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“Vamos a travagghiare!”: influenze delle lingue straniere nei dialetti del sud Italia

Il castigliano e il catalano

Come già anticipato nel primo capitolo, il dominio che più a lungo ha lasciato il suo influsso sull’isola siciliana, e precisamente per quasi quattro secoli e mezzo, è senz’altro quello spagnolo. Il regno dei Borbone di Napoli comprendeva l’intero sud Italia e la Sicilia, unendo la totalità dei domini sotto il nome di Regno delle Due Sicilie fino al 1861, anno della definitiva annessione del sud e delle isole al Regno d’Italia.
È bene non dimenticare, però, che la presenza spagnola nell’isola si era già verificata centinaia di anni prima, durante il Basso Medioevo: in seguito ai Vespri Siciliani, le rivolte del popolo contro il potere di Carlo I d’Angiò, e poi con la Pace di Caltabellotta nel 1302, la Sicilia passò dagli angioini agli aragonesi. Iniziò quindi il lungo periodo catalano dell’isola, durante il quale la lingua ha influenzato molto il lessico del dialetto siciliano. Contiamo oggi circa 771 termini di origine aragonese tratti sia dal castigliano che dal catalano. Si passa ora ad esaminare alcuni esempi.
Innumerevoli sono i verbi ancora in uso oggi. L’espressione abbuccari ha il significato di cadere di lato, capovolgere. Deriva direttamente dall’equivalente catalano abocar.

Addunarsi vuol dire accorgersi di qualcosa o qualcuno. È identico al verbo catalano adonar-se, anch’esso con il significato di accorgersi.
Accuppari si usa per esprimere il fastidio per il caldo, morire, soffocare per il caldo. Il catalano presenta l’equivalente acubar, molto simile al termine siciliano. Curiosa la somiglianza con la parola italiana accoppare, che vuol dire ferire a morte, ma che non ha diretti legami con l’espressione siciliana.
Affruntàrisi è usato col significato di vergognarsi e può derivare dall’equivalente catalano afrontar-se.
Si riscontrano ancora esempi come arriminari, ovvero mescolare, simile al catalano remenar; arricugghirisi per rientrare, probabilmente influenzato dal catalano recollir-se (o anche dal castigliano arrecogerse); stricari, da estregar, strofinare; priarsi da prearse, ovvero rallegrarsi, vantarsi. Quest’ultimo è comune anche nella Terra di Bari in una diversa forma (vedi dialetto biscegliese, cap. 4).
Troviamo anche termini lessicali, come muccaturi, da mocador, fazzoletto (utilizzato anche in castigliano, ma molto raramente); e anche fastuchi, da festuc, ovvero pistacchi; oppure anciova, diretta influenza del catalano anxova (pronunciato “ansciova”), ovvero l’acciuga; infine, i fastunnachi, ovvero le carote, storpiatura del catalano pastanagues.
Per quanto concerne il castigliano, è forse la lingua che più di tutte ha lasciato traccia non solo nel dialetto siciliano, ma in gran parte in tutta l’Italia del sud, considerando ovviamente la città di Napoli e il suo dialetto esteso e flesso in diversi modi fino alla Puglia.

Partiamo da carnizzeri per completare i tre modi che i siciliani utilizzano come riferimento alla professione del macellaio. Se chiancheri derivava dal greco e bucceri dal francese, carnizzeri è diretta influenza dell’equivalente spagnolo carnicero.
I verbi sono innumerevoli, come lo era per il catalano. Collegato al lavoro del macellaio, il verbo capuliàri significa in dialetto tritare. È probabilmente anch’esso di provenienza spagnola, poiché lo stesso significato è conservato dalla parola capolar.
Accabbari si usa col significato di terminare, finire, già attestato dal 1519 e di diretta provenienza dal castigliano acabar. Il termine è uguale anche in catalano, quindi è difficile stabilire bene da quale delle due lingue derivi.
Struppiàrisi indica farsi male, generalmente cadendo. Presente con diversa inflessione anche in Puglia, può essere di derivazione spagnola, dove esiste l’equivalente estropearse.
Di sicura provenienza castigliana è il termine dialettale arrivintàri, usato col significato di sforzarsi, ansare per la fatica. Deriva quindi dal verbo spagnolo reventar, ovvero scoppiare, inteso dalla fatica.
Altra provenienza certa si dà al termine limpiu, ovvero pulito.
Praticamente identico all’equivalente spagnolo limpio.
Stesso esito per il termine intrallazzari, o intrallazzu, che sta ad indicare un intreccio, ma anche un traffico illegale di qualsiasi tipo. Lo stesso significato è contenuto nel termine spagnolo entrelazar.

Il termine carrabbozza o carrabbozzu si usa col significato di carcere, prigione. Deriva molto probabilmente dallo spagnolo calabozo, che vuol dire appunto prigione.
Lo zolù è una polvere azzurro intenso in passato utilizzata in Sicilia per la colorazione dei capi, che assumevano grazie ad essa una tonalità bianco-azzurrina. È molto probabilmente influenzata dalla parola spagnola azúl, che vuol dire appunto azzurro.
Una làstima è un lamento, per noia o per sofferenza. È senza dubbio un prestito diretto dello spagnolo equivalente lástima. Da qui, anche lastimusu, lamentoso.
La scupetta è per i siciliani il fucile. È di derivazione spagnola, dove la stessa arma si chiama escopeta.
Gli esempi sono innumerevoli, soprattutto nel lessico. Ricondiamo ancora pignata, ovvero la pentola, da piñata; taccia, ovvero chiodo, da tacha; lanzari, cioè vomitare, da lanzar; leìri, per esprimere il verbo leggere, da leer.
È inoltre di interesse ricordare il modo in cui siciliani, ma anche campani e pugliesi, pronuncino il primo pronome personale io. Le inflessioni variano a seconda dei casi e dei luoghi, ma in generale sembra che tutti protendano per uno spostamento dell’accento tonico dalla i alla o finale, quest’ultima a volte chiusa in [ə]. Il fenomeno può derivare da una diretta influenza del pronome personale spagnolo yo, che appunto pone l’accento tonico sulla o. La y, invece, è pronunciata come semivocale [j] di pioggia (in alcune zone della Spagna e dell’America Latina si modifica in una [ʤ] di giorno), che il dialetto ha assorbito completamente.

Questo brano è tratto dalla tesi:

“Vamos a travagghiare!”: influenze delle lingue straniere nei dialetti del sud Italia

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Informazioni tesi

  Autore: Leo Todisco
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Traduzione letteraria e traduzione tecnico-scientifica
  Relatore: Mario Cardona
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 129

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