltre che supportivo.
Inoltre Borgogno mantiene la vitalità fondamentale da restituire a M, non lasciandosi sopraffare dalla disperazione e pessimismo di M, accettando di diventare l’odiato oggetto deprivante e contemporaneamente anche il sè deprivato. In quesot modo, continua Jacobs, si potrà rendere esplicito a M il suo odio riversato nel transfert.
 
Aggiunge inoltre che Borgogno preserva la paziente tramite un controtransfert molto positivo, vivo e autentico, cosa che risulterà poi fondamentale per il lavoro nei vari anni e per una positiva riuscita dello stesso.
Questo perchè solo con la spontaneità Borgogno entra in contatto con M; Arrivando così a “collegarsi” riesce ad infonderle, tramite il suo comportamento riparativo, quella vitalità, gioia, ecc… che il nucleo del sè di M deficita e che è invece fondamentale per la sua “rinascita”.
L’attività riparativa però, per quanto sia importante, non basta per colmare le lacune (perchè di lacune si tratta, rivedere l’intervento del capitolo 3 successivo a questo autore sui deficit) che l’infanzia le ha lasciato, ma è fondamentale il lavoro di working through che si snoda sia a livello interpersonale, sia a livello intrapsichico per modificare le fantasie interne della paziente e modificarle.
 
Secondo Jacobs, Borgogno tralascia di raccontare come abbia trattato l’aggressività della paziente sia verso la relazione che verso il mondo esterno.
 
Borgogno Mette l’accento nel suo scritto soprattutto sulla centralità della spontaneità dell’analista nel far rinascere quell’idea di alterità nella paziente; inoltre M viene descritta in un altro libro di Borgogno (probabilmente in “psicoanalisi come percorso” nota personale) come una persona priva di esperienze di mentalizzazione (Fonagy) e quindi incapace di attribuire agli altri dei processi mentali, motivo per cui Borgogno si dimostra disponibile ad illustrarle i suoi processi mentali (dobbiamo quindi considerare M come vicina all’area borderline-psicotica? nota personale).
 
Borgogno risponde a Jacobs
 
(In questa parte inserisco la risposta data SOLO a Jacobs riguardante l’aggressività di M in quanto nella risposta all’autore successivo, Nemirovsky, Borgogno risponderà ad entrambi sul tema dell’intrapsichiso e dell’interpersonale. Ho preferito questa distinzione per non creare confusione dal rispondere al primo autore solo nell’ultima parte del commento di Borgogno – nota personale)
 
Borgogno sottolinea di aver gestito l’aggressività di M in maniera differente nel percorso psicoanalitico da lui portato avanti, in quanto nel primo periodo di analisi M non possedeva una struttura psichica abbastanza salda, mentre dopo alcuni anni poteva più facilmente recepire le interpretazioni dell’analista.
Aggiunge inoltre che non gli fu subito chiara la situazione di M, sia a livello di “urlo” del silenzio che non era da attribuire ad aggressività verso l’analista, ma ad un suo singolare modo di esprimersi all’interno degli scambi con l’analista.
Ugualmente accadde per la regressione che colpì Borgogno per la sua profondità e che dovette lui stesso conviverci per poterla comprendere.
Cominciò allora a chiedersi: “che cosa terrorizza M?”, “cosa non è sostenibile per lei nei nostri incontri che la porta a questo mutismo?” -> queste domande portarono Borgogno ad avvicinarsi alla paziente in quanto subito dopo fu in grado di chiedersi se M non fosse in realtà incapace di esprimersi perchè non possedeva una alfabetizzazione affettiva; o ancora di più se non fosse M diventata la propria madre che disconfermava l’analista come per renderlo partecipe di quello che M aveva provato.
Ipotesi che vorrebbe che M fosse fermamente convinta dell’analisi, fatto confermato dalla sua presenza costante, regolarità nei pagamenti e lungo tragitto per giungere in seduta.
 
Borgogno impersonando in maniera alternata la madre di M e la M bambina, sopravvivendo a queste impersonificazioni, dava a M un risvolto interpretativo relazionale completamente nuovo alla paziente, indicandole che c’era un altro modo per vivere i rapporti. Inoltre mentre permetteva queste impersonificazioni cercava di capire come veniva usato e perchè.
 
