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These fragments I have shored against my ruins - The Waste Land di Thomas S. Eliot - Due traduzioni a confronto

La traduzione poetica

Alla luce dei nuovi studi sulla traduzione, alcune teorie poc'anzi esposte, sono ormai da considerarsi non più condivisibili; l'obiezione pregiudiziale dell'impossibilità del tradurre poesia, che accomuna Benedetto Croce e Roman Jakobson, può dirsi del tutto superata, in quanto legata a una particolare concezione di arte e poesia. Come abbiamo visto nell'estetica crociana l'intraducibilità deriva dall'impossibilità di separare il contenuto dalla forma, mentre per la linguistica di Roman Jakobson è il prevalere della paronomasia – figura retorica che consiste nell'accostamento di parole con suono simile e con diverso significato – che esalta la musicalità, ma comporta inevitabilmente l'intrecciarsi di significati differenti.

Altro punto di vista condiviso dai moderni teorici consiste nel superamento delle coppie antinomiche di stereotipi quali: traduzione fedele/infedele, letterale/libera, fedele al contenuto/fedele allo stile. La concezione dualistica è basata su un impianto teorico che vede da una parte la poesia relegata nel mondo dell'ineffabile e dell'intraducibile, e dall'altra considera veicolabile solamente il suo contenuto. Henri Meschonnic, come abbiamo visto, si è trovato a combattere, con il rifiuto del dualismo tra significante e significato, per la formulazione del concetto di un'opera intesa come continuità di ritmo e unità di significanti linguistici ed extralinguistici, che danno luogo alla significanza. Se si accetta, dunque, l'idea che la traduzione sia un passaggio tra testo di partenza a testo di arrivo, dobbiamo considerare testo non solo l'opera che viene tradotta, ma anche il risultato della traduzione.

Occorre convenire, però, che se volessimo porre un'opera e la sua traduzione sui piatti di una bilancia, sarebbe difficilissimo vederle in equilibrio; la specificità del linguaggio poetico rende il testo polivalente per la semplice ragione che contenuto e forma, senso e suono sono legati tra loro da intime dinamiche. La traduzione poetica presenta delle difficoltà non indifferenti come dice il poeta e critico fiorentino Mario Luzi:

La traduzione di poesia lirica [...] di fatto si risolve in un oscuro patteggiamento di concessioni, di resistenze, di pretese senza prova di legittimità tra autore e autore, tra il poeta tradotto che sta nell'apparentemente scomoda immobilità dell'oggetto e l'altro che ha dalla sua la altrettanto apparentemente fortunata prerogativa del disporre e del fare: i termini possono a ogni buon conto essere capovolti e allora il primo ci si impone nella invidiabile autorità dell'oggetto compiuto e il secondo barcolla nella precarietà del suo tentativo di produrre un oggetto analogo. Tra autonomia e fedeltà ci sono spostamenti di forza e di potere dall'uno all'altro scrittore. Alla fine, a operazione felicemente conclusa, non si saprà mai qual è stata la vittima e quale il carnefice.

Mario Luzi sembra valutare la questione della traduzione in base a costi e perdite, che si può risolvere in una competizione nella quale sia autore che traduttore, nella potenziale alternanza dei ruoli, non riescono a uscire indenni. Sulla stessa lunghezza d'onda sembra essere anche Umberto Eco quando dice: "Tradurre, significa sempre 'limare via' alcune delle conseguenze che il termine originale implicava. In questo senso traducendo, non si dice mai la stessa cosa."105 Da questa affermazione, comprendiamo che l'atto del tradurre è visto anche da Umberto Eco come una negoziazione, nella quale bisogna mettere in conto delle perdite. A questo punto è lecito chiedersi: cos'è ciò che rende la traduzione poetica così ardua? Secondo Jurij Lotman, la difficoltà è dovuta a quel legame indissolubile che costituisce il tratto distintivo della poesia, cioè quello tra aspetto fonologico e aspetto semantico:

Se non si trattasse che di riprodurre a livello fonologico, determinate onomatopee, allitterazioni o simili, le difficoltà sarebbero sensibilmente minori. Ma quei legami semantici specifici che emergono in virtù del cambiamento nel testo poetico del rapporto tra l'involucro sonoro della parola e la sua semantica al pari della semantizzazione del livello grammaticale, sembrano negarsi a una traduzione esatta.

Il linguaggio poetico, nella sua specificità, attiva delle dinamiche a livello semantico che si intrecciano sia sul piano grammaticale che quello fonologico, rendendo veramente difficile la resa di una poesia in un'altra lingua. Jurij Lotman sottolinea la profonda dicotomia che intercorre tra concezione linguistica e concezione letteraria del testo. Il testo linguistico permette diverse espressioni per lo stesso contenuto, mentre il testo letterario nega questa possibilità per la semplice ragione che un'opera letteraria è per principio un'espressione individuale. Il testo letterario, e a maggior ragione quello poetico, è stato creato per quel contenuto, e proprio per la forza che unisce contenuto ed espressione, non vi può essere alcun sostituto sul piano espressivo che non comporti un mutamento sul piano del contenuto.

Tuttavia, questo non è l'unico problema della traduzione poetica. Si possono individuare altri fattori che aumentano il grado di difficoltà, tra i quali: la potenza evocativa della parola e l'uso del verso. La parola, a causa della sua natura polisemica, si presta a una pluralità di connotazioni. Questa caratteristica pur essendo propria del linguaggio, si accentua in modo particolare nella poesia.

