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La comunicazione nel gruppo


Ci sono 3 fenomeni che emergono dall'interazione tra norme, leadership, elementi strutturali e processi comunicativi dei gruppi: la polarizzazione dei comportamenti all'interno di una prigione simulata, il fenomeno del groupthink e le comunità di pratiche.

Zimbardo e l'esperimento della prigione

Condusse uno studio per criticare l'ipotesi disposizionale secondo la quale la violenza nelle prigioni è dovuta a caratteristiche di personalità perché i galeotti sono caratterizzati dalla propensione alla violenza mentre le guardie hanno un animo sadico e usano la violenza in casi di ribellione, infatti Zimbardo era convinto che le radici della violenza erano rintracciabili nell'ambiente socio-psicologico della prigione e non nelle disposizioni individuali. L'esperimento della prigione fu condotto nel 1971 in una prigione ricreata da Zimbardo nei sotterranei dell'università di Stanford, i soggetti furono reclutati tramite annuncio di giornale e ne furono scelti 24 reputati più stabili fisicamente e mentalmente che vennero divisi in due gruppi: guardie e prigionieri. Ai prigionieri fu detto che sarebbero stati privati i alcuni diritti civili, che sarebbero stati sorvegliati e che quindi non avevano la loro privacy e non avrebbero subito abusi fisici, mentre le guardie dovevano mantenere l'ordine ma senza usare la violenza anche se furono dotati di manganello, uniformi, occhiali a specchio e fischietto. La polizia locale collaborò all'esperimento perché arrestò per finta i soggetti che avevano il ruolo di prigionieri. Dopo pochi giorni i prigionieri dimostravano i tratti tipici di depressione/dipendenza/rassegnazione mentre le guardie  andarono al di là delle istruzioni perché insultavano i detenuti, li punivano fisicamente e li obbligavano a insultarsi reciprocamente, lo stesso Zimbardo si calò nel ruolo di direttore della prigione e l'esperimento fu interrotto dopo 6 giorni da una collega di Zimbardo che aveva visto la gravità della situazione. Secondo Zimbardo per trasformare dei normali soggetti in prigionieri rassegnati o in guardie spietate era stato sufficiente attribuire dei ruoli specifici con cui identificarsi, definire un differenziale di potere (guardie>prigionieri) e strutturare un ambiente adeguato sul piano psico-sociale legittimando la situazione. 

Nel 2001 è stata condotta una revisione dell'esperimento di Zimbardo da Haslam e Reicher che riscontrarono dei risultati differenti; infatti i prigionieri svilupparono un senso di appartenenza a un gruppo (Noi) per resistere allo stress individuale e così facendo riuscirono anche a contrastare le guardie impedendo lo sviluppo di un regime tirannico, mentre le guardie fallirono e non sapevano come comportarsi di fronte ai prigionieri resi più forti dall'appartenenza al gruppo. Secondo questa nuova ricerca il collasso della coesione tra i prigionieri che si era verificato nell'esperimento precedente di Zimbardo causò il trionfo della tirannia.