Il commitment di Borgogno rimane fermo su due punti: il primo riguarda il risvegliare il pensare e sentire di M, intorpidito e bloccato dalle esperienze precoci subite; il secondo veicolare vitalità, rabbia, odio, ecc… ogniqualvolta queste venivano negate nella loro espressione (come M bambina soprattutto – nota personale).
Con il recupero di parte del suo senso di agency, l’aggressività di M calò notevolmente e sprattutto fu possibile analizzarla andando a chiedere e ricercare esplicitamente da dove derivava questa aggressività e verso chi (transfert) era diretta.
 

Nemirovsky

 
Plaude Borgogno per utilizzare Bion, Ferenczi e Winnicott, ma non per questo si adagia su di loro, ma propone un percorso originale per la sua paziente e per sè stesso, che in qualche modo si avvicina alla psicoanalisi intersoggettiva contemporanea (evidente dal titolo stesso che richiama una ricerca dell’eziologia della patologia).
 
Borgogno si sofferma su due aspetti principalmente, ed essi sono:
L’utilizzo della componente emozionale non consapevole dell’analista per comprendere il paziente ed aiutarlo ad emanciparsi
Importanza della vita soggettiva dell’analista per l’ascolto in fase di psicoanalisi.
 
Patologia da deficit e il suo rapporto con il trauma
 
Deficit significa carenze intrasistemiche in una struttura del sè difettosa, sfaccettata (scissa) con conseguenze a livello clinico.
 
La problematica di questi pazienti si può dire bi-personale e non triangolare ed essi vanno incontro a dei crolli ogniqualvolta sperimentano dei lutti che li porteranno a frammentazione -> terrore di annichilimento.
La presenza del deficit porta il paziente a strutturare delle difese (spesso molto primitive) per riuscire a sopravvivere, il che porta la sessualità in secondo piano in quanto viene anch’essa utilizzata come strumento difensivo.
Diventa quindi fondamentale per loro la ricerca della sopravvivenza rispetto a quella del piacere.
Narciso > Edipo (McDougall).
 
Bisogna quindi per questi casi rivedere la classica teoria sulle nevrosi, perchè Freud sosteneva che “nulla, fuorchè il desiderio, può attivare l’apparato psichico, mentre in realtà questa affermazione va in parte riformulata. I traumi subiti in età precoce (prima della formazione dell’inconscio) non spariscono dalla persona che li ha subiti, ma rimangono una parte integrante dell’individuo. Questi traumi (più che altro ambientali) derivano da una carenza di sostegno e offerta al bambino piccolo.
Quando poi nell’analisi queste situazioni deficitarie si verranno a ripresentare, esse saranno sotto forma di transfert di bisogno e non transfert del desiderio e quindi per indagarlo bisognerà osservare le componenti para-analitiche (tono di voce, azioni fisiche, ecc…).
Per attivarle bisogna appunto ricreare quelle esperienze che il paziente non ha vissuto fino a quel momento, quelle esperienze “fallite”.
 
Il caso di M richiama la teoria di Atwood per cui i pazienti che presentano questi sintomi sono stati bambini cui è mancato un contesto intersoggettivo capace di dare modulazione e contenimento.
Non è quidi l’evento traumatico in sè a creare il problema, ma l’ambiente incapace di holding, incapace di dare una risposta e significato al bambino.
 
Centralità del setting
 
Per Winnicott ci sono due tipi di persone:
Quelle che hanno ricevuto dall’ambiente sufficiente supporto per raggiungere la propria individualità -> nevrotici
quelle che hanno subito assenza dell’oggetto o oggetto intrusivo, i cui valori traumatici sono poi stati lasciati cadere nel silenzio -> Pazienti più gravi
Per i pazienti come M serve un atteggiamento empatico/affettivo in grado di rispondere alle necessità, anche perchè la “via del levare” (interpretazioni e risolvere il conflitto nevrotico) non funziona.
Meltzer sostiene che questi sono pazienti che tendono a cadere in frantumi e necessitano la formazione di un oggetto stabile, capace di contenerli e sostenerli, non servono le interpretazioni.
Diventa quindi dovere del terapeuta sostenere il legame che il paziente ha formato con lui ricordandosi la regola del “se non puoi capire contieni”, in quanto questi pazienti non lavorano sui concetti, ma sul concreto.
 
