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INTRODUZIONE
La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In
parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da
compiere.
Piero Calamandrei
Un dogma, una verità di fede o un assunto empiricamente falso?
Sull’obbligatorietà dell’azione penale sono stati scritti fiumi di parole tuttora
collocate agli antipodi di una comune cornice al cui interno sono custoditi
valori irrinunciabili, primo fra tutti l’uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla
legge.
“La legge è uguale per tutti” è la frase, suggestiva, posta in ogni aula
giudiziaria della Repubblica, proprio sopra le teste dei giudici, che infonde in
colui che la legge una rinnovata speranza.
Tuttavia, affinché tutti siano eguali davanti alla legge, è necessario il
rispetto, tra gli altri, anche del principio di cui all’art. 112 Cost., il quale con
una formula lapidaria statuisce che “il pubblico ministero ha l’obbligo di
esercitare l’azione penale”. Il testo dell’articolo, forse, si è scritto, il più breve
dell’elenco, si traduce nell’obbligo, per il pubblico ministero, di esercitare
l’azione penale ogni qualvolta venga a conoscenza di una notitia criminis.
Ciò, beninteso, senza possibilità alcuna di invocare ragioni di opportunità
politica o irrilevanza sociale. Dunque, un’imprescindibile garanzia di
uguaglianza che assicura, in linea di principio, l’estraneità a qualsivoglia
circuito discrezionale nell’attivazione dell’organo accusatorio.
Non solo, l’articolo in commento è posto a presidio, come si vedrà,
anche di altre garanzie, ampiamente e incontestabilmente riconosciute come
tali nella quasi totalità dei contributi sul tema. Contributi che si rifanno,
essenzialmente, alle parole solenni della Corte costituzionale la quale, in una
celebre sentenza, si è espressa nei confronti dell’obbligatorietà quale “punto
di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema
costituzionale”. Uguaglianza, indipendenza funzionale e legalità sono i tre
corollari, indissolubilmente connessi, che fanno dell’obbligatorietà una
2
variabile apparentemente necessaria. E di questo i padri costituenti furono ben
consapevoli, come risulta in maniera univoca nel dibattito sorto in sede di
Assemblea costituente, sommariamente ripreso, nei punti più salienti, nel
presente lavoro.
Infatti, la volontà di discostarsi da un passato autoritario ha
determinato, attraverso una soluzione di compromesso, quella che è stata
definita una tra le più qualificanti conquiste della Carta fondamentale, avendo
segnato il superamento di una concezione potestativa della giustizia.
Un’assoluta peculiarità del sistema costituzionale italiano al cui presidio,
come si vedrà, sono stati posti diversi strumenti di garanzia.
Il principio tenta poi di convivere nell’articolato sistema
costituzionale con altri valori dotati di eguale copertura costituzionale nel cui
bilanciamento talvolta può e deve cedere, senza che ciò debba tradursi nel suo
sostanziale aggiramento.
In quest’armonioso scenario appare, allora, privo di logica interrogarsi
sull’opportunità di modificare, o addirittura stravolgere, l’attuale
formulazione dell’articolo in parola. In effetti, chi mai contesterebbe la
necessità di mantenere saldo un robusto sostegno a garanzie così
irrinunciabili?
Eppure il principio viene ciclicamente contestato: un’illusione,
un’ipocrisia, un mito, una bugia convenzionale sono solo alcuni dei sostantivi
che appaiono, ricorrenti, negli scritti, numerosi e non privi di contraddizioni,
sul tema. Tuttavia, le censure non muovono dalle garanzie, incontestabili,
bensì dalla mancanza di effettività che, alla prova dei fatti, il principio
innegabilmente dimostra. Difatti, lo scarto esistente tra lo scenario in the book
e quello in the action emerge nitidamente qualora l’angolo di osservazione si
sposti sulla realtà empirica. Ad oggi, infatti, la constatazione di
impraticabilità non appare più come una congettura, ma come un’ufficiale
presa di coscienza.
A questo proposito, il presente lavoro si soffermerà ampiamente sulla
denunciata situazione di fatto, confermata dalle diverse rilevazioni statistiche,
che impedisce alla domanda e risposta della giustizia penale di trovare un
punto di equilibrio. L’ipertrofia del sistema, lampante, priva di effettività il
principio provocando contesti patologicamente insanabili: armadi delle
3
procure inondati da fiumi di notizie di reato, scarsità e inadeguatezza delle
risorse, scelte discrezionali e possibili, ma non verificabili, favoritismi.
