Skip to content

La psicopatologia


La psicopatologia è la scienza che studia i segni ed i sintomi di una patologia della sfera psichica. I segni sono quelli visibili ed osservabili, mentre i sintomi vengono riferiti dal paziente.

La psicopatologia è centrale per esempio per la terapia perché prima ci dev’essere una valutazione dei segni e sintomi, anche la metodologia per valutarli è fondamentale (oltre al colloquio è possibile la testistica), segni e sintomi potrebbero denotare una somatizzazione (qui la psicosomatica indaga l’area), valutare i correlati psicofisiologici delle malattie psicologiche (psicofisiologia).

Spesso si parte dal caso clinico per poi generalizzare e vedere se potrebbe essere inquadrato in quell’ambito ma anche in un altro. Dal particolare al generale, sotto quale classificazione collocare il caso.

Per valutare un paziente al meglio serve una metodologia clinica, in questo senso la metodologia del colloquio che serve per poter pensare di effettuare domande in maniera specifica e sistematica. Quindi osservare e condurre un colloquio esaustivo. Viene definito buon colloquio quando alla fine si è riusciti ad avere tutte le informazioni di cui si ha bisogno.
Nell’ambito clinico sono possibili due tipi di colloquio:
1. Colloquio psicodinamico: orientato all’insight del paziente
2. Colloquio descrittivo: orientato al sintomo
Si differenziano negli scopi, nella concezione della malattia e nella metodologia utilizzata

Nel caso 1, il concetto di patologia mentale ha alla base il conflitto inconscio che costituisce un agente patogeno, spina irritativa, cronico che influenza il comportamento del soggetto, le sue percezioni e questa catena porta a comportamenti mal adattivi e sofferenza del soggetto. Sulla base di questi conflitti si producono i sintomi.
Gli obiettivi sono quelli di comprendere e spiegare sintomi e segni, nonché comportamenti.
I metodi utilizzati sono quelli interpretativi (associazioni libere, sogni, confrontazioni delle relazioni cercando di identificare meccanismi di difesa, resistenze e meccanismi utilizzati dal paziente).

Nel caso 2 si ha un approccio diverso, alla base c’è una concezione della malattia come insieme di segni e sintomi, comportamenti che hanno un certo andamento del tempo e rispondono in un certo modo ai trattamenti e che si presentano con determinate ricorrenze.
L’obiettivo di questo approccio è quello di classificare, perché in questo modo si può predire il decorso, l’andamento del quadro ed è possibile selezionare il trattamento più efficace.
I metodi sono: osservazione dei segni ed il colloquio chiedendo i sintomi, per una diagnosi descrittiva, cercando di capire se ci sono attori stressanti, malattie fisiche, problemi psicosociali, ambientali che hanno inciso sulla patologia, tutto questo però senza entrare nella spiegazione, ma limitandosi a semplici inferenze.

Sono approcci profondamente diversi. Quale usare dipende dalla situazione, in alcuni casi possono anche diventare complementari. Inizialmente sarebbe meglio un approccio più asettico poi si valuta in base alla necessità. Importante è capire chi si ha di fronte per poi decidere quale metodo usare. Lo si deve fare in modo sistematico attraverso la metodologia clinica che è l’indagine sistematica delle situazioni individuali, in questa maniera si può essere precisi nella valutazione del paziente e si può operare una diagnosi differenziale accurata, riducendo così l’ambiguità possibile in questi casi. Non solo lasciare che il paziente si esprima, ma indagare certi elementi se non emergono, sistematica (perché passibile di verifica).

Determinate tecniche vanno usate durante tutte le fasi del colloquio (Preliminare, iniziale, centrale, finale)
In ogni fase bisogna utilizzare determinate tecniche importanti in qualsiasi fase del colloquio, in particolare occorre basarsi in tutte le fasi su:
1. RELAZIONE (senza questa non si ottengono informazioni).
2. RISPOSTA ALLE TECNICHE
3. STATO MENTALE
4. SEGNI E SINTOMI

Il TEMPO è un altro elemento fondamentale, tenere conto che non è illimitato, pensare che è definito.

