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L’istituto dell’acquiescenza

L’istituto dell’acquiescenza


L’istituto dell’acquiescenza è regolato dall’art. 329 c.p.c., il quale recita: “l’acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità. L’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”.
Quando si verifica un fenomeno di acquiescenza, l’impugnazione si intende esclusa: l’acquiescenza consiste in una dichiarazione di accettazione espressa della sentenza (acquiescenza esplicita), ma può risultare anche da comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni (acquiescenza tacita).
L’art. 3292 c.p.c. isola un comportamento particolare, un fenomeno di acquiescenza tacita cosiddetta qualificata: l’impugnazione parziale comporta acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate.
Occorre però notare che la nozione di “parte della sentenza” non è una nozione con significato univoco, perché talvolta corrisponde in maniera piena ad una domanda, cioè ad un diritto fatto valere in giudizio, talvolta invece corrisponde ad una parte della domanda, attraverso cui è stato fatto valere in giudizio un diritto complesso, a volte corrisponde alle singole questioni risolte nella sentenza.
È altresì da notare che l’impugnazione parziale della parte pregiudiziale della sentenza non è idonea a determinare acquiescenza in relazione alla parte dipendente: in questa ipotesi è da escludere l’operare dell’art. 329 c.p.c.
Quindi, in caso di riforma della parte della sentenza riguardante l’esistenza del credito, saranno automaticamente riformate anche le parti della sentenza relative all’esistenza delle obbligazioni accessorie (cosiddetto effetto espansivo interno della sentenza).

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