La somma di questi fattori dà luogo, inesorabilmente, ad un risultato
preoccupante: il dirottamento delle notizie di reato accantonate verso il
binario morto della prescrizione. Situazione che, oltre ad essere testimoniata
da dati statistici ministeriali e dalla giurisprudenza europea, impone lucide
riflessioni.
Ed è proprio in questo terreno fertile di incertezze che si scontrano due
opposte visioni, cui si cercherà di dare equamente voce, essenzialmente
riconducibili ad un interrogativo – sotteso ma ricorrente nel presente lavoro –
: “È, oramai, inevitabile lasciarsi trasportare dalla fatale constatazione che
quel principio, così desiderato dai padri costituenti, sia oggi un assunto
mitologico? E, quindi, abbandonarsi all’idea che l’opposto principio di
discrezionalità possa essere l’unica strada da percorrere? Oppure è ancora
possibile tentare di rianimarlo e dargli una nuova vita, effettivamente
sostenibile?”
Il tavolo del confronto, presieduto da un lato dal ceto magistratuale e
dall’altro dalla vivace dottrina, dà voce alle diverse possibili soluzioni,
riportate e analizzate, tra schizzi comparatistici e opinioni personali,
nell’ultimo capitolo del presente lavoro.
4
CAPITOLO I
L’OBBLIGATORIETÀ DELL’AZIONE PENALE:
IL PIANO COSTITUZIONALE
SOMMARIO: 1. Il dibattito in Assemblea costituente. – 2. Le funzioni e la
portata dell’art. 112 Cost. – 2.1 La relazione con il principio di legalità. – 2.2
La relazione con il principio di uguaglianza. – 2.3 La relazione con
l’indipendenza funzionale del p.m. – 3. Parità delle parti e obbligatorietà
dell’azione penale.
1. Il dibattito in Assemblea costituente.
È necessario anzitutto soffermarsi sulle discussioni che hanno
accompagnato la preparazione della Carta costituzionale
1
in tema di
obbligatorietà dell’azione penale. I costituenti furono ben consapevoli della
portata che la loro decisione avrebbe assunto in futuro, per questo si
soffermarono a lungo sulla discussione riguardante la previsione
dell’eventuale obbligatorietà dell’azione penale. Tuttavia, le questioni sottese
al sistema da adottare in tema di esercizio dell’azione penale non furono
foriere di animati dibattiti.
In generale i lavori della costituente evidenziarono il proposito di
evitare il ripresentarsi di un regime antidemocratico che in passato aveva
dimostrato i limiti di un pubblico ministero dipendente dall’esecutivo
2
. Il
1
Per una ricostruzione approfondita del dibattito sorto in seno all’Assemblea
costituente si vedano ampiamente G. D’Elia, Commento all’art. 112, in R. Bifulco,
A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Torino,
2006, p. 2126; G. Neppi Modona, Art. 112 e 104 IV co., in G. Branca (a cura di),
Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1987, p. 43.
2
A. Gustapane, Il ruolo del pubblico ministero nella costituzione italiana,
Bologna, 2012, p. 90 ss.
5
timore che tale vincolo di dipendenza potesse riaffacciarsi nel panorama
normativo influenzò gran parte della discussione: durante l’esperienza
fascista, infatti, l’esercizio dell’azione penale venne strumentalizzato per
perseguire gli interessi del regime, facendo emergere l’esigenza di riportare
il potere di accusare all’interno del principio di legalità. Tutto ciò era
permesso dall’ordinamento giudiziario allora vigente che, all’art. 69 R.D.L.
del 30 gennaio 1941
3
, prevedeva un pubblico ministero che esercitava “sotto
la direzione del ministro di grazia e di giustizia” le funzioni attribuitegli dalla
legge. Contestualmente il codice di procedura penale del 1930 non si
preoccupava di tutelare efficacemente il principio dell’ufficialità dell’azione
penale
4
, prevedendo che il pubblico ministero, qualora ritenesse di non dover
procedere “per la manifesta infondatezza” della notizia di reato, potesse
ordinare “la trasmissione degli atti all’archivio” (art. 74, comma 3 c.p.p.)