Come osserva Octavio Paz, nel suo importante saggio sulla traduzione Traducción: literatura y literalidad pubblicato nel 1970, ogni parola racchiude in sé una pluralità di connotazioni, ma nel momento in cui diventa un elemento costitutivo di una frase, uno di questi significati diventa dominante; nella prosa il significato tende ad essere univoco, mentre la poesia tende a mantenere una pluralità di significati. La vera difficoltà sta nel fatto che, in poesia, la pluralità di significati comporta una sorta di indeterminatezza; a tale caratteristica, osserva ancora Octavio Paz, corrisponde un'altra particolarità: l'immobilità dei segni. La poesia ha la potenzialità di trasformare il linguaggio in modo inverso rispetto alla prosa. Nella prosa la mobilità dei segni contribuisce a fissare un unico significato, nella poesia la pluralità di significati, corrisponde alla immobilità dei segni. Per questa ragione le parole del componimento poetico risultano uniche e insostituibili; cambiarle vorrebbe dire distruggere l'opera.

Ciò nonostante, tradurre non è impossibile, afferma Octavio Paz spiegando in modo analitico il processo della creazione poetica: nel momento in cui il poeta dà vita alla propria opera, attinge da un linguaggio caratterizzato da segni mobili e intercambiabili, che rimandano, tuttavia, a un unico significato, rimanendo nell'ambito della prosa. Il poeta però inverte tale ordine, per cui le parole non saranno più intercambiabili, ma diventeranno immobili e uniche. All'immobilità del segno corrispondono più significati. Rimuovere, dunque, una parola metterebbe a repentaglio la struttura poetica. Come può operare il traduttore a fronte di un linguaggio immobile? Secondo Octavio Paz, il suo compito sarà costituito da un'operazione inversa rispetto a quella del poeta:

Il poeta, immerso nella mobilità dell'idioma [...] sceglie un certo numero di parole [...] Combinandole, costruisce il suo poema: un oggetto verbale composto di segni insostituibili e inamovibili. Il punto di partenza del traduttore non è il linguaggio in movimento, materia prima del poeta, bensì il linguaggio fisso del componimento poetico. Linguaggio congelato e, tuttavia, perfettamente vivo. La sua operazione è inversa rispetto a quella del poeta: non si tratta di costruire con segni mobili un testo inamovibile, ma di smontare gli elementi di questo testo, porre di nuovo in circolo i segni e restituirli al linguaggio.


Così inteso, il processo traduttivo è secondo Octavio Paz un'operazione inversa ma parallela alla creazione poetica; il traduttore dovrà scomporre quel testo di segni inamovibili per restituirli ricomposti nella lingua di arrivo. Per questa ragione si potrebbe asserire che: "Traduzione e creazione sono operazioni gemelle".
La parola poetica, tuttavia, è inclusa in un'unità più grande: il verso, un elemento che garantisce alla poesia una forma che la distingue dalla prosa. Il rapporto tra la parola e il verso nella traduzione poetica diventa problematico nel momento in cui bisogna decidere se riprodurre la metrica dell'originale, oppure cercare una forma compatibile nella lingua di arrivo, o ancora se subordinare la forma e focalizzare il piano del contenuto.

Nel saggio dal titolo Forms of Verse Translation and the Translation of Verse Form, pubblicato nel 1969, James Holmes identifica quattro tipi di approccio alla traduzione poetica: il primo tipo di approccio tenta di conservare la forma dell'originale, definito "forma mimetica": il traduttore, che decide di adottare questo tipo di forma, intende sottolineare il carattere di diversità che per il lettore della lingua di arrivo riveste la semantica del testo originario; il secondo tipo di approccio è detto "forma analogica", si ha quando il traduttore guarda oltre il testo poetico originario e cerca una forma simile nella cultura di arrivo, che possa avere la stessa funzione rispetto alla tradizione poetica d'origine; in altre parole il testo poetico è assorbito e naturalizzato nella cultura di arrivo. Molti traduttori hanno optato per un terzo approccio, basato su una forma di versi derivata dal contenuto, detta "forma organica"; questo tipo di approccio non considera come punto di partenza la forma dell'originale, bensì focalizza il materiale semantico del testo poetico, permettendo al testo stesso di assumere una propria forma durante il processo traduttivo. Accanto a questi tre tipi di approcci ne esiste un quarto detto "forma estranea", secondo il quale la forma poetica nella lingua di arrivo non dovrebbe scaturire né dalla forma né dal contenuto del testo poetico originario.

Tornando a considerare le intime relazioni che s'instaurano tra le parole del testo poetico, una grande importanza è assunta dai fattori pragmatici, ossia quegli elementi che determinano la modalità di ricezione del testo: la sequenza delle parole nel verso, l'allitterazione, l'onomatopea, l'assonanza, la rima e ovviamente la metafora. Quest'ultima costituisce una delle componenti essenziali che trasmettono il messaggio della poesia. Come afferma Peter Newmark, la metafora è il fattore pragmatico più potente della lingua atto a esprimere i sentimenti più forti coinvolgendo i cinque sensi. Di conseguenza essa dovrebbe essere riprodotta letteralmente dal traduttore, poiché tale aspetto è di importanza fondamentale in poesia e non deve andare perduto nella lingua di arrivo. In seguito a tale scelta, il traduttore potrebbe ricorrere all'ausilio della nota in calce per fornire al lettore una spiegazione.

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Mancini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Carlo Bo
  Facoltà: Mediazione Linguistica e Culturale
  Corso: Scienze della mediazione linguistica
  Relatore: Nicole Sguerri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 143

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