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Vizi incompleti del contratto


La dottrina ha ulteriormente sviluppato il suo impianto argomentativo favorevole alla configurabilità della responsabilità precontrattuale in presenza di un contratto valido, riflettendo su talune situazioni di ingiustizia, altresì chiamate «vizi incompleti», che, pur non essendo state prese in considerazione dal legislatore come ipotesi di invalidità, tuttavia, determinano in concreto uno squilibrio che merita un qualche rimedio risarcitorio oppure talvolta - specie nelle sentenze di merito circa contratti del mercato finanziario, conseguite alla domanda di risparmiatori che hanno invocato contro l’intermediario finanziario rimedi volti a recuperare investimenti mal riusciti - la c. d. nullità virtuale.
“Vizio incompleto” del contratto è ravvisabile, innanzitutto, nell’ipotesi di errore incidente, atteso che appare teorica la fattispecie di violenza incidente - normalmente, tale grave vizio del consenso determina sempre l’invalidità del contratto - e che, quanto al dolo incidente - di cui si è trattato sopra -, l’art. 1440 c. c., quale specificazione tipizzata dell’art. 1337 c. c., prevede espressamente il risarcimento del danno. In particolare, si ritiene che rientri nell’ambito dell’art. 1337 c. c. non già l’errore motivo - che è errore vizio cui si applica l’art. 1338 c. c. -, ma l’errore sul motivo - in altre parole l’ipotesi di responsabilità della parte che, conoscendo o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza l’erroneità del motivo che abbia spinto la controparte a concludere il contratto, non l’abbia avvertita di detto errore - e, più in generale, l’errore sulle circostanze di rilievo concernenti l’affare. Questo tipo di danno si collega prevalentemente alla violazione di doveri informativi, motivo per cui è importante determinarne la rispettiva estensione, in relazione alle circostanze del caso concreto ed alla conoscibilità o meno - previo utilizzo dell’ordinaria diligenza da parte della controparte - degli interessi alla base del regolamento contrattuale in itinere.
Secondariamente, si pensi ad un approfittamento dell’altrui stato di bisogno per strappare condizioni inique, ove non sia applicabile il rimedio della rescissione per lesione ex art. 1448 c. c., per mancanza del requisito della lesione ultra dimidium; oppure a tutti i casi in cui l’acquirente, una volta scoperti i vizi del bene acquistato, non possa più intentare nei confronti dell’alienante un’azione diretta all’annullamento del rispettivo contratto di compravendita ex art. 1494 c. c., in seguito all’avvenuta prescrizione della stessa.
In particolare, poiché – come si è affermato nel capitolo precedente – la buona fede oggettiva è una clausola generale, parte della dottrina propone di considerare l’art. 1337 c. c. quale norma di chiusura del sistema, idonea a sanzionare, in via sussidiaria, tutti queste ipotesi di ingiustizia, quali comportamenti scorretti di un contraente nei confronti dell'altro, per cui non è applicabile alcun rimedio ex lege, quale la rescissione, la risoluzione per inadempimento o l’annullamento per vizio del consenso.
Infatti, se si sostiene l'assorbimento della responsabilità precontrattuale nell'inadempimento eventuale del contratto o nella sua invalidità per cause di legge, si eliminano qualsiasi rilevanza giuridica e qualsiasi possibilità di rimedio a tutte le situazioni sopra descritte. Situazioni che, in quanto ingiuste, dovrebbero e potrebbero essere risarcite addirittura ex art. 2043 c. c., motivo per cui, a maggior ragione, possono e debbono essere ricondotte ad una norma ad hoc inserita nel codice civile del 1942, l'art. 1337 c. c..
Di modo che, se di fronte ai vizi “completi” - errore, violenza e dolo - possiamo parlare di invalidità, di fronte ai vizi “incompleti” possiamo parlare comunque di responsabilità. La buona fede nella trattativa, insomma, permetterebbe di sanzionare fattispecie che dal punto di vista oggettivo sono meno gravi dell'inadempimento e dal punto di vista soggettivo l'elemento psicologico sia meno intensa del dolo e dell'errore.
Inoltre, si consideri che il rapporto tra vizi “incompleti” e vizi “completi” non è immutabile, ma può modificarsi nel tempo: la figura dei vizi “incompleti” è residuale rispetto ai vizi veri e propri del contratto; ne consegue che l’espansione dei vizi tradizionali del consenso comporta inevitabilmente una contrazione dei vizi incompleti, il che è particolarmente evidente in materia di dolo. Basti, per esempio, pensare al semplice mendacio, alla reticenza ed all’inganno colposo per cui l’unico rimedio configurabile, qualora sia escluso che integrino gli estremi del dolo ex art. 1439 c. c., è il risarcimento del danno ex articolo 1440 c. c.
Tuttavia, è chiaro che la tendenziale espansione del campo di applicazione delle figure tradizionali dei vizi del consenso può erodere il principio di tipicità delle cause di annullabilità del contratto, con conseguente espansione dei casi in cui è possibile richiedere non solo il risarcimento del danno, ma anche l’annullabilità del contratto.

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