5
.
Ciò nonostante, le modifiche introdotte al sistema processuale e
all’ordinamento giudiziario
6
, subito dopo la caduta del regime fascista, resero
3
Si vedano le considerazioni di A. Gustapane, il ruolo del pubblico
ministero nella costituzione Italiana, cit., p. 7, il quale ricorda come il pubblico
ministero, per tutto il periodo anteriore alla Costituzione, era organizzato in modo
burocratico-gerarchico, avendo come vertice il ministro della giustizia che, quale
«capo supremo dell’amministrazione giudiziaria e politicamente responsabile del
buon ordine e del regolare funzionamento funzionamento dell’amministrazione
stessa» aveva il potere di dirigere, di coordinare e di controllare l’operato degli
ufficiali del pubblico ministero.
4
Sancito dall’art. 1 del c.p.p. del 1930: “L’azione penale è pubblica e,
quando sia necessaria la querela, la richiesta o l’istanza, è iniziata d’ufficio in seguito
a rapporto, a referto, a denuncia o ad altra notizia del reato”.
5
Attraverso questa previsione si ammetteva, di fatto, che il pubblico
ministero potesse a sua discrezione decidere di non dar corso all’azione penale, sulla
base di una valutazione circa la rilevanza dei fatti oggetto della notizia di reato. In
questi termini, V. Grevi, Rapporto introduttivo su «diversion» e «mediation» nel
sistema penale italiano, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1, 1983, p. 50.
6
La modifica riguardante l’art. 74 c.p.p. intervenne attraverso l’art. 6 del D.
Lgs. 14 settembre 1944, n. 288 stabilendo che il pubblico ministero “qualora reputi
che per il fatto non si debba promuovere l’azione penale, richiede al giudice istruttore
di pronunciare decreto” non potendo egli stesso disporre, in modo autonomo,
l’archiviazione. Con riguardo poi all’ordinamento giudiziario, l’art. 39 R.D.L 31
maggio 1946, n. 511 intervenne a modificare l’art. 69, stabilendo che il pubblico
ministero doveva esercitare le sue funzioni non più “sotto la direzione del ministro
di grazia e di giustizia”, ma, in linea con la volontà di sganciare il nesso di
dipendenza tra pubblico ministero ed esecutivo, solo “sotto la direzione” dello stesso.
6
possibile l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana in un contesto di
assoluta armonia e coerenza con i principi che di lì a poco sarebbero stati
espressamente scolpiti.
Dunque, l’ordinamento positivo «risultava già, a livello di legislazione
ordinaria, coerente ai principi fissati dal testo costituzionale» favorendo una
«necessaria cornice normativa affinché potesse trovare attuazione il
corrispondente principio di obbligatorietà»
7
.
Ad ogni modo, per ricostruire la nascita dell’art. 112 Cost., è
necessario partire dal suo antecedente rappresentato dall’art. 101 del progetto
di Costituzione. Il tema fu affrontato in seno alla commissione per la
Costituzione
8
, dalla seconda sottocommissione
9
, la quale fu incaricata di
discutere circa le tematiche inerenti il potere giudiziario.
Ripercorrendo le pagine che contengono i resoconti delle sedute,
emerge unanime la volontà di imprimere nel tessuto costituzionale il principio
di obbligatorietà dell’azione penale
10
. Tuttavia, la discussione difficilmente
si scindeva dalle trattazioni inerenti lo status del pubblico ministero: ogni
decisione circa la portata dell’obbligatorietà dell’azione penale si
accompagnava da una contestuale decisione circa la definizione istituzionale
del pubblico ministero. Proprio in questo contesto emersero le opposte
concezioni in merito alla posizione che l’organo dell’accusa avrebbe dovuto
ricoprire ed ai suoi rapporti con gli altri poteri dello stato, in particolare con
l’esecutivo. Ebbero così modo di contrapporsi le diverse scuole di pensiero
7
Con queste parole V. Grevi, Rapporto introduttivo su «diversion» e
«mediation» nel sistema penale italiano, in Rassegna penitenziaria e criminologica,
cit., p. 50.
8
All’interno dell’Assemblea costituente fu istituita un’apposita
commissione, detta “dei 75”, con il compito di approntare un progetto da discutere
successivamente nell’assemblea stessa.
