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Aspetti economici e sociali dei sumeri

Come detto il regno sumero non era un’entità statale unitaria ma piuttosto un alleanza di città stato che rimanevano unite grazie all’autorità del re. Ne consegue che il paese apparisse più compatto sotto il governo di un re stimato e forte, come ad esempio Lugalzaggisi, e più instabile e disgregato durante le reggenze di monarchi più deboli. Le guerre fra le città-stato per l’egemonia sono infatti una costante della storia sumera. 
Questa disomogeneità politica si ritrova identica anche sul piano religioso: ogni città-stato aveva la sua divinità protettrice; solo molto successivamente, durante il periodo mesopotamico, emerse un pantheon di divinità ‘principali’ adorate in tutto il paese. Accadeva inoltre che i vincitori di una città assediata, sottraessero dal tempio la statua della divinità protettrice, per trasportarla nella loro città, dove veniva costruito un nuovo tempio per ospitarla, assicurando alla città un'altra divinità protettrice oltre a quella patrona. 
La frammentazione religiosa e politica era del resto inevitabile se si considera l’organizzazione socio-economica sumera: la città (intesa come area urbana e contado agricolo) era il centro della vita sociale; protetta da mura, costituiva il luogo di protezione durante le guerre, il centro religioso e di organizzazione del lavoro. Tutto ruotava attorno al sistema cosiddetto dal tempio-palazzo: la proprietà privata era quasi inesistente e tutte le risorse erano amministrate dall’elite del tempio, cui faceva capo, quale manifestazione della volontà divina, la figura del Re. I sacerdoti adempivano alle funzioni rituali ma erano, almeno in origine, anche gli ‘amministratori civili’; erano essi a distribuire le terre ai contadini e ad amministrane il prodotto, secondo le necessità dell’esercito e del popolo. Organizzavano le scuole  e formavano i tecnici (scribi, astronomi, medici,architetti). 
La base dell’economia era costituita dalla coltivazione di cereali e palme da datteri; importante doveva essere anche l’allevamento, che forniva la materia prima per l’unica manifattura che veniva praticata su ampia scala, quella tessile. Rilevante ma secondaria la pesca. È presumibile che tutte le attività di trasformazione ricedessero sotto l’autorità organizzatrice del tempio-palazzo, che oltre a offrire protezione agli artigiani, garantiva il loro approvvigionamento e lo smercio dei loro prodotti. I prodotti della terra venivano infatti portati al tempio, dove i sacerdoti li dividevano in base alle esigenze delle varie componenti della società (elite, guerrieri, artigiani e contadini). Lo stesso accadeva per i prodotti lavorati, dalle armi agli utensili, che i sacerdoti del tempio distribuivano a guerrieri e contadini. Questa teoria sembra confermata -oltre che dalla struttura edile delle città- dal fatto che non compaiano mai nei reperti accenni ai mercati, intesi come luoghi di scambio dei prodotti. Pare ragionevole perciò pensare che tale funzione fosse svolta dai templi. 
Più complessa è la questione della terra. Sicuramente la maggior parte della terra era di proprietà del tempio-palazzo, che la assegnava alle famiglie contadine e che ne ricavava in cambio l’ecceden-za per sfamare l’elite, i guerrieri e gli artigiani. Ma non è possibile escludere -anzi è probabile- che le esistesse allo stesso tempo anche una proprietà fondiaria privata, appartenete a potenti personaggi dell’elite che grazie alla loro posizione avevano ottenuto l’amministrazione di aree terriere magari in zone periferiche del contado cittadino (una sorta di aristocrazia). È da ritenersi comunque che si trattasse di tenute volte all’autoconsumo, coltivate da poche famiglie contadine o da schiavi. Potevano diventare schiavi i prigionieri di guerra, gli indebitati, coloro che erano stati venduti dai genitori o chi aveva recato danno ad altri e non era in grado di risarcire. Non si ha notizia di maltrattamenti verso gli schiavi e i loro figli nascevano liberi. Infine, in merito all’organizzazione sociale, è da evidenziare la condizione della donna, che era, seppure non totalmente, di sostanziale parità a quella dell’uomo. Non rari sono i casi di donne al vertice dell’ordinamento sacerdotale del tempio e le fonti confermano che in caso di morte del marito, la moglie ne subentrava nei diritti, compreso quello i vendita dei figli (a cui di solito essa è sottoposta nelle società patriarcali).

Tratto da STORIA DEL VICINO ORIENTE ANTICO di Lorenzo Possamai
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