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L'obbligatorietà dell'azione penale: tra orizzonti costituzionali e realtà operative

L’inerzia del pubblico ministero durante la fase delle indagini

L’obbligo di esercizio dell’azione penale è garantito, come già ampiamente illustrato, da un controllo di natura giurisdizionale che interviene sulla decisione del p.m. di non agire: la richiesta di archiviazione al Giudice per le indagini preliminari. Tuttavia, “l’inazione” potrebbe scaturire anche dall’intervenuta prescrizione, durante la fase delle indagini preliminari, del reato per cui si procede.
Può infatti verificarsi che il decorrere del tempo porti a maturazione la prescrizione durante la fase delle indagini. In questo caso il dominus delle indagini, una volta accertato il decorso del tempo utile al suo perfezionamento, procederà mediante richiesta di archiviazione, in cui il controllo si manifesterà sostanzialmente mediante l’emissione di un provvedimento di archiviazione.
In questo contesto l’intervenuta prescrizione altro non è che il naturale esito delle premesse poste nei paragrafi precedenti: l’eccessivo carico di lavoro, la scarsità delle risorse e la conseguente selezione operata dal p.m.
Infatti il p.m., circondato dalla moltitudine di fascicoli che giornalmente entrano negli uffici della procura, nel momento in cui opera una selezione procedimentale, determina il temporaneo accantonamento di quei fascicoli che non sono stati oggetto di selezione. Accantonamento che spesso sfocia nella richiesta di archiviazione per prescrizione, soprattutto nel caso di reati minori, per cui il termine di prescrizione è particolarmente breve.
In realtà, fino al 1992 a restituire un po’ di ordine nel sovraccaricato processo penale intervenivano le amnistie che, ogni tre o quattro anni, ripulivano sensibilmente gli armadi dei p.m. dalla massa di fascicoli. Tuttavia, nel 1992 è intervenuta la riforma all’art. 79 Cost. con la previsione che, per concedere un’amnistia, sia necessaria la maggioranza dei due terzi del parlamento. Previsione che nei fatti ha determinato la quasi impossibilità di concessione dell’amnistia che, in effetti, a far parte dal 1990 non è stata più concessa.

Sparita questa eventualità i p.m. hanno cercato di rifugiarsi proprio nell’istituto della prescrizione per fronteggiare l’eccessivo carico di lavoro.
Anche perché, se così non fosse e «se tutte le notizie di reato portate al p.m. sfociassero in un processo, i tribunali si ingolferebbero ancor di più».
A testimoniare questo massiccio ricorso allo strumento della prescrizione sono i dati statistici annualmente pubblicati dal Ministero della Giustizia, relativi ai procedimenti caduti in prescrizione durante le varie fasi del procedimento penale.
In particolare, nella finestra temporale che va dal 2010 al 2021 i procedimenti penali con autore noto definiti per prescrizione durante la fase delle indagini sono stati prevalenti sul totale dei provvedimenti fino al 2020, con picchi dell’oltre 70%.
Tuttavia, i dati relativi al 2021 sembrano testimoniare un’inversione di rotta: nel 2010 erano 98.038 i decreti di archiviazione per prescrizione, circa il 70% del totale, mentre nel 2021 “solo” 32.826, circa il 31% del totale; un trend, dunque, che sembra aver arrestato la sua corsa, anche se a confermarlo definitivamente saranno solo i dati relativi ai prossimi anni.
Quest’evoluzione è stata peraltro positivamente illustrata anche nella relazione sull’amministrazione della giustizia del 2022, in cui la diminuzione delle declaratorie di prescrizione in fase di indagini è stata attribuita ad una maggior attitudine organizzativa degli uffici della Procura della Repubblica.
Ad ogni modo, nonostante la positiva nuova tendenza certificata dall’analisi dei dati più recenti, un ricorso così esasperato del provvedimento in esame ha sempre destato grosse preoccupazioni per la salvezza dell’obbligatorietà che ancora una volta dimostra di non essere all’altezza di un’effettiva praticabilità.
E così nuovamente, la frattura sussistente tra il «”principio” e la “realtà”» finisce per alimentare le avverse teorie nei confronti dell’obbligatorietà che puntano tutto proprio sulla dimostrazione empirica dell’impraticabilità di un simile principio.
Difatti, la dottrina avversa al mantenimento dell’obbligatorietà si è sempre espressa severamente sulle risultanze dei dati, fino ad affermare l’esistenza di una «denegata giustizia» per la persona offesa dal reato che, a causa del protrarsi delle indagini, non ha potuto accedervi.
Sul tema è intervenuta anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo che, con una sentenza del 18 marzo 2021 nel caso Petrella c. Italia, si è occupata della questione relativa all’archiviazione del procedimento penale per prescrizione e delle sue conseguenze sulla posizione della persona offesa del reato, portando così a compimento il percorso esegetico iniziato con la sentenza del 7 dicembre 2017 nel caso Arnoldi c. Italia.

Nel caso de quo il ricorrente aveva precedentemente sporto querela nei confronti del cronista e del direttore di una testata giornalistica, poiché ravvisava nel contenuto di un loro servizio giornalistico elementi diffamatori nei suoi riguardi. Tuttavia, il protrarsi delle indagini aveva indotto il pubblico ministero a richiedere l’archiviazione per prescrizione con conseguente accoglimento della richiesta da parte del g.i.p. Il ricorrente si rivolgeva pertanto alla Corte Europea, lamentando la violazione dell’art. 6, in ragione sia dell’eccessiva lunghezza del procedimento sia del suo right of access to a court, e la violazione dell’art. 13 per la preclusa possibilità di azionare il rimedio previsto dalla Legge c.d. Pinto in quanto consentito solo alla persona offesa costituitasi parte civile.
La Corte di Strasburgo, costatando la lungaggine delle indagini, protrattesi peraltro senza che fosse posta in essere alcuna attività investigativa, ha ravvisato la violazione degli artt. 6 e 13 CEDU da parte dell’ordinamento italiano, valorizzando la tutela della persona offesa dal reato che, a causa dell’inerzia del titolare delle indagini, è stata violata nel suo diritto ad un equo processo e ad un ricorso effettivo.
Quest’ulteriore arresto della Suprema Corte, da cui trapela un’ulteriore e netta presa di posizione verso la tutela dei diritti della vittima, coniugato all’allarme sociale che da sempre accompagna il fenomeno prescrittivo in fase di indagini impone più di una riflessione: è necessario non perdere di vista il fine ultimo dell’obbligatorietà il quale, fermo custode dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non può e non deve condurre alla deprivazione della giustizia attraverso incontrollabili automatismi. Anche perché «se viene a mancare la convinzione che si possa ottenere giustizia – in tempi certi, con modalità trasparenti ed efficienti, in misura eguale su tutto il territorio» – si corre il pericolo di «mettere in dubbio la stessa credibilità delle Istituzioni democratiche e la loro capacità di assicurare il rispetto e la garanzia dei diritti di tutti e per tutti».

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L'obbligatorietà dell'azione penale: tra orizzonti costituzionali e realtà operative

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Informazioni tesi

  Autore: Alessia Forte
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Giulio Vigevani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 146

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obbligatorietà dell'azione penale
pubblico ministero
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