9
La II sottocommissione era competente la questione relativa la
magistratura ed era composta da: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei,
Cappi, Castiglia, Conti, Di Giovanni, Farini, Leone, Mannironi, Patricolo, Porzio,
Ravagnan, Targetti e Presieduta dall’On. Conti.
10
Difatti, nonostante vi fosse contrasto tra i Padri Costituenti sulla natura
dell’organo dell’accusa, era unanime nell’Assemblea la volontà di sancire a livello
costituzionale il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
7
all’epoca esistenti in materia di giustizia, «secondo un’impostazione che fu
più il frutto di scelte ideologiche che di logiche di frazione partitica»
11
.
Da un lato vi fu chi, come l’on. Piero Calamandrei
12
, sostenitore della
necessità di riconoscere al pubblico ministero la stessa indipendenza che
doveva caratterizzare i giudici – svincolandoli dal potere esecutivo ed
estendendo ad essi una rafforzata garanzia di inamovibilità –, avanzò proposte
organizzative decisamente più innovative. Pertanto, anche il pubblico
ministero, in questa impostazione, doveva essere considerato un magistrato e,
in quanto tale, tenuto ad agire secondo il principio di legalità ed essere fornito
delle garanzie di indipendenza e inamovibilità proprie di tutti i magistrati.
Dunque, per Calamandrei, solo l’istituzione di un pubblico ministero
indipendente e inamovibile avrebbe assicurato l’obbligatorietà dell’azione
penale.
A questa visione si contrapponeva la posizione dell’on. Giovanni
Leone il quale, forte sostenitore del pubblico ministero come organo del
potere esecutivo e subordinato al ministro della giustizia, sostenne la
necessità di garantire l’inamovibilità esclusivamente ai magistrati
giudicanti
13
.
Secondo Calamandrei, la posizione dell’on. Leone, si poneva in netto
contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale
14
. Infatti, se il
11
A. Gustapane, Il ruolo del pm nella costituzione italiana, cit., p. 195.
12
Celebre giurista e insigne professore di diritto processuale civile presso
l’università di Firenze. Ancora oggi il suo contributo alla stesura della Costituzione,
in particolare l’area dedicata alla magistratura, riveste grande importanza. Sul tema:
A. Pizzorusso, La magistratura nel pensiero di Calamandrei, in Questione giustizia,
1988, p. 771 ss.; V. Denti, Calamandrei e la costituente: il progetto ed il dibattito
sul potere giudiziario, in p. Barile (a cura di), Pietro Calamandrei: ventidue saggi su
un grande maestro, Milano, 1990, p. 397 ss.
13
Peraltro, in seno alla seconda sezione della seconda sottocommissione
della Commissione per la Costituzione, è opportuno ricordare che venne presentato
anche un ulteriore progetto sulla magistratura da parte degli on. Patricolo e Castiglia,
del Fronte Liberale democratico dell’Uomo Qualunque. Tuttavia, il progetto, non
conteneva disposizioni dettagliate in materia di pubblico ministero, ad eccezione
della previsione del suo carattere giurisdizionale alla pari di quello giudicante.
14
A tal proposito appare suggestivo il dilemma proposto da Calamandrei
all’on. Leone: “Se il ministro della giustizia ha il potere gerarchico sul pubblico
ministero, ha anche il potere di ordinargli come deve procedere ed il pubblico
8
ministro della giustizia, in qualità di superiore gerarchico, avesse ordinato al
pubblico ministero di non agire in relazione ad un determinato reato, il
pubblico ministero si sarebbe trovato di fronte ad un bivio: agire andando in
contro al superiore gerarchico oppure non agire andando in contro alla
Costituzione?
Ciò premesso, si comprende come un pubblico ministero dotato di
tutte le garanzie previste per i giudici, ivi compresa l’indipendenza e
l’inamovibilità, doveva considerarsi corollario necessario dell’imposizione
allo stesso dell’obbligo di procedere in relazione a qualunque notitia criminis.
Alla luce di queste considerazioni, per ciò che riguardava la posizione
istituzionale del pubblico ministero, si optò per una soluzione di
compromesso, espressa nell’attuale art. 107, quarto comma, della
Costituzione: “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite
dall’ordinamento giudiziario”. Articolo che, se da un lato colloca
indubbiamente il pubblico ministero all’interno della magistratura, d’altra
parte demanda al legislatore ordinario il compito di individuare le garanzie di
cui può godere.