Groupthink

Il groupthink è il pensiero di gruppo, è un fenomeno usato per valutare se il gruppo è più efficiente rispetto ai singoli nella presa di decisione e nella risoluzione dei problemi. Una prima risposta venne formulata nel anni Cinquanta da Bavelas e Leavitt secondo cui l'efficienza delle soluzioni elaborate in gruppo dipende dalla forma della rete di comunicazione interna e dalla tipologia del problema. 
Le reti di comunicazione si distinguono in 2 tipi in base alla distanza (che indica il numero minimo di legami che occorre attraversare per andare dal nodo A al nodo B) e alla centralità (che indica il numero di comunicazioni che passano tramite un nodo della rete). 
I 2 tipi di rete sono: la rete centralizzata (= prevede un minor numero di comunicazioni ma un maggior impegno cognitivo da parte del singolo elemento che è chiamato a coordinare le informazioni, è più adatta a compiti semplici) e la rete decentralizzata (= è da preferire con compiti più complessi in cui la divisione delle informazioni è essenziale per definire il problema). 
Secondo Janis il groupthink è una forma dannosa di processo decisionale in cui i membri di un gruppo tralasciano la ricerca e la valutazione di soluzioni alternative giungendo a scelte disastrose. Secondo Janis i fattori che favoriscono il groupthink sono: elevata coesione del gruppo, isolamento dei decisori rispetto al personale esperto, assenza di una leadership imparziale, mancanza di procedure decisionali metodiche, omogeneità ideologica dei membri del gruppo e pressione dovuta a minacce esterne; in queste condizioni aumenta la probabilità che i gruppi cerchino consenso interno. I sintomi del groupthink sono l'ottimismo ingiustificato, la percezione di invulnerabilità e i processi di evitamento come l'autocensura, la formazione di stereotipi verso l'outgroup e le credenze sulla moralità dell'ingroup. 
Ma recenti revisioni (Esser 1998) sul tema del groupthink sottolineano che è necessario distinguere tra la qualità del processo decisionale e la qualità della decisione perché un processo scadente potrebbe portare a decisioni corrette oppure un processo ottimale potrebbe basarsi su informazioni scorrette, la coesione del gruppo che era fondamentale nel modello di Janis sembra avere effetti contrastanti e la presenza di una leadership autoritaria con l'assenza di procedure decisionali e con la pressione esterna favoriscono procedure decisionali scadenti e decisioni peggiori.

Comunità di pratiche

Wegner propone il concetto di comunità di pratiche spostando l'attenzione dal prodotto delle decisioni al processo di interazione che si sviluppa all'interno di gruppi reali. L'autore si sofferma sull'apprendimento che nasce dall'interazione, una comunità di pratiche non si limita a ricevere/elaborare informazioni ma apprende tramite un processo collettivo a muoversi nel proprio ambiente. Le persone che appartengono a una comunità di pratiche condividono interessi e imparano le une dalle altre come perseguire l'obbiettivo comune in modo creativo/innovativo/costruttivo. Wegner si allontana dalle prospettive cognitive del decision making e si avvicina alle tradizioni interazioniste e costruttiviste. 

Le caratteristiche delle comunità di pratiche sono:
- impegno reciproco: i componenti del gruppo si riconoscono come complementari, gli obbiettivi e i contributi sono negoziati, le parole chiave sono negoziazione e condivisione (Es. nella costruzione di una casa architetti e muratori hanno un obbiettivo comune e collaborano con la condivisione e la disponibilità a negoziare)
- impresa comune: coordinamento tra obbiettivi individuali e obbiettivi condivisi/comuni
- repertorio condiviso: insieme di significati/gesti/abitudini che consentono a un gruppo di interagire in modo dotato di senso, infatti non è possibile coordinarsi o identificare uno scopo comune se non si condividono riferimenti culturali/significati/memorie che diano senso all'azione di singoli e del gruppo, è il terreno d'incontro tra le pratiche precedenti e i nuovi obbiettivi dove l'apprendimento diventa un processo attivo di ricostruzione di significati socialmente condivisi nella continua interazione

Le comunità di pratiche portano la comunicazione al centro dell'interesse, soffermandosi sull'interazione per la comprensione dell'evoluzione del gruppo/delle sue pratiche/della capacità di svolgere un ruolo attivo nella costruzione della realtà. La comunicazione è un elemento trasversale perché è fondamentale per nell'emergere delle norme, legata alla definizione di ruoli e status, importante nella persuasione (esperimento di Ash che ha studiato come l'essere membro di un gruppo è una condizione che può modificare azioni/percezioni/giudizi di un individuo, il fenomeno della suggestionabilità orienta l'interpretazione di un fenomeno verso le caratteristiche personali per cui si può cambiare pensiero/percezione sugli altri con delle ripercussioni sulla costruzione della realtà nella vita quotidiana) e centrale per identificare il leader.

Tratto da PSICOLOGIA SOCIALE di Emma Lampa
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