Se non ci si basa su questi componenti non si possono avere le informazioni, mettere il paziente e se stessi a proprio agio. Focalizzarsi sul paziente, ascoltando quello che dice, tenendo a bada l’ansia del primo incontro. Accogliere il paziente fin da subito rispondendo ai segni del paziente (ad esempio passo lento di un paziente intimidito => fare in modo di non prevaricare il suo stato di chiusura, al contrario se si dimostra disinibito si devono mettere dei paletti).

L’empatia è fondamentale, ascoltando la sua sofferenza bisogna dimostrare empatia, a volta basta un cenno senza necessità di dire nulla, oppure nei casi di massima sofferenza si può puntualizzare il fatto di comprenderla, una piccola frase, non serve molto altro.

Bisogna valutare la capacità d’insight, non tutti ce l’hanno, in questo caso il trattamento è più difficile perché non c’è consapevolezza di malattia; in questo caso bisogna allearsi col paziente dimostrando comprensione, allearsi con la parte sana del paziente.

Mostrare competenza
è importante ma non significa sapere tutto, ma se per avere una buona relazione serve dimostrare competenza, ma anche dire con molta onestà di dover valutare qualcosa se non la si sa; è un modo anche per aumentare la relazione. Se un paziente ha dei dubbi, provare ad inserirli in un contesto più ampio, dimostrando che altre persone si sono trovati nella sua situazione.

Assumere la leadership significa che bisogna condurre il colloquio senza lasciare sempre e solo spazio al paziente, ma avere una leadership.

Bisogna equilibrare i ruoli, in certi momenti deve essere guidato, in altri tranquillizzato ecc.

Componente fondamentale è comunque quella di ottenere informazioni attraverso tecniche, alcuni pazienti però non sono collaboranti e non hanno intenzione di parlare di sé oppure utilizzano meccanismi di difesa, si può aggirare questo comportamento con tecniche diverse. Le risposte vaghe vanno contestualizzate, cercare di capire bene cosa il paziente intende, coi pazienti resistenti questo è difficile, dimostrare accettazione per la sua resistenza può sbloccare la situazione, se non basta si può anche intervenire cioè entrare nel vivo della problematica in un secondo momento, provando anche a capire perché non vuole esprimersi. A volte con comportamenti antisociali, una tecnica può essere l’induzione a vantarsi, senza mettere dentro una connotazione di giudizio. La rassicurazione va sempre utilizzata, l’interpretazione non psicodinamica può sbloccare una situazione per accedere alle informazioni.

Alla fine quello che bisogna arrivare a dire è quello che presenta il paziente, la sua psicopatologia, bisogna valutare lo stato mentale del soggetto, quindi si raccolgono segni e sintomi per valutare il funzionamento attuale del paziente, nel qui ed ora, è la prima cosa che serve per un quadro della condizione attuale → ESAME DI STATO MENTALE.

Lo stato mentale è basilare per una valutazione diagnostica ed è il funzionamento psichico del soggetto che ci da dei dati trasversali nel qui ed ora, ma per effettuare una valutazione diagnostica serve anche la valutazione longitudinale. Nella valutazione dello stato mentale (fase preliminare) è importante tenere conto di tanti elementi ad esempio l’eloquio, elaborazione delle emozioni ecc.

ESAME DI STATO MENTALE: La diagnosi differenziale, valutazione trasversale e longitudinale, giudizio clinico (fondamentale perché è importante fare inferenze in base alle proprio conoscenze, non essere troppo rigidi).

Come collocare le informazioni?
In quale ambito?
Con quale scopo?
La diagnosi è un processo che implica vari passaggi.

Tratto da PSICOPATOLOGIA DIFFERENZIALE di Veronica Rossi
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.