Quanto al tema specifico dell’azione penale l’articolo che giunse il 31
gennaio del 1947 alla discussione dell’adunanza plenaria della commissione
per la Costituzione fu il seguente: “L'azione penale è pubblica, ed il Pubblico
ministero ha l'obbligo di esercitarla, senza poterla in alcun caso sospendere o
ritardare”.
Contrario a tale previsione fu l’On. Targetti il quale, evidenziandone
la superfluità, ricordò che, con una disposizione antecedente, la Carta
costituzionale già assicurava la piena ed assoluta indipendenza dei magistrati
del pubblico ministero (art. 107), avendone garantito l’inamovibilità e,
pertanto, allontanando l’ipotesi di una possibile ingerenza del potere
ministero si deve uniformare all'ordine ricevuto. Or questo può essere ordine di non
procedere, mentre egli, per legge, è tenuto a procedere. E allora gli si presenta il
dilemma: o non procede perché il ministro così gli ordina, e viola la legge; o si attiene
al principio di legalità, non uniformandosi all'ordine del ministro, e allora infrange il
rapporto gerarchico di dipendenza dal ministro. Quindi, non si può voler affermare
da una parte il principio di legalità e dall'altra considerare il pubblico ministero
dipendente dal ministro: o l'una o l'altra cosa è proposta inutilmente”.
9
esecutivo. Tale materia, a suo parere, non sarebbe dovuta rientrare nella sede
costituzionale, trattandosi di una scelta da demandare al legislatore.
Dello stesso parere non fu l’On. Leone che ritenne il principio in
esame necessario in una legge democratica
15
, sicché il pubblico ministero non
dovrebbe poter archiviare autonomamente la notitia criminis, ma dovrebbe
sempre investire di tale questione il giudice, attraverso la richiesta di
archiviazione, a differenza di ciò che aveva previsto il codice di procedura
penale del 1930. Pertanto, tale principio doveva essere, a suo avviso,
consacrato all’interno della Carta costituzionale, rappresentando l’evoluzione
della tradizione del diritto italiano e dei principi di garanzia della giustizia.
Il 27 novembre 1947 l’On. Bettiol presentò il seguente emendamento:
“Al primo comma sopprimere le parole: e non là può mai sospendere o
ritardare”. Egli, infatti, sostenne la necessità di emendare le norme dal
carattere superfluo, tra queste la norma in esame, in quanto relativa ad
eventuali eccezioni che il legislatore, a suo avviso, avrebbe dovuto poter
introdurre. Diversamente, carattere di necessarietà assumeva l’assunto
secondo il quale l’azione penale è obbligatoria, rappresentando, a suo avviso,
un principio che si adegua ad un ordine democratico.
D’altra parte l’On. Leone, ripercorrendo la necessità di mantenere
saldo il principio di obbligatorietà in quanto principio fondamentale dello
stato moderno, introdusse un altro emendamento attraverso il quale dichiarò
la volontà di abolire l’espressione “l’azione penale è pubblica”.
A suo parere, non era necessario esplicitare il monopolio dell’azione
penale nelle mani del pubblico ministero, sottolineando l’importanza di
lasciare nelle mani del futuro legislatore la possibilità di introdurre, accanto
all’azione di spettanza del pubblico ministero, anche l’azione penale
sussidiaria del privato: «quando avremo detto soltanto che il pubblico
ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, noi avremo soddisfatto
15
Leone riteneva infatti che in una Costituzione, la quale ha risolto problemi
importantissimi, ha riconosciuto perfino il diritto di difesa del cittadino in tutti gli
stadi della giurisdizione, ed ha circondato l'amministrazione della giustizia del
massimo delle garanzie, lo stabilire tale principio sia un dovere di carattere
costituzionale. Così in www.nascitaCostituzione.it,, Le discussioni in Assemblea
Costituente a commento degli articoli della Costituzione, a cura di F. Calzaretti.
10
l’ansia politica che in questa sede dobbiamo rispettare, cioè che il pubblico
ministero non può non esercitare l’azione penale; ma non diciamo che il
monopolio dell’azione penale è nelle mani del pubblico ministero»
16
.