Il setting terapeutico che ne deriva è quindi improntato alla qualità più che alla quantità (non contano cioè il numero di sedute, il prezzo, gli orari, ecc… ma sulla qualità della relazione che si viene ad instaurare duante le sedute) -> adattarsi al paziente.
E’ quindi necessario avere un setting improntato alla stabilità (che è diverso da rigidità ma significa affidabilità) allo scopo di contenere le angosce del paziente e creare la fondamentale fiducia.
 
Risulterà altresì di fondamentale importanza analizzare opgni minima variazione del setting e del comportamento del paziente (a livello anche di movimenti, di fantasie che suscitano nell’analista, ecc…).
Ritorna ovviamente un richiamo a fare attenzione più che ai desideri del paziente (sessuali), alle sue necessità.
 
In pazienti come M sono i bisogni precoci a essere messi in gioco nella relazione terapeutici, quindi non si sta parlando di spinte istintuali, e per poter venire espressi risulta fundamentale entrare in sintonia con il paziente e creare una coppia terapeutica in grado di far uscire allo scoperto il lato deficitario del paziente.
 
Il terapeuta, in sostanza deve essere vivo e significativo per il paziente e deve far sentire il paziente allo stesso modo, sottolineando sempre la sua alterità al fine di spingere verso l’emancipazione.
 
Cosa stiamo scoprendo?
Ambiente fondamentale per sanità psichica
Importanza del contesto relazionale (Balint)
Unicità del trattamento per ogni persona
Come giungere a ricostruire la storia di un paziente deprivato
 
Risposta di Borgogno a Nemirovsky
 
La controversia interpersonale Vs. intrapsichico era vivida nella mente di Borgogno durante il periodo dell’analidi di M e anche prima nel suo periodo di formazione e lui era dalla parte degli interpersonali per capire quei pazienti cui un fallimento ambientale ha negato al formazione di un “riguardo-di-sè” e “degli-altri” (come diceva Jacobs nel suo intervento); questa formazione era ciò che mancava ad M e di cui si riappropriò durante l’analisi.
Anche se nelle prime sedute M non era nemmeno in grado di sapere chi fosse lei stessa e chi fossero gli altri (mancava quindi la funzione riflessiva direbbe Fonagy), M mancava anche di saper concettualizzare gli stati interni, spiegarseli ed alfabetizzarli.
 
Lo stato di silenzio in cui versava non era da intendere come un attacco ai legami (legame terapeutico in questo caso) ma come una sua impossibilità ad esprimere qualcosa che non era proprio in grado di esprimere a causa del suo deficit generatori in età precoce.
Quando finalmente M riuscità a verbalizzare, a spiegare a parole i suoi stati interni, per lei sarà un modo di “ancorarsi a terra”, di riappropriarsi di una visione del mondo che fino a quel momento le era stata negata.
M inoltre con il suo silenzio cercava di controllare in maniera onnipotente gli altri, perchè aveva la convinzione che fingendo di essere morta, potesse ottenere qualche attenzione dagli altri (fantasia legata alla sua infanzia). La tirannia di M era quindi una disperata richiesta di aiuto e di attenzioni.
 
“essere vivo solo quando si ha paura che tu sia morto”
 
Così M si stupì di come Borgogno non era solo interessato alla sua semplice sopravvivenza (di M), ma anche ai suoi stati interni, emozioni, affettività, ecc…
 
Borgogno sottolinea anche che non aver preso subito in analisi M fu una vera e propria omissione di soccorso (vedere pagina 95-96 del libro per maggiori dettagli).
 
Per quanto interpersonale e intrapsichico siano entrambi di fondamentale importanza all’interno dell’analisi, riprende Borgogno, l’interapsichico deriva dalle relazioni interpersonali sviluppatesi nei primi attimi di vita del bambino e risulta quindi preponderante. Così è stato anche nell’analisi di M.
 
Per l’attaccamento adesivo (Meltzer), Borgogno dice che con M ha dovuto colmare il “buco” lasciato dalla sua storia infantile con qualcosa di nuovo ed originale, costruito con e per M. Un persorso faticoso, lontano dalla speranza di M di risolvere tutto con una veloce e semplice interpretazione del “latente”.

Tratto da LA SIGNORINA CHE FACEVA HARA-KIRI di Ivan Ferrero
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