Anche l’On. Rossi Paolo ribadì l’utilità di poter introdurre, all’interno
dell’ordinamento, l’azione penale sussidiaria. Per farlo, riportò l’esempio del
ritorno al sistema a citazione diretta, che risulterebbe precluso a priori se
l’articolo si aprisse con un’affermazione perentoria che l’azione penale è
pubblica.
Infine, la commissione propose di votare l’art. 101 nei seguenti
termini: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” e il
testo fu approvato, accogliendo gli emendamenti proposti
17
.
Da siffatta breve ricostruzione, una considerazione appare evidente:
la discussione, più che sull’obbligatorietà dell’azione penale, sulla quale i
costituenti manifestarono pochi dubbi (si rileva soltanto l’emendamento
proposto da Targetti poi respinto), si è concentrata sul tema della
conciliabilità di tale principio con la scelta dei rapporti tra pubblico ministero
e potere esecutivo
18
e sulla possibilità di poter configurare un’azione penale
sussidiaria.
Ad ogni modo, la scelta del costituente non è affatto da trascurare:
un’azione penale obbligatoria conduce a rafforzare il primato della legge,
rendendo doveroso il perseguimento dell’autore la cui condotta si ritiene
riconducibile ad una fattispecie astratta di reato. Ciò nonostante, le linee guida
non può che fornirle lo Stato che, con la creazione di norme imperative che
rappresentano le varie fattispecie astratte, imprime la direzione della politica
criminale.
D’altra parte l’esaltazione della legge, calata in un contesto storico che
si caratterizzava per i forti contrasti ideologici, portò i costituenti a temere del
16
Così G. Leone, Commissione per la Costituzione, in La Costituzione della
Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, a cura della Camera
dei Deputati-Segretariato generale, vol. VI, Roma, 1971, cit., p. 265.
17
Per maggiori approfondimenti sulla discussione in costituente si veda
www.nascitaCostituzione.it, Le discussioni in Assemblea Costituente a
commento degli articoli della Costituzione, a cura di F. Calzaretti.
18
A. Gustapane, Il ruolo del pubblico ministero nella costituzione italiana,
cit., p. 196 ss.
11
potere esecutivo; la scelta fu appunto quella di porre assolutamente al centro
della vita sociale, della vita politica ma anche dell’attività giurisdizionale,
attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale, il Parlamento con il suo atto
tipico, la legge
19
.
Dunque, in definitiva, il principio ha determinato una delle più
qualificanti conquiste della Carta fondamentale «segnando il superamento di
una concezione potestativa della giustizia»
20
.
2. Le funzioni e la portata dell’art. 112 Cost.
Dall’analisi dei lavori preparatori è chiaro il significato che riveste
nell’attuale sistema costituzionale e processuale il principio di cui all’art. 112
Cost. La formula è chiara, laconica e non lascia spazio ad interpretazioni:
l’esercizio dell’azione penale è obbligatorio, ciò comporta che il pubblico
ministero, ogni qual volta ritenga che sussistano gli estremi di una fattispecie
di reato, ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, senza possibilità alcuna di
invocare ragioni di opportunità politica o irrilevanza sociale
21
. Parallelamente
ciò che si è cercato di evitare è un inutile quanto gravoso automatismo
22
tra
l’iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro e l’istaurarsi del
processo penale
23
, di cui l’art. 50 c.p.p.
24
si è fatto portatore, intervenendo a
fissare dei limiti al dovere di agire in capo al pubblico ministero.
19
L’obbligatorietà dell’azione penale, Atti del convegno, Gela, 13 dicembre
2008.
20
R. E. Kostoris, Per un’obbligatorietà temperata dell’azione penale, in
Rivista di diritto processuale, 2, 2007, p. 876.
21
M. Chiavario, Riflessioni sul principio costituzionale di obbligatorietà
dell’azione penale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano, IV ed., 1977,
p. 97 ss.
22
In tal senso M. Chiavario, l’azione penale tra diritto e politica, Padova,
1995, p. 52.
23
Diversamente prevedendo sarebbe scalfito in radice anche il principio di
non colpevolezza (art. 27 Cost.), il quale tende a precludere l’istaurarsi di
procedimenti infondati.
24
Il quale prevede: “Il pubblico ministero esercita l'azione penale quando
non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione. Quando non è